URBINO | Palazzo Ducale | 19 marzo – 30 maggio 2018
Intervista ad ANDREA MARTINELLI di Tommaso Evangelista
Andrea Martinelli è uno dei pittori e disegnatori italiani più affermati, che si è distinto per la sua originale ricerca, ricca di riflessioni e spunti critici sul tema delle ombre, del volto e della figura umana.
La mostra, in corso a Palazzo Ducale di Urbino, a cura di Vittorio Sgarbi, arriva dopo le sue ultime esposizioni in due luoghi simbolo dell’arte italiana come la Galleria degli Uffizi e la Biennale di Venezia.
Le sale di Palazzo Ducale per l’occasione ospitano quaranta opere dell’artista realizzate nell’ultimo decennio, molte delle quali di grandi dimensioni e alcune molto recenti e inedite. La matrice di tutto il lavoro dell’artista toscano è il disegno inteso non soltanto come esercizio grafico ma come espressione di un linguaggio figurativo e di un pensiero che indaga la profondità umana con rara capacità di introspezione. Il lavoro sull’espressione e sulla dimensione intima dei visi comporta una perenne messa in tensione dello sguardo che si risolve in un segno incisivo, forte e realista, lontanamente esasperato nei chiaroscuri e nelle prospettive, sempre indagatore di una straordinaria carica umana.
Partiamo dal titolo della tua personale a Palazzo Ducale di Urbino, luogo prestigioso che stimola suggestivi confronti e contrasti. L’acceso naturalismo dei tuoi ritratti si giova delle dinamiche dell’ombra, come se le figure fossero fatte emergere da una notte oscura, metaforicamente anche interiore, per dialogare col fruitore soprattutto attraverso lo sguardo. Ho sintetizzato bene questi tre termini tanto fondamentali nella tua ricerca?
Si, hai sintetizzato bene Tommaso. Sono elementi fondamentali della mia opera, e solo attraverso essi riesco a raccontarmi. In fondo quegli occhi sono i miei, e chi entra nel mio mondo si sentirà molto osservato. È un continuo gioco di sguardi, di luci accecanti, ma soprattutto di ombre che sono la parte più nascosta di ognuno di noi, e quindi quella più vera. Sono ombre che generano altre ombre, e tutto questo fa parte di un animo inquieto che mi ha sempre caratterizzato sin dai miei esordi. Ed è soprattutto nella notte che ritrovo le mie ombre “amiche”. È lì che ritrovo ciò che ho perduto. Ricordi, amori perduti, i luoghi della mia infanzia, gli occhi di un nonno tanto amato. Gli rivivo dentro di me, e poi gli racconto attraverso gli occhi degli altri. Ma come dicevo, quegli occhi sono i miei.
Bellissima la riflessione di Moni Ovadia il quale ragionava sul tema dell’indifferenza attuale verso il volto dell’altro, della negazione quindi dello sguardo che è, in fondo, anche negazione di Dio. I tuoi volti – scrive – chiedono di avere memoria del nostro essere. Non sono quindi presenza ma sostanza. La carne come materia del visibile affronta e si confronta con l’altro in un dialogo serrato e instabile, un po’ come ha fatto, a livello di performance, Marina Abramović in The Artist is present. Quanto sei presente a te stesso quando affronti un ritratto e quando devi reggere lo sguardo interiore del prossimo? E come ci riesci?
Ogni volta che dipingo o disegno un volto, per me la cosa fondamentale è creare qualcosa di profondamente umano. Voglio che quel volto mi parli. Voglio sentirne l’odore, il respiro, ma soprattutto voglio sentire il suo “urlo” interiore. I miei personaggi sono solitari e apparentemente muti, ma hanno tutti in comune l’urgenza di essere ascoltati. Non vogliono essere solo guardati. Vogliono essere ascoltati. Hanno urgenza di essere ascoltati. Vogliono solo questo. E per fare questo ho bisogno di un dialogo serrato con me stesso, e di conseguenza anche con chi decido di ritrarre. Il mio è un lavoro duro anche per questo. Non solo per la mia tecnica, che richiede ore e mesi di lavoro, ma soprattutto perché ciò che voglio è che davanti a me si presenti qualcosa che va oltre la realtà, ovvero qualcosa che abbia a che fare con la vita, e per rappresentare la vita questi personaggi devono profumare di amore, gioia, sofferenza e morte.
Non si può sfuggire allo sguardo e soprattutto allo scorrere del tempo, quando le pieghe delle rughe diventano una sorta di mappa cerebrale dell’individuo, una radiografia. La tua visione, pur soffermandosi sui segni forti, quasi grotteschi dell’individuo, non cerca il perturbante bensì l’umano (troppo umano). Come l’artista contemporaneo figurativo riesce a superare la dimensione di negazione dell’essere, di nichilismo e destrutturazione (morale ed estetica) che pervade molta della ricerca artistica attuale?
Tutta (o quasi tutta) la ricerca attuale del mondo dell’arte ha cancellato l’uomo. Lo hanno cancellato, sfigurato, annientato. Il mondo in cui viviamo è un mondo completamente disumanizzato, e l’arte attuale ne è testimone. Pochi sono gli artisti che hanno riportato l’uomo al centro della loro attenzione, ed io sono fiero di essere tra questi. Sembriamo fuori sincronia, ma è proprio questo atteggiamento che ci rende attuali. Si, perché la storia dell’arte ci ha insegnato che il miglior modo per essere attuali è non esserlo affatto.
Ultima domanda vorrei fartela sull’opera “Papa arabo” che ha suscitato molte critiche e anche un’anonima minaccia di morte nei tuoi confronti da parte di un islamico. Hai raffigurato un volto crudo, severo, non cattivo quanto burbero aggiungendo in arabo la frase “Esamina ciò che viene detto, non colui che parla”. Ricorda quasi l’aggressività e la furbizia del volto di Innocenzo X dipinto da Velázquez e vi è questo contrasto tra provenienza araba e dimensione cattolica. Il tuo lavoro, indipendentemente dal messaggio, è sempre stato sul volto, volto che in questo caso, data la connotazione del personaggio, ha un impatto diverso e può provocare disagio in quelle persone abituate a guardare il viso di un uomo solo superficialmente e mai in profondità, anche perché questo volto, personalmente non mi comunica cattiveria ma disciplina. Cosa ci vuoi dire sull’opera e sulle reazioni?
Il Papa Arabo è l’ultima opera che ho realizzato. È un’opera che, come dicevi, ha già suscitato qualche polemica. Non solo. Ho ricevuto giorni fa uno strano biglietto anonimo dove mi si induce a bruciare l’opera, minacciandomi di morte qualora non lo avessi fatto. Considerando che qui vicino a me c’è un centro islamico è probabile che sia autentico. Ma in quest’opera non c’è nessuna volontà di provocazione. Anzi, semmai c’è la voglia di dare un messaggio di pace, anche se il volto di questo Papa non fa presagire niente di buono. Se non fosse per il vestito che indossa potrebbe sembrare il volto di un terrorista islamico, ma ho cercato questo tipo di volto per dare come un monito a chi lo guarda. La scritta araba sul collare, che sorregge la croce papale, è a testimoniare in maniera inequivocabile il mio messaggio di pace. Ma quando si tratta argomenti così attuali e scottanti bisogna sempre mettere in conto anche i rischi. Di questo ne sono cosciente.
Andrea Martinelli, L’ombra, gli occhi e la notte
a cura di Vittorio Sgarbi
Catalogo edito da Maggioli Editori con testi di Paolo Crepet, Moni Ovadia, Vittorio Sgarbi
19 marzo – 30 maggio 2018
Palazzo Ducale, Urbino
Orari: lunedì: 8.30 – 14.00 (chiusura biglietteria ore 12.30)
Da martedì a domenica: 8.30 – 19.15 (chiusura biglietteria ore 18.00)