Non sei registrato? Registrati.
ROMA | PALAZZO DORIA PAMPHILJ E OSPITALE DI SANTA FRANCESCA ROMANA IN TRASTEVERE | FINO AL 27 APRILE 2025

di MATTEO DI CINTIO

Un richiamo all’antico s’innerva fra le pieghe della mostra di Chiara Lecca. Sicuramente l’incontro fra l’importanza storica dello spazio espositivo e l’efflorescenza raffinata e inconsueta dell’installazione contemporanea, punto di rilevanza e di novità per la fruizione del gesto artistico della scultrice modiglianese, incentiva tale richiamo, lo rende sibilo costante nel perdurare del percorso espositivo. Ma non solo. Sembra proprio che l’accostamento, o ancor di più la compenetrazione fra l’arredamento delle stanze, l’ornamento fastoso dell’incombenza architettonica, l’ardore arcadico degli affreschi e l’opera di Lecca detronizzi una netta distinzione temporale fra passato e presente. Come le ampolle che proteggono le realizzazioni d’artista, ci si ritrova in un tempo alchemico chiuso, circolare, votato alla sospensione dell’ineluttabile. In questo tempo, tutti gli oggetti che compongono lo spazio e il loro annodamento con la visione dello spettatore compartecipano di una stessa tensione simbolica. Come osserva Titus Burckhardt la portata simbolica dell’alchimia

consiste […] nella possibilità, per cose anche assai diverse in termini di tempo e di spazio o per la loro natura materiale o per caratteristiche di altro tipo, di possedere e manifestare una medesima qualità essenziale: apparendo insomma come riflessi diversi o diverse manifestazioni o produzioni di una stessa realtà, in sé indipendente dal tempo e dallo spazio.

Si privilegia una dimensione non-duale dell’esperienza, e proprio da qui possiamo ipotizzare che il nocciolo speculativo racchiuso nel gesto artistico di Lecca sia captabile solo affidandoci ad una sapienza antica, che vede nella metamorfosi il centro della propria propulsione conoscitiva. Se di metamorfosi si parla abbondantemente, nella politica, nell’economia, nella letteratura o nelle arti in generale, non se ne comprende al contempo la portata riflessiva. Anzi: direi una portata decisiva, se si pensa che questo termine, come ha indicato lo psicoanalista Jacques Lacan, indica un certo rapporto pagano con il mondo. Potremmo dire, senza mezzi termini e seguendo le fascinazioni della metamorfosi, che l’opera di Lecca si configura come l’efflorescenza di una insistenza: lambire questo rapporto, ordire una corrispondenza fra micro e macrocosmo, recuperare quella parentela di tutto con tutto che l’avvento della modernità ha disarticolato. Il titolo della mostra non lascia dubbi: sia l’uovo che la dea sono figure archetipiche imbevute di mito classico; l’uovo rimanda alla nascita, alla sua mutazione in procinto di accadimento; la dea è spesso, come Ovidio ci insegna, promotrice della metamorfosi di ninfee o fanciulli capricciosi. Tenendo a mente questo sottofondo concettuale e questo rimando immaginativo classicista, vediamo come la metamorfosi viene declinata nell’opera di Chiara Lecca.

Metamorfosi come divenire-animale

Il corpus di opere Purpura Shapes (2025) e Masks (2021) disvelano una suggestione perturbante: l’animale muta aspetti della propria fisionomia. I tempi stagionali della muta del cinghiale lo sottopongono alla variazione cromatica del suo manto; l’esuviazione del serpente restituisce alla Natura un manto epidermico ruvido e duro e permette un autorigeneramento cellulare e morfologico. Nell’animale convivono due aspetti della metamorfosi ben delineati da Elias Canetti: mutamento di forma e mutamento in natura. Queste tipologie di mutamento s’inglobano l’una nell’altra, ancorando l’immagine animale ad una verità intrisa di antica saggezza. In effetti, forse evidenziato ancor più dal gesto di Lecca di rinchiudere squame e peli all’interno di ampolle, come ad estrapolare l’elemento ultimo di un processo di difficile chiarificazione, l’animale s’immerge senza mediazione nel flusso della vita, nel mero accadere che assesta e rinnova le sue forme. Per noi esseri umani, che non viviamo se non in una realtà strutturata dal linguaggio, la verità della metamorfosi ci fa orrore. L’aspetto orrorifico della metamorfosi lo simbolizziamo attraverso artifizi – vedi Kafka o Dante per la letteratura – che ce ne permettono la contemplazione attraverso una separazione. Anche Lecca interpone una barriera vitrea fra la visione e l’atto metamorfico, ma nel far ciò, e forse qui risiede tutta la fascinazione dell’opera, lo spettatore ne rimane per un momento invischiato. Forse tale scelta è riconducibile ad un invito, lo stesso delineato da Deleuze e Guattari quando parlano di divenire-animale:

Divenire animale significa appunto fare il movimento, tracciare la linea di fuga in tutta la sua positività, varcare una soglia, arrivare ad un continuum di intensità che valgono ormai solo per se stesse, trovare un mondo di intensità pure, in cui tutte le forme si dissolvono, e con loro tutte le significazioni, significanti e significati.

Chiara Lecca, Masks, appartamenti segreti di Doria Pamphilj, ph. Marco Parolin

Metamorfosi come sperimentazione alchemica

Se per le scienze antiche la qualità intrinseca delle sostanze si deduce dall’ordine gerarchico del cosmo, l’alchimia straborda questo anelito trascendentale; si spinge, come scrisse Elemire Zolla

a un passo più in là, allorché si penetri l’interna compagine d’un corpo a sorprendervi i segni immediati delle sue forze formanti, riparatrici, mantenitrici, direttamente all’opera, sollevando il velo della sua apparenza sì da carpire il segreto con cui la sua forza formante, lo spirito, organizza e plasma la materia dandole, invisibile artefice, via via i giusti, impalpabili colpi di pollice. Occorre afferrare il momento dello stato nascente, l’essenziale gemmare, cestire, occhieggiare del corpo vegetale, minerale o metallico sotto l’impulso del suo spirito.

Fare alchimia è innanzitutto cogliere la forza morfogenetica della natura, quella tensione invalicabile che, come un intricato e invisibile tessuto di intrecci, trama l’ordito della creazione, e lega gli organismi gli uni agli altri. L’alchimia ri-novella l’accadimento occulto del mondo, ed è proprio ciò che l’artista prova a fare nella serie di opere floreali dal titolo Golden Still Life (2016), Still Life (2017), Turquoise Stille Life (2024). C’è ancora vita in quell’agroviglio di flora e fauna, in questa sorta di “anamorfismo” materialista; non vi è distinzione fra la tassidermia e il dischiudersi di un fiore: tutto afferra l’apparato energetico del mondo.

Chiara Lecca, Dark Still Life, ph. Marco Parolin

Metamorfosi fossile

Volgiamo ora lo sguardo su quelle installazioni che sembrano configurarsi come una sorta di leitmotiv del lavoro di Lecca, di un’insistenza che è più una ritmica sottostante al lavorio artistico. Il ciclo dei bubbles sorprende per gli innesti che organico e inorganico riescono a generare. Ci troviamo di fronte, infatti, a forme a tratti fungine, a tratti ovoidali, che s’insinuano negli spazi delle camere di Pamphilj con la postura dei reperti paleontologici delle Wunderkammer barocche. Ora, sappiamo che a ogni meraviglia che si rispetti si accompagna sempre un senso di inquietudine, e anche in questo caso scivola sulla tonda levigatezza delle loro superfici il fantasma di una “metamorfosi” temporale. In queste opere passato e presente si confondono, o meglio si fondono per (ri)fondare alchemicamente un tempo Altro: non è infatti più il tempo della contemplazione fossile, del recupero nostalgico dell’antico, ma tutt’al più, il tempo della viva possibilità che i reperti dischiudano nuova linfa, nuovi orizzonti di creazione e immaginazione. Possiamo trovare una risonanza con ciò che il poeta Giorgiomaria Cornelio scrive nel suo denso saggio dal titolo Fossili in rivolta: «in un mondo paralizzato dal pericolo dell’estinzione, i fossili, quando riaffiorano, danzano la propria rivolta contro ogni nozione di fine già decretata […] di memoria per sempre smarrita; questa danza si dona come sfida enigmatica e annuncio di una rinascita immaginativa». Con l’opera di Chiara Lecca ci addentriamo in questo locus amoenus, «capace di ricominciare l’immagine consueta del mondo».

Purpura Shapes e ritratto dell’artista Chiara Lecca, ph. Marco Parolin

Dall’uovo alla dea nelle Stanze Segrete Doria Pamphilj, di Chiara Lecca
a cura di Francesca Romana de Paolis

21 febbraio – 27 aprile 2025

Appartamenti Segreti Doria Pamphilj | Ospitale di Santa Francesca Romana in Trastevere
via del Corso 305 | vicolo di Santa Maria in Cappella 6, Roma 

Info: www.florididoriapamphiljtour.com

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •