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a cura di Sponge ArteContemporanea

Novella Guerra intervista sguardo contemporaneo

Il numero nove, simbolo d’interezza e divina perfezione, non poteva essere il più azzeccato per questa nuova uscita della nostra rubrica L’Occhio di Sponge, la nona appunto. L’associazione che vi presentiamo attraverso le domande poste da un’altra realtà indipendente come Novella Guerra, è sguardo contemporaneo, nostra ospite nella quarta edizione di Perfect Number, rassegna incentrata sulle strutture indipendenti che condividono la filosofia di Sponge, navigando nella stessa direzione.

sguardo contemporaneo, Nuova Gestione 2012
La prima domanda sarà molto simile alla vostra… Come è nato sguardo contemporaneo: quale è l’origine del nome, chi sono i fondatori e quale è la loro formazione?
sguardo contemporaneo è nato nelle aule del Dipartimento di Storia dell’Arte dell’Università “La Sapienza” di Roma. In quel periodo, era il 2007, sentivamo il bisogno di trovare un risvolto pratico a quanto leggevamo nei libri all’università: all’inizio l’abbiamo trovato nella scrittura critica (recensendo mostre del circuito espositivo romano, pubblicandole proprio sul nostro sito), per poi estendere l’attività a progetti di più ampio respiro, costituendoci successivamente associazione culturale.

Nuova Gestione, 2012, backstage
Cosa significa proporre e sviluppare un progetto per sguardo contemporaneo?
Significa per prima cosa confrontarsi con le difficoltà che lo status di associazione culturale oggi comporta, a partire dai problemi nel reperire fondi per le attività; ma, proprio a causa di questa precarietà, significa anche concentrarsi necessariamente solo su progetti nei quali crediamo davvero.

La vostra programmazione segue criteri costanti, sono cambiati nel corso del tempo?
Nel nostro percorso come collettivo, abbiamo alternato collaborazioni con gallerie, fondazioni e centri culturali di diverso tipo: non crediamo si possa parlare di una vera e propria “programmazione”. Se dovessimo rintracciare una costante nei nostri progetti, almeno da tre anni a questa parte, questa è senz’altro la volontà di proporre iniziative  che non parlino solo agli addetti ai lavori dell’arte, ma che possano estendersi anche in contesti non istituzionali. Almeno così è accaduto con le due edizioni di Nuova Gestione (2012 e 2014, la dicumentazione è reperibile sul sito: www.nuovagestione.net), che ci hanno visto impegnati in due quartieri “periferici” di Roma: l’idea era quella di sfruttare i negozi sfitti di quelle aree (Quadraro e Casal Bertone) per allestire all’interno dei lavori, frutto dell’osservazione e dello scambio degli artisti con quei contesti.

NUOVA GESTIONE – CASAL BERTONE  11 – 23 MARZO 2014, presentazione stampa
Cosa significa oggi essere un collettivo? Che differenze ci sono rispetto ai primi collettivi delle origini?
Confrontarsi, dibattere, individuare obiettivi condivisi e lottare per portarli avanti: sono queste le opportunità più preziose che l’appartenenza a un gruppo può offrire. Non sappiamo bene a quale periodo ci si riferisca quando si parla di “collettivi delle origini” (gli anni Sessanta, i Settanta?); detto questo, oggi, rispetto a prima, ci sono più modi per scambiare informazioni e condividere, anche a distanza (via skype o email).

Essere un collettivo ha delle ripercussioni forti rispetto alle scelte e alle collaborazioni che fate?
Pensare ai progetti come collettivo ci porta inevitabilmente a cercare connessioni e ad aprirci a diverse forme di collaborazione e confronto anche con altre realtà curatoriali contemporanee. Spesso ci è capitato di coinvolgere e venire coinvolti, a nostra volta, in progetti di cui condividevamo obiettivi e finalità. Fondamentale è che ogni proposta di collaborazione venga prima discussa nel collettivo per deciderne le modalità di attuazione, con tutti gli aspetti positivi e negativi che comporta il dover trovare una visione comune.
Nuova Gestione, 2012, backstagePensate ci sia ancora una solida differenza di ruoli tra artista, curatore e critico?
Crediamo proprio di sì. Senza dubbio critico e artista sono due figure con competenze ben distinte. Ma anche tra curatore e artista, nonostante alcuni casi recenti suggeriscano il contrario: due artisti – Christian Jankowski e Maurizio Cattelan – chiamati rispettivamente a curare Manifesta 11 a Zurigo e la mostra Shit and Die a Torino. In base alla nostra esperienza artista e curatore lavorano su fronti diversi, con “armi” diverse: il primo, in genere, preferisce muoversi per libere associazioni, seguendo maggiormente il proprio istinto e le proprie ossessioni (si pensi a quel che ha proposto Cattelan a Torino, appunto); il curatore, invece, porta con sé una visione più equilibrata e, dove necessario, pragmatica: è più attento agli aspetti di coordinamento generale, più votato all’equilibrio e alla mediazione. Senza per questo che la sua visione critica ed estetica risulti debole.

Quanto determina i vostri ritmi lavorare in un posto decentrato?
Il lavoro nei quartieri impone ritmi molto più lenti. Agiamo spesso in luoghi che all’inizio non conosciamo e che si schiudono solo un po’ alla volta. Quando decidiamo la zona in cui intervenire non sappiamo esattamente cosa ne verrà fuori, quali progetti gli artisti presenteranno, come reagirà il contesto. In questo senso, tornando al ruolo del collettivo, essere in tanti aiuta perché riusciamo a gestirci e alternarci, soprattutto in fase di allestimento dei lavori.

NUOVA GESTIONE – CASAL BERTONE  11 – 23 MARZO 2014, opening
Cosa manca in Italia per poter parlare di ricerca?
A livello curatoriale e critico, forse manca tra gli operatori la libertà di giudicare in maniera costruttiva, senza acredine. E la voglia, oltre che la possibilità, di investire: le risorse sono poche, i “posti” pure, e così c’è molta paura di rischiare. Si privilegiano progetti “sicuri” e mostre che non fanno male a nessuno, pur di evitare la critica. Ma così – senza assumersi rischi, anche a costo di fallire – rimarremo sempre fermi dove siamo.

Ritenete che le residenze possano costituire un’alternativa programmatica per la ricerca e, se sì, perché? Pensate che sia importante storicizzare? Possono situazioni di residenza e familiarizzazione contribuire alla storicizzazione?
Le residenze – artistiche e curatoriali – non sono un’alternativa ma, se strutturate bene, possono essere una componente essenziale della ricerca. Non soltanto: come spesso succede, i brevi periodi di soggiorno dove produrre “solo” opere, o mostre, diventano anche uno spazio fisico e mentale dove esplorare, confrontarsi, condividere e approfondire determinati contesti, metabolizzarli. Le residenze, quindi, si possono considerare come luoghi di sperimentazione, possono essere viste anche come occasioni per fare “il punto della situazione” su determinate metodologie, o linee di ricerca; ma crediamo che storicizzare significhi anche possedere una distanza temporale e storica dagli eventi, per metterli in prospettiva.

Maria Carmela Milano Che follia per un vestito! (2014) Installazione site specific Stampa digitale e ricamo su stoffa, motori elettrici, bobine di poliestere, proiezione analogica Dimensioni ambientali Photo credits Andrea Papi (DSCF0268)
Cosa pensate delle pubblicazioni di arte contemporanea, avete riviste di riferimento?
Seguiamo con interesse il lavoro di molte riviste sia italiane che internazionali, anche se, talvolta, hanno il difetto di perdersi in cronache autoreferenziali e patinate. Senza considerare che, per mantenersi in vita, metà delle pagine sono inserzioni pubblicitarie. Detto questo, con l’arte che è diventata sempre più un fatto globale, le riviste sono diventate uno strumento utile per rimanere aggiornati, per osservare il lavoro di un’artista e – grazie alle interviste – coglierne il pensiero.

opening_006
Ritenete sia utile una rete tra luoghi che propongono residenze e, se sì, come l’articolereste?
Sarebbe senz’altro utile: ormai residenze e iniziative simili sono diffuse in tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia. A cominciare da una piattaforma online abbastanza esaustiva e aggiornata, una rete permetterebbe di prendere coscienza del numero di operatori coinvolti (artisti, curatori, ecc.), ma anche del pubblico effettivamente interessato e che prende parte alle attività legate ai programmi di residenza. Insomma, uno strumento per comprendere gli effetti e le ricadute di esperienze di questo genere. Una rete sarebbe inoltre utile per dar vita a collaborazioni, gemellaggi e scambi tra i vari programmi di residenza, creando mobilità nazionale ma soprattutto internazionale e cercando di intercettare maggiori fondi, a cominciare da quelli europei.

Info: www.sguardocontemporaneo.it

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