AOSTA | Museo Archeologico Regionale | 13 aprile – 22 settembre 2019
Intervista a LEONARDO CONTI di Matteo Galbiati
Il Museo Archeologico Regionale di Aosta accoglie, per tutta l’estate, la mostra Lucio Fontana. La sua lunga ombra, quelle tracce non cancellate, un’interessante esposizione che mette a confronto e dialogo le opere del grande maestro con quelle di una peculiare selezione di artisti che, sino ai nostri giorni, ne hanno raccolto l’eredità e gli insegnamenti. Abbiamo approfondito i contenuti della mostra con Leonardo Conti che, con Giovanni Granzotto, ha seguito e curato questo importante progetto espositivo:
Quale progetto sta alla base di questa mostra?
Con Giovanni Granzotto abbiamo costruito un progetto che evidenziasse la vitalità della ricerca di Lucio Fontana. Nei suoi diversi cicli di opere e nelle dichiarazioni dei manifesti dello Spazialismo è possibile identificare tematiche rilevanti, che hanno dato inizio a gran parte di quella che chiamiamo arte contemporanea e al nostro stesso modo di rapportarci ad essa. Fontana ha compreso che la sua epoca, uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, stava entrando in un nuovo paradigma culturale, scientifico e sociale. È poi stato capace di farsene portavoce e interprete, quindi anche artefice: la sua parabola di artista e di uomo di cultura coincide con la nascita di un nuovo spirito del tempo in cui ancora siamo immersi. Così, partendo dall’analisi di un corpus significativo di opere di Fontana, abbiamo cercato di delineare un percorso – non solo con strumenti storici, ma anche attraverso analisi critico-induttive – che mostrasse come alcune tematiche fontaniane siano giunte, trasformandosi, approfondendosi e ampliandosi, fino ai nostri giorni.
Su Fontana sono state realizzate infinite esposizioni che ne hanno analizzato i vari aspetti: in questa cosa si vuole mettere in luce o sottolineare di differente?
Soprattutto la sua generosità. E la capacità straordinaria di Fontana di essere inclusivo, non soltanto rispetto ai nuovi mezzi che la sua epoca metteva a disposizione dell’esperienza artistica, ma anche nei confronti degli agli altri artisti e intellettuali che non ha smesso di coinvolgere. E non finisce qui: Fontana frequentava i giovani artisti (quelli che oggi chiamiamo, con un lessico discretamente vago, “emergenti”), dava consigli, scambiava lettere con loro, talvolta scriveva presentazioni per le mostre di esordio, spesso, per incoraggiarli, comprava le loro opere. Ecco, tra le molteplici lezioni di Fontana che sono state celebrate, indagate e recepite dalla contemporaneità, forse la sua generosità è un’arte che non so quanto sia stata ancora appresa. Mi chiedo quanti siano oggi gli artisti famosi che, oltre ad occuparsi dei cataloghi, delle mostre museali e delle proprie quotazioni, comprano le opere dei giovani esordienti.
Ho visto che l’arco temporale preso in esame va dagli anni ’40 al 1968 (anno della scomparsa del maestro). Quali opere avete proposto per sviluppare il vostro pensiero critico? Quali tipologie e quali tecniche esponete?
Grazie alla generosità dei prestatori, siamo riusciti a raccogliere un consistente corpus di opere in grado di raccontare alcuni tra i momenti decisivi dell’evoluzione creativa di Fontana. Ci sono interessanti studi su carta della metà degli anni Quaranta, in cui il maestro prepara il segno corsivo che alla fine di quegli anni giunge ai buchi. Le disposizioni dei segni s’incurvano alludendo a una diffusa centralità, talvolta sono vere e proprie spirali verso un centro che è sempre compimento: lì c’è il buco che trapassa. Il gesto di Fontana scultore trova qui, nel compimento del segno, il luogo in cui nascono i celebri Concetti spaziali.
Attraverso questa sezione di carte sono così annunciate le importanti opere su tela, dedicate al ciclo dei buchi e degli squarci, dove è ancora possibile vedere i segni fontaniani, impressi in forma di graffiti sulle superfici di colore. Della fine degli anni Cinquanta, poi, sono i tagli, le opere più celebrate di Fontana, che in mostra sono rappresentate da diverse opere, anche di grandi dimensioni. Tra queste alcuni veri capolavori, come un ritmico “Cinque tagli” rosso, in cui ancora si percepisce la potenza di quell’attesa in cui Fontana si raccoglieva prima dell’azione della sua lama, magistralmente documentata da una storica sequenza di scatti fotografici di Ugo Mulas. In quell’attesa, prima-del-taglio, si concentra la scelta in cui decidere o meno di passare oltre. I più scettici nei confronti dell’arte contemporanea si chiederanno “oltre dove?”: in quello che Fontana chiamava Spazialismo e che oggi, come allora, forse, si potrebbe chiamare vita consapevole, per entrare nel proprio divenire. Non a caso tutti i titoli dei tagli su tela di Fontana, Concetti spaziali, sono completati con il sostantivo plurale “attese”. Forse chi ancora dice “lo so fare anch’io” dovrebbe davvero provarci.
In mostra, sono poi due grandi teatrini della metà degli anni Sessanta, in grado di evocare la sensibilità barocca di Fontana e la valenza fortemente oggettuale che la sua ricerca ha innescato verso il futuro dell’arte. Chiudono la mostra alcune ceramiche, sculture incoative per eccellenza, tra cui uno straordinario crocifisso, in cui pare che dal magma liquido della materia venga formandosi – eppure è già formato nel fulgore dell’oro che soggioga, redimendolo, l’informe – un nuovo statuto del mondo e un nuovo percepirsi dell’umano. Da un punto di vista culturale, fatte le dovute distinzioni, Barocco e Cristianesimo hanno per Fontana un medesimo valore, poiché, in epoche diverse, incarnano il passaggio a nuovi sistemi di pensiero.
Uno degli aspetti interessanti della mostra è poi proprio seguire quella lunga ombra da lui lasciata come eredità estetica, intellettuale e artistica, dove ci conduce? Chi ci fa incontrare?
Abbiamo suddiviso l’esposizione e il catalogo in sezioni, per tentare di seguire, come ti dicevo, la vitalità di alcune tra le più importanti tematiche presenti nella parabola artistica e intellettuale di Fontana. Grazie alla struttura ampia e articolata del Museo Archeologico Regionale di Aosta, abbiamo potuto costruire una specie di abbraccio fontaniano, che si apre con una sezione dedicata alle sue opere su carta, giunge al vero e proprio tripudio della quinta imponente sala, con i capolavori su tela, per chiudersi con la saletta preziosissima e “sacrale” delle ceramiche. Gli incontri con gli altri artisti accadono tutti all’interno di questo ampio abbraccio: quella di Fontana è un’ombra che mette in luce e valorizza gli altri.
La seconda grande sala, intitolata Protagonisti dello spazialismo, è dedicata ad alcuni tra i più importanti maestri lombardi e veneziani che firmarono i manifesti dello Spazialismo. Tra le altre opere, non meno importanti, ci sono le Spirali di Roberto Crippa, la Marina zenitale di Virgilio Guidi, il grande Motivo sui vuoti di Mario Deluigi e, ancora, l’imponente molteplicità di una Primavera di Tancredi, le potentissime opere di Bacci e Vianello, la “pittura sottile“ di Gino Morandis e la luce smaterializzante di Cesare Peverelli.
Le due sale successive sono dedicate all’ampia sezione intitolata Azimut e dintorni: nella prima s’incontrano tre opere di Piero Manzoni, tra cui un grande Achrome, le grandi estroflessioni bianche di Enrico Castellani e Agostino Bonalumi e poi Paolo Scheggi e Dadamaino; nella sala successiva (la quarta dall’inizio del percorso), oltre ai grandi esponenti dell’arte programmata, come Gianni Colombo e Alberto Biasi, sono presenti un “3D” di Remo Bianco del 1960, un “legno laccato” di Ben Ormenese del 1969 e due opere recenti di Umberto Mariani e Paolo Radi.
La quinta sala è dedicata a quella che abbiamo chiamato Una pittura nuova: sono stati qui inseriti alcuni artisti, le cui ricerche possono rappresentare la tendenza a una costante riformulazione della pittura, sia in seno alle tecniche, sia al superamento dei limiti tradizionali dell’opera, reali o metaforici. Si può affermare che la temperie fontaniana, declinata in ambito pittorico soprattutto dallo Spazialismo veneziano, rappresenti un orizzonte per le progressive trasformazioni e slittamenti che le esperienze artistiche hanno operato sino al contemporaneo, all’interno di una persistenza della pittura. In questa sala ci sono importanti opere di Giuseppe Santomaso, Ennio Finzi, Saverio Rampin, Riccardo Licata, Sandro Martini, Fernando Picenni, Marcello De Angelis e Domenico D’Oora.
Dopo la quinta sala che, come ti dicevo, è dedicata ai “buchi” ai “tagli” e ai “teatrini” di Fontana, davvero da non perdere per la qualità dei prestiti che i collezionisti hanno concesso, si passa nell’altra grande sesta sala, dedicata alla sezione che abbiamo intitolato “Le strutture dello spazio”. In questa sezione abbiamo inserito alcuni artisti nelle cui ricerche, secondo individuali e personalissime declinazioni, le opere si articolano in rapporti inediti, sia formali che mataforici, con lo spazio. Si tratta di un ambito in cui l’oggettualità si dispiega e si apre nelle molteplici dimensioni di una spazialità inclusiva: è quello che accade negli “assemblaggi” di Alberto Biasi, nei “legni” di Nunzio e, poi, nelle opere di Felice Cannonico, Ettore Spalletti, Jorrit Tornquist, Emanuela Fiorelli, Ivano Fabbri e Claudio Rotta Loria.
Voglio farti una domanda provocatoria: non pensi che, in fondo, siano così tanti gli eredi di Fontana che una selezione resti sempre frutto di una parzialità delle scelte che, magari, possano essere da altri messe in discussione? Cosa connota maggiormente gli artisti che avete scelto?
Hai ragione Matteo, la critica d’arte non può vivere che di parzialità. Ogni scelta, in quanto critica, è parziale. In un certo senso, lo era anche Fontana quando, ad esempio, scriveva per Piero Manzoni o per Remo Bianco, oppure quando comprò tre opere di Fernando Picenni, in occasione della sua prima mostra al Salone Annunciata di Milano nel 1961. Ogni critico d’arte deve essere pronto a battersi per le sue scelte, che ha il dovere di motivare. Spero che chi vorrà esercitare il liberissimo diritto di mettere in discussione le scelte operate in questa mostra, prima legga il catalogo, dove a ogni artista è dedicato un approfondimento che ne motiva la presenza. Del resto, questa mostra cerca di essere un’apertura anziché un hortus conclusus, una pista aperta su studi futuri. Credo che, ancora una volta, possa essere Fontana a dare il giusto valore a ognuno di noi e a tenere aperta questa pista, quando, in una lettera a Paolo Scheggi si legge: “Non posso che augurarti una carriera felice e ricordarti di essere umile, molto umile, nel tempo siamo nulla”.
Che riscontro sta avendo la mostra in queste prime settimane di apertura? Prossimi progetti? pensate di proporla altrove?
La mostra sta avendo una grande attenzione da parte della stampa nazionale e uno straordinario numero di visitatori, anche grazie alla coincidenza del suo inizio con le vacanze pasquali. Devo dire che il settore cultura della Regione Valle d’Aosta ha avuto una cura e un’attenzione davvero meritevoli nella pianificazione e nell’assistenza all’organizzazione di questa mostra. Daria Jorioz, direttrice del Museo Archeologico Regionale, è una manager e una bravissima storica dell’arte che ha anche scritto un testo in catalogo. Ne approfitto, se me lo permetti, per citare, oltre al mio caro amico e co-curatore Giovanni Granzotto, i preziosi contributi in catalogo di Dino Marangon, Mattia Pivato, Stefano Cecchetto, Livia Sartori di Borgoricco e Sara Bastianini.
Riguardo al futuro di questa mostra, visitabile fino al 22 settembre, ci sono alcuni musei interessati a riproporla, vedremo dove conduce questa pista.
Lucio Fontana. La sua lunga ombra, quelle tracce non cancellate
a cura di Giovanni Granzotto e Leonardo Conti
con il patrocinio di FE.N.CO (Federazione Nazionale dei Consoli)
promossa da Assessorato Turismo, Sport, Commercio, Agricoltura e Beni culturali della Regione Autonoma Valle D’Aosta
media partner Espoarte
catalogo De Bastiani Editore
13 aprile – 22 settembre 2019
Museo Archeologico Regionale
Piazza Roncas 12, Aosta
Orario: tutti i giorni 9.00-19.00
Ingresso intero €6.00, ridotto €4.00; gratuito per i minori di 18 anni; abbonamento con la mostra Steve McCurry. Animals al Centro Saint-Bénin di Aosta dal 3 maggio al 6 ottobre 2019 intero €10.00; ridotto €6.00
Info: Struttura Attività espositive
Soprintendenza per i beni e le attività culturali
Assessorato Turismo, Sport, Commercio, Agricoltura e Beni culturali Regione autonoma Valle d’Aosta
+39 0165 275937
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Museo Archeologico Regionale
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