VENEZIA | Galleria Alberta Pane | Fino al 23 dicembre 2017
di LUCIA LONGHI
Les yeux qui louchent, titolo della mostra collettiva alla Galleria Alberta Pane di Venezia è una locuzione francese che sta ad indicare lo strabismo.
Il curatore, Daniele Capra, ha traslato questo termine dall’ambito scientifico a quello artistico: se nella medicina oculistica lo strabismo indica un limite, nella pratica artistica si trasforma in una qualità. Stiamo parlando della qualità par excellence degli artisti, quella che li rende osservatori privilegiati: lo “strabismo” è la capacità di guardare la realtà in modo ordinario ma al contempo di penetrarla con uno sguardo che, volgendo in una direzione diversa, coglie ciò che sta al di là di essa.
Igor Eškinja, Fritz Panzer, Manuela Sedmach, Michele Spanghero, João Vilhena portano negli spazi della galleria lagunare il risultato della loro vista non ordinaria, o meglio, binaria: gli assi dei loro occhi registrano diversi livelli dei contesti che li circondano, restituendo impressioni altrettanto stratificate.
Entrando nello spazio espositivo, tuttavia, non si registra alcuna scossa, al contrario: le scene che incontriamo sono riconoscibili, familiari. Tenui paesaggi marini, sfuggenti passanti sulla strada, una donna alla finestra, motivi geometrici, disegni di oggetti a dimensioni reali.
Eppure, ognuna di queste immagini rivela poi lentamente le sue molteplici e più profonde identità, ma soltanto a un secondo sguardo. Secondo non in successione temporale, bensì come deviazione: il percorso alternativo del secondo occhio, quello che indaga oltre.
Quando Igor Eškinja ci avvicina alle sue fotografie (Golden Fingers of Louvre), in cui i personaggi sembrano sfuocati, non sono i passanti che ci sta indicando, bensì le tracce del loro passaggio. La sua ispezione del grande museo non è l’immagine delle migliaia di visitatori che ogni giorno attraversano le sue porte, ma ciò che loro su queste porte lasciano: le impronte. Ora possiamo vedere quello che ha visto l’artista: un ribaltamento dei ruoli, quello che il visitatore lascia al museo (e non viceversa), che viene trasformato poi in un’opera d’arte: eleganti composizioni di elementi sfuggenti, con colori dal retrogusto barocco.
I fumosi paesaggi di Manuela Sedmach invitano ad andare oltre quelle tenui superfici pastello, che, ad osservarle attentamente, confondono. È una tempesta? È mare o cielo? È quello che il mare e il cielo rappresentano e racchiudono, che l’artista è riuscita a far riaffiorare in superficie. Ad accompagnare la scoperta della realtà si aggiunge quindi, con uno sforzo di percezione, come se strizzassimo gli occhi, l’agnizione di elementi ulteriori ma familiari, che conferiscono profondità all’osservazione. Dopodiché, quella che all’inizio era una scena consueta, conosciuta, viene trasformata in un’immagine astratta, proiettandoci su un diverso livello di conoscenza.
Quando Edmund Husserl, padre della fenomenologia novecentesca, teorizzava il recupero della dimensione istintuale verso la realtà, lo concepì non come un rifiuto totale dell’approccio scientifico, bensì la coesistenza, nella ricerca e nell’osservazione dei fenomeni del mondo, del metodo pragmatico e di quello istintivo. La scienza talvolta manca di strumenti per esaminare un certo ambito della realtà: la dimensione soggettiva della percezione, della conoscenza.
In questa mostra la vera protagonista non è l’arte, bensì la condizione essenziale per esperirla, quella che Husserl chiama la coscienza intenzionale: la coscienza sempre vigile che si volge all’osservazione dell’oggetto. Ossia: osservare la realtà in modo consapevole, guardare le cose con l’intuizione. C’è qualcosa che va al di là di quello che possiamo soltanto vedere e dimostrare scientificamente, e per vederlo è necessaria una visione della realtà che va oltre le cose tangibili e le risposte scientifiche. Tra la coscienza, soggetto, e la realtà, oggetto, c’è un rapporto inscindibile, in cui non c’è contrapposizione.
Il video Translucide di Michele Spanghero offre la tregua di un supporto stabile, concreto, a un’immagine che è rivelazione sfuggevole. Osservata e catturata nel pieno della sua trasformazione, l’immagine inizialmente astratta e geometrica si smembra in un lentissimo morfismo che la trasforma in ciò che è, rivelandone connotati organici, come di cellule o batteri visti con la lente del microscopio.
Sotto una lente indiscreta è anche la vita privata del soggetto dei disegni di João Vilhena, riproduzioni della realtà a cui si somma l’immaginazione. Perché questo è il voyeurismo: aggiungere al livello dell’immagine reale la propria immaginazione. Ecco allora che la donna nuda alla finestra (abbiamo lo stesso punto di vista dell’autore: la finestra di fronte) non è pura registrazione, bensì ciò che a quell’immagine reale viene aggiunto dalla nostra mente o la nostra coscienza. È, di nuovo, un ulteriore livello di realtà.
Anche Fritz Panzer invita a usare l’immaginazione, ad aggiungerla nel processo di lettura. Con sottili linee di ferro disegna i contorni di oggetti, usando il ferro come una matita sulla carta. L’occhio è ingannato, e confonde il piano bidimensionale con quello tridimensionale. Soltanto lo sforzo immaginativo ci fa vedere che questi, infine, non sono altro che gli scheletri delle cose rappresentate, che ci rendiamo conto bastare a sé stessi per rendere l’essenza dell’oggetto.
Se, dicevamo, in ambito medico lo strabismo si connota come un difetto, in questo contesto viene trasformato in una condizione privilegiata. Accolto quindi l’invito a imitare il processo visivo dell’artista, iniziamo a cogliere anche il peso del suo ruolo, di chi possiede la privilegiata, ancorché scomoda, visone panottica. Usciamo da questo percorso con la sensazione che l’artista, come un oracolo, sia latore di quel messaggio che la realtà porta oltre la sua superficie. Ne porta il peso, il mistero, la responsabilità.
Questa mostra pone l’accento sulla coscienza dell’artista. L’etimologia di questa parola sottolinea la forza di quel sentimento che accompagna la scienza. E anche noi, spettatori altrettanto vigili, siamo invitati ad interrogare dunque la realtà non eliminando totalmente il fondamento pragmatico, ma introducendo nuove categorie di percezione.
Per noi oggi come per Husserl allora, il fine sarà recuperare, accanto alla dimensione razionale, quella istintuale, che, nel nostro secolo come in quello passato, il dominio scientifico rischia talvolta di cancellare.
Les yeux qui louchent
a cura di Daniele Capra
Artisti: Igor Eškinja, Fritz Panzer, Manuela Sedmach, Michele Spanghero, João Vilhena
30 settembre − 23 dicembre 2017
Galleria Alberta Pane
Dorsoduro 2403/H
Calle dei Guardiani, Venezia
Orari: da martedì a sabato 10.30-19.00 o su appuntamento
Info: +39 041 5648481
info@galeriealbertapane.com
www.galeriealbertapane.com