BOLOGNA | CUBO | Fino al 29 maggio 2021
Intervista TRETI GALAXIE, MATTEO MOTTIN e RAMONA PONZINI, di Alice Zannoni
Via Skype mi connetto con Matteo Mottin e Ramona Ponzini curatori della mostra REMOTE ARMONIE, personale di Matteo Nasini, inaugurata il 21 gennaio presso CUBO – museo d’impresa del Gruppo Unipol – a Bologna nell’ambito di das-dialoghi artistici sperimentali e fruibile fino al 29 maggio 2021.
A prescindere dalla mostra in corso che è oggetto di attenzione, mi interessa in principio fare una chiacchierata con i curatori per capire dapprima il loro approccio in generale e per entrare, successivamente, nel dettaglio della costruzione della mostra Remote Armonie.
Siete un duo curatoriale nato nel 2016 e vi definite “art project”. Cosa significa e perché questa definizione.
Ramona Ponzini: Ci definiamo art project perché mettiamo insieme due anime molto diverse, ma in realtà estremamente complementari: Matteo Mottin viene da un’esperienza pregressa di curatela, ma anche di importante lavoro editoriale nella redazione di ATP Diary.
Io, invece, vengo da una precedente esperienza di relazione professionale con una famiglia di collezionisti. Entrambi avevamo l’esigenza di confrontarci con l’arte emergente, giovane, con artisti viventi. Sentivamo la necessità di attivare dei dialoghi non solo con gli artisti, ma anche con il territorio, infatti una delle nostre caratteristiche è quella di non avere una sede fissa e di cercare di volta in volta di lavorare molto sullo spazio, confrontandoci con gli artisti e facendoli uscire dalla loro comfort zone per stimolare un rapporto con il circostante. Non ci interessa tanto la dimensione del white cube, quanto il processo e la ricerca.
Matteo Mottin: Per quanto riguarda la dicitura art project, è anche un gioco di parole, perché di solito diciamo: “Siamo un project space, ma senza space, quindi siamo solo un project”, e arte è l’ambito di cui ci occupiamo.
In quest’ottica, Remote Armonie è una mostra “anomala” rispetto ai nostri progetti precedenti, proprio perché allestita e pensata per uno spazio espositivo “tradizionale”. Inoltre, è il primo capitolo di un progetto in divenire.
Quindi il lavoro di Matteo Nasini nasce prima dal punto di vista ideativo e poi viene formulato visivamente allo spazio di CUBO e strutturato in base alle necessità dell’ultimo anno, in cui la fruizione è necessariamente ridotta. Bisogna elaborare delle strategie diverse.
R.P.: Sì esatto, abbiamo lavorato su un doppio binario da un punto di vista allestitivo: abbiamo voluto dare la possibilità di fruire la mostra da fuori, perché lo spazio lo consente, ma quando sarà possibile – e lo speriamo tutti – anche varcando la porta per entrare in sala. Ciò è consentito grazie all’interattività che è offerta dalla app di Cubo che permette a chiunque e da qualsiasi luogo di attivare Sidereo, una delle opere esposte.
Trovo la scelta coerente con il tema della mostra dato che, ad oggi, l’universo è di chiunque, per cui non sarebbe stato corretto precludere la fruizione a un ambito spaziale geografico ben definito.
M.M.: Assolutamente, l’universo è di tutti, non è ancora diventato un bene demaniale.
Dal punto di vista curatoriale vi siete trovati a fare della sperimentazione. Mi sento di dire addirittura duplice sia perché l’opera di Matteo è a tutti gli effetti un progetto sperimentale, sia perché, per essere al passo con le necessità delle restrizioni pandemiche, avete dovuto adattare il progetto. Non è stato facile. Siete soddisfatti del risultato ottenuto?
R.P.: Sì! Uno dei nostri principi è: “Quando trovi una difficoltà, rendila un punto di forza”. Abbiamo lavorato parecchi mesi, nonostante la situazione di incertezza, ma questo ci ha spinto a pensare a un ventaglio di possibilità, dalla più negativa alla più positiva, provando a fronteggiarle tutte e questa è stata una sfida… e le sfide ci piacciono.
Nel vostro sito, alla voce about campeggia la scritta: “L’arte ha il potere di migliorare la vita di chi ne fa esperienza”. Che cosa mi dite in merito a ciò?
M.M.: Il nostro statement è la chiave della nostra operatività. Certo, l’arte migliora la vita di chi ne fa esperienza, non di tutti in maniera automatica, ma di chi ne fa esperienza, per questo è importante portare al massimo le possibilità di esperirla, altrimenti il rischio è che l’arte contemporanea ti faccia sentire inadeguato. L’arte contemporanea non arriva a tutti perché richiede di attivarsi e informarsi per essere comprensibile. Vogliamo lavorare in questa direzione: portare l’esperienza dove è assente e renderla oggetto di interesse attraverso più strumenti.
In una delle belle newsletter Amarcord, Giancarlo Politi parla di Argan dicendo che era più bravo a leggere i libri che le opere di arte contemporanea. Argan scriveva dei giovani dal punto di vista di uno storico e alla fine il linguaggio c’entra per la comprensione dell’arte. Da una parte c’è l’opera, dall’altra c’è il testo, si appoggiano e tutto sta in piedi, se tu togli uno o l’altro, il discorso crolla.
R.P.: Ci sono due mostre che fanno parte del nostro percorso che vanno a cogliere esattamente questi aspetti: I, personale di Alvaro Urbano nella guglia della Mole Antonelliana, che era un solo show. Una mostra anti-commerciale perché non era solo un solo show dell’artista, ma anche un solo show per una sola persona. E poi la mostra di Clémence de La Tour du Pin nella Fortezza sotterranea del Pastiss a Torino, un luogo affascinante e misterioso aperto appositamente per la mostra dopo 300 anni di abbandono. La location ha fatto da traino per tutti coloro che erano interessati a vedere il luogo e che, di riflesso, si sono lasciati coinvolgere dalla narrazione; la visitatrice più anziana aveva 82 anni e quando è uscita ha chiesto se c’erano altre mostre, così ha poi iniziato a frequentare la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo perché voleva proseguire questa sua scoperta dell’arte contemporanea. È stata una soddisfazione! Della stessa mostra ti racconto che, per i bambini della fascia di età tra i 6-8 anni, abbiamo pensato a un racconto dell’esposizione come se fosse un videogioco, con i vari livelli… ciò per confermarti che il linguaggio è importante.
Faccio un passo indietro, il vostro nome Treti Galaxie cosa significa?
M.M.: Sorridiamo perché viene sempre storpiato o pronunciato in modo errato… la parola “Treti”, inoltre, è in lingua ceca, e il nostro palato non è allenato a pronunciare correttamente la sillaba iniziale… Treti Galaxie viene dalla canzone Stella stai di Umberto Tozzi. Negli Anni ’80, poco dopo la sua uscita, Michal David, giovane cantante cecoslovacco, trova il 45 giri e lo traduce in ceco… il testo però gli risulta intraducibile, quasi incomprensibile, così ne scrive da zero uno che narra di vicende ambientate nello spazio, ispirato dalla “stella” nel titolo, e la chiama Treti Galaxie. La canzone divenne popolarissima e ad oggi è una delle più cantate nei karaoke.
Lo abbiamo scelto come nome del progetto perché rappresenta un omaggio a quel meccanismo proprio dell’arte per cui prendi una cosa, la cambi di posto, le cambi il nome e diventa tutt’altro, aprendosi a nuove possibilità. Un approccio che da Duchamp in poi è onnipresente.
È una casualità che il progetto di Matteo Nasini sia centrato sulle stelle e che il nostro nome riporti alle galassie. In realtà stiamo lavorando con Nasini da parecchio tempo, e quello presentato da CUBO è una declinazione di un discorso che va avanti da un anno e mezzo e su cui lavoreremo ancora.
Quando mi dite “declinazione” del lavoro di Nasini, fate riferimento al fatto che la complessità della poetica si manifesta in più aspetti verbo-visivi?
M.M.: Matteo Nasini lavora spesso per serie, per esempio in Sparkling Matter l’artista trasforma i sogni in suono e in scultura elaborando il tracciato delle onde cerebrali di una persona dormiente. In Neolithic Sunshine ricostruisce in ceramica antichissimi strumenti al fine di farli nuovamente suonare nel nostro presente, facendo tornare contemporanei suoni familiari ai nostri antenati che vivevano nelle caverne. Mentre la serie di cui fa parte il progetto esposto da CUBO si riallaccia al tema della musica delle sfere di derivazione filosofica, ovvero all’idea che i pianeti, ruotando, producano un suono: il concetto è stato ripreso da Nasini in maniera letterale e reso concreto grazie a recenti sviluppi dell’informatica. Il nucleo del progetto è un programma che “legge” milioni di dati provenienti dai cataloghi stellari dell’ESA (European Space Agency) legandoli a una particolare coordinata terrestre. Costruendo una ideale linea retta tra questa coordinata e il centro della nostra galassia, traduce in suono il passaggio dei corpi celesti che la intercettano. Da qui derivano le opere in mostra, che grazie a CUBO siamo riusciti a realizzare.
R.P.: E di questo siamo molto grati ad Angela Memola, a tutto lo staff di CUBO e alla Direzione Comunicazione di Unipol perché il progetto non è facile, è molto sperimentale e sono stati coraggiosi nell’accettarlo e nel sostenerlo dimostrando una potente visione non comune di questi tempi e per realtà d’impresa che operano in ambiti apparentemente lontani dall’arte contemporanea.
M.M.: Grati anche perché decidere di aprire una mostra in un periodo come questo, in piena crisi pandemica, e di adattarla in maniera tale che possa essere fruibile anche attraverso un ricco public program curato da Federica Patti, non è banale. Siamo stati molto privilegiati.
CUBO ha recepito la possibilità di dare un segnale forte di ciò che rappresentano, al di là della dicitura museo di impresa. Infatti, CUBO ha anche appoggiato il radiodramma, ovvero un testo teatrale scritto per la radio; il format è, per così dire, datato poiché è nato in gran Bretagna nel 1924, in Italia può vantare autori, restando nell’ambito dell’arte visiva, come Marinetti e Bontempelli e oggi sta riscoprendo una seconda vita. Mi sento di potere usare ancora una volta il termine “coerenti” con i vostri intenti e, come mi avete raccontato, con il nomen omen, Treti Galaxie, ovvero di quell’essere dell’arte che prende, disfa, rifà… Come è nato il desiderio di affiancare a un progetto espositivo già strutturato un surplus che è un racconto?
R.P.: Il desiderio è insito nel nostro statement ed è quello di riuscire a porci come mediatori in una posizione che permetta di rendere intellegibile alla maggior parte delle persone la ricerca dell’artista; per questo il radiodramma è un’ulteriore forma linguistica attraverso la quale comunicare la mostra, una via di mediazione ulteriore.
M.M.: Sì esatto, dato che il progetto è tecnicamente molto complesso ci è sembrato sensato approcciarlo in questo modo, invece che concentrandoci su una rigorosa trattazione scientifica quale il progetto richiederebbe, con Nasini abbiamo pensato a una struttura narrativa che possa essere apprezzata anche dai bambini.
Senza nulla togliere al piacere della scoperta dato che il radiodramma è composto da 4 puntate che si potranno ascoltare fino ad aprile sul podcast di CUBO, mi potete dare una piccola anticipazione del radiodramma intitolato Il Canto degli erranti?
R.P.: Il canto degli erranti narra le vicende di Siderino, che vive in futuro prossimo in cui le acque hanno invaso la maggior parte della terra e in cui si sono costituiti nuovi ordini di potere. Siderino fa un ritrovamento importante… l’elemento centrale che costituisce Sidereo, ovvero la scultura esposta da Cubo che è attivabile tramite l’app… E ora, a voi la scoperta…
Con Matteo Nasini c’è stata subito sintonia. Con Matteo Mottin ha riscontrato da subito affinità sul fronte letterario, e non è un caso che il radiodramma lo abbiano scritto insieme, mentre con me più sul fronte musicale, quindi si è creato un trio che funziona a meraviglia.
Remote armonie – personale di Matteo Nasini
A cura di Treti Galaxie
21 gennaio – 29 maggio 2021
CUBO
Porta Europa – Spazio Arte, Piazza Vieira De Mello, 3/5, Bologna
Tutti gli incontri sono trasmessi in modalità LIVE Streaming sulla piattaforma gratuita, sulla pagina Facebook e sul canale Youtube di CUBO.
*Tenendo conto dell’emergenza sanitaria COVID_19 in atto, CUBO ha scelto un display espositivo che possa garantire la massima salvaguardia della salute degli spettatori e del personale di sala e al contempo permettere una ottimale fruizione delle opere esposte. Dall’esterno, oltre a fruire la mostra dalla grande vetrata che si affaccia sui giardini pensili del quartier generale del Gruppo Unipol in Porta Europa, è possibile attivare la componente sonora dell’opera attraverso la CUBO APP, un’applicazione multimediale costruita ad hoc che arricchisce il progetto e permette di ampliare in modo intuitivo e autonomo i contenuti inerenti la mostra Apple Store e Google Play www.cubounipol.it/it