SEREGNO (MB) | Artesilva | 20 settembre – 18 ottobre 2014
Intervista a ALESSANDRO TRAINA di Matteo Galbiati
In occasione dell’inaugurazione, avvenuta lo scorso sabato, della sua mostra personale presso la galleria Artesilva di Seregno (MB), abbiamo incontrato Alessandro Traina (1957) che, percorrendo le opere di questa esposizione, ci ha accompagnati in una riflessione sull’ultimo ciclo di lavori cui quelli esposti appartengono. La personale intitolata Consequenze offre una ricognizione che, attraverso “telai” leggeri, sospesi sulla parete, e piccole “maquette” incorniciate, quasi disegni tridimensionali, ma che conservano tutta la tensione costruttiva delle opere più grandi e da cui si generano, dimostra quella dinamica evidentemente costruttiva del processo astrattivo di Traina. Affidiamo a lui qualche breve considerazione:
Questa mostra presenta al pubblico l’ultimo ciclo di opere che hai realizzato, come si inseriscono nel quadro generale della tua ricerca? Che aspetti mantengono in comune con le precedenti, cosa hanno di nuovo?
Il mio lavoro si sviluppa per serie e ognuna rappresenta ed evidenzia uno scatto in più, una evoluzione della precedente. Direi quasi una trasformazione fisica, come un corpo che cambia nel tempo attraverso movimenti impercettibili. Ciò che accomuna ogni serie è la combinazione di più elementi, la mia necessità di ricomporli per ridare vita a ciò che hanno rappresentato e possono rappresentare ancora. È comunque un lavoro di ricostruzione, il “nuovo” qui è dato da elementi da sovrapporre.
Cosa ci dicono queste Consequenze? Cosa significa questo titolo?
Sequenza di elementi (sovrapposizione) e conseguenza di azioni (posizionamento).
Queste opere sono in un territorio di “confine” tra la pittura e la scultura: cosa hanno dell’una e dell’altra espressione?
Confine è la collocazione esatta in quanto non sono né pittura né scultura, pur contenendo tutte e due le discipline artistiche. Sono tutte a parete, seppure questo non le avvicini alla pittura e le allontani dalla scultura nella sua concezione più tradizionale. Ma non mi sono mai preoccupato molto di dover trovare una giusta area al mio lavoro…
Durante l’inaugurazione Luciano Caramel, nella sua introduzione, ha fatto cenno alla leggerezza, un elemento presente nel tuo lavoro. Come ti poni rispetto a questa idea di sviluppo “libero” dell’opera?
La leggerezza è, in effetti, sempre presente nel mio lavoro ed è data certamente dal fatto che ogni opera è composta da più elementi “mobili”, senza alcun riferimento a quelli di Calder, ma intendendo elementi riuniti, siano accostati o sovrapposti, come in questi ultimi che sono comunque indipendenti uno dall’altro. Non vengono mai saldati o incollati insieme per comporre l’opera, sono sempre rimovibili. Per cui ogni volta che si deve montare un lavoro o l’intera mostra, comincia l’atto di ricostruzione, chiunque sia il fruitore dell’opera, l’artista, il gallerista o il collezionista che lo vuole nella parete di casa.
Alla leggerezza contribuisce anche la scelta dei materiali. Le opere hanno l’anima in ferro ma sono fasciate da garza da farmacia, poi colorata, che rende le barre come strisce di tessuto. Questo, collegandomi alla domanda precedente, anche per allontanare l’immagine di pesante scultura in ferro.
Durante il dibattito si è parlato anche di “forma aperta” per questi lavori cosa si intende?
Credo che Luciano Caramel intendesse arrivare al concetto che ho espresso nella risposta precedente, cioè il fatto di dovere comporre l’opera da parte del fruitore, anche se, voglio precisare, in questa serie come nel mio lavoro degli ultimi anni, non c’è possibilità di comporre liberamente gli elementi; la composizione non è libera, ma è data solo dall’esatto loro posizionamento. Esatta posizione che permette di ricostruire ciò che rappresentano, in questo caso un disegno dato da rettangoli o quadrati sovrapposti.
Invece rispetto proprio alla loro evidente geometria? Come nascono e si generano queste forme, so che non sono libere visioni astratte, ma sono in realtà frutto di uno studio “programmatico” e pianificato sull’evoluzione di una forma che, piegandosi, ne genera altre…
La geometria è una mia scelta espressiva in quanto la considero linguaggio universale, che non ritengo possa essere l’immagine figurativa. La geometria ha certo bisogno di un progetto, un disegno pianificato nelle misure e nella forma delle strutture. Accennando alle strutture piegate credo che tu ti riferisca alla mia penultima serie dal titolo INspiegabile, dove diversi disegni geometrici appaiono accostando sulla parete in una precisa posizione vari elementi anche essi di forma regolare ma casualmente piegati, quindi aggettanti. Non sono da “spiegare”, nel senso di stendere, spianare, solo da avvicinare. Nelle Consequenze invece, le varie griglie ortogonali aperte, chiamiamole così, di cui sono formate le opere, hanno l’esatta estensione che gli permette, una volta sovrapposte appoggiandole ad un unico supporto a parete, di chiudere la struttura mettendo in evidenza la composizione geometrica data dai vari rettangoli o quadrati. Solo quelle misure e quella posizione possono definire il disegno.
Cosa ci dici della scelta cromatica dello spessore e “diversamente tattile” delle superfici? Cosa porta questa scelta?
Nel mio lavoro voglio che l’attenzione sia rivolta principalmente al posizionamento degli elementi, da qui la scelta di colori tenui, di far affiorare il disegno solo attraverso sfumature di colore o, nelle opere monocrome, attraverso la differenza di superficie data da reti di diversa tramatura. Ad un primo sguardo il lavoro appare confuso in alcuni pezzi, monocolore in altri, ma è solo soffermandosi a guardare che si intuisce il progetto.
Quanto conta il rapporto con il vuoto e l’ombra che producono queste opere quasi “sospese” sulla parete?
Toglierei il “quasi”, sono sospese sulla parete! Se le urti cadono! La precarietà, la provvisorietà sono un altro aspetto concettuale, permettimi il termine, del mio lavoro. La provvisorietà è presente ovunque, in noi stessi, in quello che siamo in quello che facciamo e dove viviamo. Tentiamo almeno di fermare qualcosa! Direi che l’aspetto formale, il vuoto o l’ombra, che inevitabilmente crea un oggetto e che lo fa apparire più o meno affascinante, è quello che mi interessa meno.
In mostra hai presentato anche opere su carta che, in realtà, si sviluppano anch’esse tridimensionalmente. Sono una prova per i lavori più grandi?
Il lavoro su carta è un’altra cosa che mi piace molto e che ho sempre fatto in parallelo. In realtà non sono quasi mai studi per i pezzi grandi, anzi ti dico sinceramente che nascono dopo, per cui lo definirei un lavoro a sé. In questa serie la sovrapposizione è data da differenti piani in plexiglass distaccati tra loro sui quali sono appoggiati gli elementi. Anche qui ho usato materiali differenti, carta riciclata, colorata, cartoncino e leggeri tessuti. E alla base sempre uno studio progettuale.
Dopo questa mostra quali saranno i tuoi programmi e impegni futuri? Hai qualche nuovo progetto su cui stai lavorando?
Si spera sempre che da cosa nasca cosa, ma anche qui siamo nel campo della precarietà. Materialmente non sto ancora lavorando ad un nuovo progetto, ma nella mente queste ultime opere si stanno muovendo anche se ancora a livello impercettibile, per cui sto aspettando un nuovo livello di trasformazione per coglierlo al momento giusto.
Alessandro Traina. Consequenze
testo critico in catalogo di Luciano Caramel
20 settembre – 18 ottobre 2014
Artesilva
via San Rocco 64, Seregno (MB)
Orari: dal martedì al sabato h. 15,30 – 19,30 o su appuntamento
Info: + 39 0362 231648; +39 339 8997150
info@artesilva.com
www.artesilva.com