SUSCH (CH) | MUZEUM SUSCH | 5 GIUGNO – DICEMBRE 2021
di CATERINA IAQUINTA
Laura Grisi. The Measuring of Time, la prima grande retrospettiva dedicata a Laura Grisi, curata da Marco Scotini per il Muzeum Susch, ha il merito di fare luce su un’ampia visione d’insieme di quelle che, oggi, potremmo immaginare come una serie di possibilità di percepire e conoscere il mondo.
Nata a Rodi e vissuta tra Roma e New York, Laura Grisi, dalla metà degli anni Sessanta, partecipa a diverse mostre italiane e internazionali col supporto di critici affermati. Fin dagli esordi la sua ricerca, però, risulta faticosamente ascrivibile entro le tradizionali categorie artistiche: inquadrare diverse volte una stessa immagine per dichiarare il limite della rappresentazione, udire un suono inascoltato e registrarlo, iniziare un tipo di misurazione possibile ma tendente all’infinito, permutare un intervallo di tempo per un certo numero di volte sono solo alcune delle azioni compiute dall’artista che meglio rappresentano i due decenni di sperimentazione che la mostra ripercorre.
Il grado di complessità contenuto in questi cicli di opere si trova a ben vedere in dialogo con tutte quelle posizioni decentrate rispetto ai saperi egemonici e rappresentate dalle teorie sul genere e dal pensiero ecologico o postcoloniale. Opere come ipotesi, dunque, quelle di Laura Grisi, tese a convalidare l’inattualità di un approccio deterministico e maschilista alla realtà per dimostrare, come afferma Marco Scotini, che “il pensiero, in sé, sia movimento, la dotazione inesauribile di un soggetto nomade”.
Nel visitare le prime sale della mostra, siamo difatti chiamati a riconsiderare innanzitutto la nostra condizione fisica e materiale nell’immersiva Whirpool Room (1969), una proiezione a pavimento di un vortice d’aria; a seguire sono poi le coordinate spazio-temporali delle forme egemoniche della cultura ad essere messe in discussione di fronte ad alcune gigantografie delle fotografie di viaggio eseguite dall’artista tra il 1958 e il 1964.
In questi anni, dotata di una Hasselblad e una Rolleiflex, Laura Grisi accompagna l’allora marito Folco Quilici, popolare documentarista e regista, nelle sue spedizioni nelle Isole dell’Oceano Pacifico, nel Sud Est Asiatico e in Africa, realizzando circa 5.000 fotografie. In quelle occasioni documenta tutto ciò che la circonda: persone, paesaggi, riti, costumi, fenomeni naturali. Le fotografie, mai esposte fino ad oggi insieme alle opere successive, ma pubblicate in due suoi libri fotografici Pasos por Buenos Aires (1963) e I denti del Tigre (1964), mostrano già un’irrequietezza nei confronti dei limiti del mezzo, lo stesso che poco dopo succederà anche per la pittura: il primo perché visto come un arresto del tempo e incapace di obiettività, l’altra inibizione del movimento e dello spazio.
Le opere pittoriche, ad esempio Landscape-Omaggio a Gainsborough e Seascape-Omaggio a Constable del 1966, infatti, sono composizioni di figure geometriche su pannelli scorrevoli giocate attorno al paradigma inclusivo-esclusivo della cornice. Una costrizione che trova sbocco nelle “strutture scatolari” costruite con materiali freddi e industriali dove la pittura si trasforma in un rilievo plastico tridimensionale e aggettante dalla parete nello spazio, come Glosty del 1966 e Subway o Sunset light del 1967. In particolare quest’ultima sembra un’anticipazione di quella fase che porterà Grisi, sostiene il curatore, a “convertire i segni in forze, il piano in ambiente, l’esposizione in situazione, il duraturo in evento”.
Un’area di nebbia, Wind S.E., Drops of water, Volume d’aria, tutti del 1968, sono ambienti, alcuni dei quali ricostruiti per la prima volta in occasione della mostra, dove Grisi opera una trasposizione artificiale dei fenomeni naturali dall’esterno all’interno dello spazio espositivo: la nebbia viene ricreata attraverso lampade al neon e fumo, un ventilatore portato alla massima velocità riproduce 40 nodi di vento, gocce cadono dal soffitto attraverso un sistema idraulico in una grande vasca, una stanza completamente vuota è illuminata dalla luce bianca del neon. Un cortocircuito sia percettivo, in quanto esperienza “provocata e regolata sul tempo e resa evidente”, dice l’artista, come se davvero si vivesse quella situazione per la prima volta, che visivo per la posizione degli elementi che compongono questi spazi e che, seppur esplicitamente mostrati, trasmutano la loro consistenza in puro effetto.
Questa “insufficienza del visivo come momento percettivo esclusivo”, così la definisce Scotini, arriva a compimento con quella che forse sono le opere più radicali, corrispondenti alla seconda metà degli anni Settanta. Con le “distillazioni” (raccolte nel libro d’artista Distillations: Three Months of Looking del 1970), esercizi basati sull’ascolto e sull’osservazione che producono esiti parziali se non addirittura impossibili o imprevisti perché incalcolabili, Laura Grisi porta la ricerca su un piano più astratto e immateriale.
Nell’ultima serie presentata in mostra si riconoscono le operazioni matematiche della permutazione dislocate su un piano naturale, abbinate a ciottoli (From One to Four Pebbles, 1972), ai colori dell’arcobaleno (Stripes, 1974) o alle lancette di un cronometro (Hypothesis about Time, 1975) mentre si aggiunge il registro fotografico solo per confermare una sua utilità in chiave impersonale e meccanica.
Dismessi gli involucri e gli spazi aperti e con l’impiego del linguaggio scientifico Laura Grisi ha, così, individuato l’unico modo possibile per continuare ad esplorare il mondo. In questo procedere, che è mentale e poetico allo stesso tempo, capovolge definitivamente e senza mezzi termini l’ordinario sistema cognitivo e percettivo in un’attività di conoscenza in divenire, capace di smontare e rimontare il mondo un’infinità di volte.
Laura Grisi. The Measuring of Time
a cura di Marco Scotini
5 giugno – dicembre 2021
Muzeum Susch
surpunt 78, Susch (CH)
Info: +41 (0)81 861 03 03
info@muzeumsusch.ch
www.muzeumsusch.ch