OSCAR DAMIANI. L’ARTE NEL PALLONE | Chimera Editore
Intervista a OSCAR DAMIANI e ANGELA FARAVELLI di Matteo Galbiati
Nello sport è stato un campione indiscusso: da grande calciatore ha militato nelle principali squadre di serie A, ha partecipato alle imprese della Nazionale e, a carriera conclusa, ha spostato il suo contributo dai campi all’impegno di procuratore sportivo di grande esperienza ed intuito, gestendo i principali calciatori che negli anni si sono avvicendati nel nostro campionato. Se la sua forza e il suo lavoro nello sport sono noti a tutti, meno nota è la passione che Oscar Damiani (Brescia, 1950) ha sempre avuto per l’arte, o meglio, come lui stesso l’ha definita, una vera e propria “malattia”.
Fin da giovanissimo ha iniziato a seguire questo suo interesse, investendo (ventenne) il primo stipendio nell’acquisto di un Sironi. Erano altri tempi, erano altre personalità quelle che “scendevano in campo”. Dagli inizi degli anni Settanta ad oggi di acqua sotto i ponti ne è passata moltissima, ma non è cambiato lo spirito del suo collezionismo che oggi si riflette in una collezione di grande spessore proprio per scelte che hanno sempre assecondato quella passione autentica, sentita e manifestata per opere e per autori. Del resto, la sua collezione, è un piccolo saggio di arte contemporanea: i nomi che “contano” ci sono tutti e, a testimonianza del suo “sapere” da mecenate, ci sono i “tempi non sospetti” delle acquisizioni.
Per i suoi settant’anni Oscar Damiani si è regalato (e ci regala) un volume che unisce le due anime, quella di sportivo e di collezionista, avvicinando due mondi assai distanti tra loro, ma che nella sua consapevolezza hanno trovato la ragione d’incontro nel suo animo. Un volume che, tra calcio e arte, ci racconta la vita intensa di questo straordinario personaggio.
In occasione dell’uscita di Oscar Damiani. L’arte nel pallone lo abbiamo incontrato per questa breve intervista con Angela Faravelli (curatrice del volume e autrice, con Alberto Cerruti, dei testi introduttivi). Ci ha accolto amichevolmente nel suo studio milanese, circondato dai capolavori della sua collezione che, pur in un ambiente di lavoro, hanno uno spazio da protagonisti indiscussi. Abbiamo conversato amabilmente con lui mentre ci mostra le opere e ci riporta la sua preziosa testimonianza:
In molte tue dichiarazioni il punto fermo è che collezionare opere d’arte è innanzitutto passione, senza calcoli o pianificazioni. Quando è nato il tuo interesse per l’arte? Chi ti ha avvicinato a questo universo infinito?
Oscar Damiani – È stata una passione spontanea, direi innata. Sono sempre stato un grande lettore, un divoratore di libri e ho sempre avuto interesse per la creatività artistica. A vent’anni giocavo nel Vicenza, in questa città c’erano delle gallerie bellissime e qui ho iniziato a frequentare le mostre. Poi mi spostavo a Padova, Venezia, Verona. Il mio compagno di stanza, Fabrizio Berni, frequentava allora la Facoltà di Lettere. Eravamo avidi divoratori di libri, con lui ho condiviso questa mia passione, con lui ho approfondito gli stimoli artistici e culturali in modo scambievole e reciproco. Del resto ho sempre incontrato le persone “giuste” che hanno saputo darmi proprio quegli spunti necessari a coltivare la mia passione. Gli amici del mondo dello sport e i galleristi con cui nel tempo è nato un rapporto amichevole e di confidenza. Sono loro che hanno sostenuto e supportato, se non addirittura alimentato, i miei interessi. Poi naturalmente gli artisti.
In ogni città in cui ho vissuto ho sempre frequentato le gallerie e visto le mostre, non ho mai mancato le inaugurazioni. A questo ovviamente devo sommare i musei di tutto il mondo, visitati in occasione dei miei viaggi di lavoro e di piacere.
Il tuo primo acquisto fu l’opera di un artista storico importante, comprasti un Sironi, ci racconti come è andata? Perché Sironi?
OD – Confesso che quando l’ho comprato mi pareva di compiere una follia, avevo vent’anni e mi è costato il primo stipendio! D’altro canto come sai i miei acquisti – al pari di tutta la mia vita – sono frutto di emotività. Ho sempre seguito la passione e quel trasporto sensibile che mi faceva desiderare l’opera per le affinità, il sentire interiore, la risonanza estetica, la condivisione della poetica… Non ho mai seguito le mode o quello che il sistema economico dell’arte ha imposto nel corso degli anni. Credo avrei commesso errori gravissimi, invece, di questa mia maniera “anarchica” non mi sono mai pentito di quello che è entrato nella mia collezione. Il Sironi l’ho amato subito, era quasi una follia allora. L’emozione che ho provato vedendolo è stata qualcosa di particolare, allora, però, era un autore poco amato, era ancora incombente l’ingiustificata etichetta di artista fascista. Non me ne sono curato, ho seguito il mio istinto.
L’ultimo acquisto invece?
OD – Una scritta di neon di Fabrizio Dusi, anche nel suo caso un colpo di fulmine! Ho visto la sua mostra alla Casa della Memoria di Milano, mi ha conquistato e ho voluto avere un suo lavoro. Esattamente come il Sironi, cinquanta anni dopo, il mio atteggiamento è rimasto il medesimo!
Come hai sviluppato la tua collezione e che orientamenti hai voluto dare? Come hai determinato le tue scelte?
OD – Come dicevo – è un punto cui tengo molto – nasce tutto da un’emozione sentita per l’opera, poi nel tempo ci sono anche delle piacevoli sorprese che confermano le scelte. Ad esempio l’amicizia con gli artisti: in ogni città in cui ho vissuto ho sempre frequentato le mostre e i musei, ho voluto incontrarli, vedere gli studi, per me è fondamentale la conoscenza diretta, il contatto. Con loro, ma anche con i galleristi che hanno compreso il mio modo di intendere il collezionismo e hanno contribuito a rafforzare la mia cultura artistica. Anche loro sono poi diventati amici fidati, un rapporto che va oltre l’acquisto delle opere: penso a Tornabuoni, Mazzoleni, Cardi, Lia Rumma. La mia collezione è nata dal cuore, non con l’idea dell’investimento, basandosi sulla fiducia reciproca.
So che per te è stato importante anche il rapporto diretto con gli artisti: con molti, che erano giovani allora e diventati poi maestri, hai avuto un rapporto di sincera amicizia. Ci racconti qualche aneddoto? Qualche incontro divenuto per te importante?
OD – Gino de Dominicis, di cui ho collezionato 6 opere, era diventato un davvero grande amico, ci si vedeva spesso. Era un punto di riferimento artistico e personale. Ricordo i momenti trascorsi assieme alla Biennale di Venezia, al Festival del Cinema, ma anche le nottate a Piazza del Popolo a Roma, dove poi finivamo per giocare a calcio nella piazza. Eravamo tutti e due “originali” forse un po’ stravaganti. L’ho sempre seguito in tutte le sue mostre. È mancato troppo presto.
Quando posso seguo gli artisti dovunque, come De Maria, altro grande amico, ricordo che Sperone stava organizzando una sua grande mostra a New York nel 2001, ero sull’aereo per andare a vederla, quando ci hanno dirottati ad Halifax in Canada. Era l’11 settembre e i tragici attentati alle Torri Gemelle hanno ovviamente cambiato tutti i piani. Dopo essere stato bloccato in Canada sono rientrato in Italia senza vedere, ovviamente, la mostra. Era impossibile pensare di farlo. Unico caso in cui ho mancato una mostra che avevo in programma di vedere.
Ho un incredibile rapporto di confidenza con Paladino o Stampone di cui ho molte opere, alcune realizzate appositamente per me. Con molti artisti ci sono quell’intesa e quell’empatia peculiari che vanno oltre la semplice amicizia.
Chi, artisti e galleristi a parte, ti ha aiutato e affiancato nell’esperienza del collezionismo?
OD – Nessuno, è nata spontanea, da sola. Ho letto molti testi di storia dell’arte per farmi una mia cultura che era necessaria per comprendere bene il contesto culturale. Per il resto tutto è sempre nato spontaneamente. Andavo a vedere le mostre con Ariedo Braida, un uomo di grande cultura, lui mi ha dato molti stimoli interessanti e ha saputo coinvolgermi ancora di più in questa mia avventura da collezionista.
Da calciatore prima e da procuratore poi, hai trasmesso la passione per l’arte a qualche tuo collega coinvolgendolo?
OD – Ci ho provato, sono sincero, ma mi sono fermato perché non ho trovato terreno fertile. Del resto sono liberi di investire i loro guadagni come meglio credono, non posso obbligare ad interessarsi all’arte se non c’è quella giusta sensibilità, altrimenti non si va da nessuna parte.
Per i tuoi 70 anni ti sei regalato il catalogo della collezione. L’opera che vorresti avere e che non sei ancora riuscito a inserire?
OD – Sì ho un desiderio che completerebbe la mia collezione… Vorrei poter avere una bella ceramica di Lucio Fontana. Tutti lo legano ai tagli, ma ci si dimentica del suo valore straordinario come scultore, del suo sentire la materia e i suoi spessori, i pieni e i vuoti, gli spazi e le superfici.
Come avete pensato al progetto editoriale? Quando e come è nato?
Angela Faravelli – È nato nel 2019 quando avevamo deciso di realizzare una biografia dedicata ad Oscar che riunisse sia la sua brillante carriera sportiva, sia la sua esperienza di collezionista. Non era semplice unire due mondi così diversi in un un “contenitore” unico che rispecchiasse anche il suo spirito. Cerruti, che si è occupato della parte biografica, aveva la necessità di seguire un andamento cronologico dettato proprio dall’aspetto biografico. Bisognava trovare il modo per “incastrarla” con le vicende della storia dell’arte e trovare un nesso di reciprocità. Comporre il volume nell’esito che vedi è stato come giocare a Tetris. Poi quando abbiamo iniziato a riunire i materiali è, di fatto, nato da solo… Vita pubblica, privata, sportiva, il collezionismo si sono unite definendo la sua personalità. Il libro rispecchia perfettamente l’essenza di Oscar: da una parte abbiamo la sua storia calcistica e di procuratore, da cui emerge la sua serietà, la sua forza, il suo carattere esuberante; dall’altra attraverso l’arte emerge la spontaneità del suo sentimento e della sua sensibilità. Tutto è perfettamente compenetrato e unito, non ci sono due mondi paralleli e separati. La struttura del volume lo mette bene in evidenza, portando alla luce legami e connessioni che magari il pubblico non conosceva o non sapeva del tutto.
Che struttura avete dato e che ordinamento avete seguito nell’intrecciare ricerca artistica, scelte collezionistiche ed esperienze di vita pubblica e privata?
AF – Con Alberto Cerruti abbiamo scelto di dividere tutto in sette capitoli, sette che rimanda al numero storico della sua maglia quando scendeva in campo. Poi abbiamo cercato di suddividere, come dicevamo, le due anime dell’identità di Oscar facendole coesistere anche nel volume. Era importante non separare i due aspetti che non volevamo disperdere in capitoli separati. Tutto doveva essere presente contemporaneamente dall’inizio alla fine. Calcio e arte si uniscono sempre nella personalità di Oscar come la sua storia ci dimostra. Abbiamo voluto che già dalla copertina del volume si volesse comprendere questa visione. Non abbiamo privilegiato nessun ritratto, nessuna opera particolare, ma, grazie al collage disegnato dall’architetto Giulio Ceppi, abbiamo ripreso il cerchio del pallone dentro al quale si sommano dettagli di opere, foto e disegni che determinano alcuni momenti della sua vita. Voleva essere un “gioco” allusivo, ma sempre determinante. Anche nel titolo abbiamo tenuto le parole chiave: arte e pallone.
Che identità esce di Oscar Damiani come collezionista, sportivo e uomo di cultura? Che profilo ci dai?
AF – Esce l’identità di una persona attenta alla collettività e, sebbene il volume sia stato concepito per se stesso, omaggio ideale alla famiglia e agli amici, in realtà diventa una testimonianza utile da condividere, perché tocca ricordi e avvenimenti che riguardano, per certi versi, tutti noi. Viviamo la nostra storia attraverso le sue esperienze. Emerge un Damiani generoso, appassionato, divertente, altruista ed espansivo. È un collezionista che si è sempre mosso più per dare che non per avere solamente e, proprio come dicevi tu, il suo è esempio di mecenatismo da altri tempi.
Dal volume esce il suo eclettismo, la sua determinazione, la sua attenzione maniacale. Anche alle relazioni, è la testimonianza di una storia di relazioni e connessioni con persone diverse, ma sempre animate da quella passione che lo connota prima come uomo e poi come sportivo e collezionista.
Con la pubblicazione non si esaurisce certamente la tua passione, prossimi acquisti?
OD – In effetti la voglia di continuare ad acquistare c’è ed è viva più che mai! Voglio ancora migliorare i contenuti della collezione con nuove opere e seguire gli artisti che amo. Il problema vero è lo spazio! Tutto quello che ho è esposto a casa o in ufficio, non esiste per me l’opera riposta in magazzino per il solo gusto di averla. Le mie opere le voglio vivere e vedere sempre, le voglio attorno a me. Voglio sentire, ascoltarle e parlarci. Impensabile e inconcepibile tenerle al chiuso, lontano dallo sguardo. Acquisterò ancora ovviamente, anche se, però, non potrò pensare ad opere di grande formato, mi accontenterò di opere più contenute, del resto anche loro danno grande piacere se stimolano la sensibilità e la sanno sollecitare e interrogare.
Qualche altro sogno da realizzare?
OD – Il sogno è quello di condividere di più la mia passione, far vedere agli altri e trovare occasioni di dialogo. In molti mi hanno chiamato per l’uscita del libro e si sono interessati alle opere e agli artisti. Questo mi fa piacere, anche questo è il compito di un collezionista e della sua collezione. Il sogno nel cassetto… Organizzare una bella mostra pubblica della collezione. Questo significherebbe davvero una condivisione massima.
Titolo: Oscar Damiani. L’arte nel pallone
A cura di: Angela Faravelli
Testi di: Alberto Cerruti e Angela Faravelli
Anno: 2020
Pagine: 186
Prezzo: Euro 20.00
ISBN: 9788899169114
Editore: Chimera Editore