BRESCIA | Brixia – Parco Archeologico di Brescia Romana | Dal 16 gennaio 2021
di ILARIA BIGNOTTI
Cosa è un capolavoro?
È un’opera che, ergendosi su tutte le altre, guida e ispira i valori e le forme di una comunità storica e culturale, sociale e civile che in essa si riconosce. E proprio in virtù di tali valori riconosciuti un capolavoro diventa icona e persiste nel tempo, continuando ad affascinare e a far riflettere, a ispirare e irrompere, con la potenza del suo linguaggio e l’armoniosa eternità delle sue forme, la collettività e gli artisti di tale collettività: scrittori e pensatori, storici e scultori, architetti e musicisti.
Un capolavoro non ha tempo ed è figlio di tutti coloro i quali sentono di esserne parte: continua ad esistere nello sguardo di chi l’accoglie, nei molteplici significati e messaggi di cui si fa interprete.
La Vittoria Alata, una statua di bronzo di età romana, databile attorno alla metà del I secolo d.C., rappresentante una figura femminile con ampie ali, alta poco meno di due metri, le lunghe braccia tese in un gesto che pur senza gli elementi a completarlo trasmettono fierezza e potere, è un capolavoro: icona e simbolo della storia della sua città, Brescia, nei secoli è sempre stata, anche, ispirazione e musa di poeti, letterati, artisti e architetti storici e contemporanei.
All’alba della modernità fu tirata fuori dalla terra, durante gli scavi archeologici della prima metà dell’Ottocento: la trovarono lì, sotto a dove secoli e secoli prima svettava, nel cuore civile e religioso, politico e sociale di riferimento della Brixia romana, dominato dal Tempio Capitolino, dal Teatro, dal Santuario tardo-repubblicano e dalla adiacente Piazza del Foro, che ancor oggi mantiene il proprio nome antico.
La misero su un carro festante che sfilò tra le vie cittadine.
Era il 22 luglio 1826. Ne parlarono in molti, i giornali impazzirono, in molti vennero a vederla dal vero: i poeti le dedicarono componimenti – l’Ode barbara di Giosuè Carducci del 1877 si intitola, semplicemente, appassionatamente, Alla Vittoria; Napoleone III, ospite a Brescia nel giugno 1859 prima della battaglia di Solferino, ne fece fare una copia per il Museo del Louvre, folgorato dalla sua bellezza fiera e raffinata; una copia è anche al Vittoriale di Gardone Riviera, nella Casa Museo di Gabriele D’Annunzio, che non sfuggì alla sua fascinazione e chiese allo scultore Renato Brozzi di ingegnarsi a farla bella quanto l’originale, nei primi anni Trenta.
Un capolavoro non ammette repliche, ma si concede a farsi imitare, desiderare, ispirando, ossessionando, chi vi si para davanti.
Pigmalione non impazzì per Galatea, al punto da vederla – volerla – viva?
Qualcosa di simile accade per Vittoria Alata.
Non ne conosciamo l’autore, che sicuramente fu un bravissimo maestro attivo in un atelier di grandi maestranze: con la tecnica della fusione a cera persa cava indiretta, fuse e assemblò oltre trenta parti in bronzo, per dare forma alla “sua” statua.
Le lunghe ali, con quelle piume che si ispessiscono e prendon rilievo, salendo verso le spalle; i panneggi che aderiscono al corpo, segnandone le forme e conferendo un ritmo affusolato e plastico ai volumi; le finezze dei capelli e della coroncina sulla nuca, con piccoli fiori; e quel viso, che non ride e non asserisce, ma è già eterno, in uno sguardo qui e altrove: Vittoria Alata attraversa, non resta in un’epoca.
E come tutti i capolavori, non è solo uno stimolo per l’arte, ma un vessillo per la comunità.
Ha rappresentato, per questo, l’Italia intera, diventando icona dell’identità nazionale durante la Prima Guerra Mondiale; al termine del secondo conflitto tornò a Brescia, dopo esser stata protetta in una villa in campagna, assieme ad altre opere d’arte che non dovevano rischiare di perdere nemmeno un frammento, nello scempio tragico e immondo della guerra.
Dalla fine degli anni Novanta era la padrona di casa del Museo della città che si trova all’interno del complesso monumentale di Santa Giulia, parte di un più ampio percorso archeologico tra i più significativi e meglio conservati d’Italia, riconosciuto come Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO con il sito I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d. C.).
Era da due anni che non la si vedeva: Vittoria Alata è appena tornata a Brescia, dopo un accurato restauro condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
L’ispirazione, si diceva, passa attraverso i secoli e i linguaggi.
Juan Navarro Baldeweg (Santander, 1939) ne sa qualcosa: artista e architetto spagnolo, che nella sua ricerca fa convergere una sensibilità irrequieta nei confronti degli elementi primordiali – la terra, la luce, il vuoto, l’oscurità – con una visione neo-umanistica della tecnologia e del progetto, cercando congegni e tradimenti dello sguardo, in una tensione di nuove armonie e piccoli paradossi, ha voluto dedicare a Vittoria Alata una nuova collocazione.
Innanzitutto, l’ha riportata nel suo Tempio Capitolino. Qui, ha scelto la cella orientale come palcoscenico: se un’opera è un capolavoro, non possiamo di certo guardarla come tutte le altre. Baldeweg l’ha fatta innalzare: oggi poggia su un basamento di marmo di Botticino, bianco, che la rende aerea, eterea, complice anche quell’occhio di luce lunare al di sopra di lei.
Bianco per far rilucere il bronzo: le pareti dell’ambiente sono di mattoni, quelli che usavano anche i romani, rossi e piccoli. Baldeweg li sbianca quanto basta per dare l’idea di un luogo antico eppur moderno, neoclassico quanto basta per ricordare quando Vittoria Alata fu riportata in luce.
Ogni tappa deve essere evocata, non detta, nel suo riallestimento. Ma quel che più sorprende sono due stratagemmi, che da un artista e architetto come lui ci si doveva aspettare. Non la vediamo subito, o meglio, non siamo subito posti vis-à-vis con la statua: entrando nella cella, dobbiamo compiere un rondò per averla davanti agli occhi. Dopotutto, non si dice che per ammirare davvero una scultura, bisogna girarle attorno? Le facciamo la corte, nel senso vero e in quello lato.
Poi, sulla parete sinistra, il secondo colpo di genio: come in una composizione astratta, iper contemporanea, i frammenti delle cornici antiche che erano emersi durante gli scavi ottocenteschi, sono disposti a formare un nuovo codice. Non ne possediamo la chiave di lettura, ma lo sguardo scorre dai morbidi volumi femminili del bronzo statuario, all’alfabeto lineare delle cornici. Come a dire: leggete ora l’antico, non è mai stato così moderno!
In un certo senso, tutti gli artisti che oggi provano a dialogare con Vittoria Alata – ci sarà presto anche Francesco Vezzoli – pare che sentano il bisogno di entrare in dialogo con essa attraverso una sua decodificazione e riscrittura.
Non poteva che essere così per Emilio Isgrò, protagonista dell’arte concettuale italiana e inventore del concetto di cancellatura quale medium riattivante e risignificante la parola e l’immagine, in direzione di riscatto ideologico e di riappropriazione etica del linguaggio.
È sua la riconoscibilissima, monumentale Incancellabile Vittoria che si staglia su una superficie parietale di oltre 200 metri quadrati alla fermata “F.S. Brescia” della metropolitana cittadina: le cancellature, realizzate con oltre 200 pannelli di fibrocemento fresati, rossi e neri, restituiscono la silhouette di Vittoria Alata e lasciano leggere un brano tratto dall’Eneide di Virgilio, poema epico della cultura latina, scritto tra il 29 a.C. e il 19 a.C., che narra la leggendaria storia dell’eroe troiano Enea (figlio di Anchise e della dea Venere) che riuscì a fuggire dopo la caduta della città di Troia, e viaggiò per il Mediterraneo fino ad approdare nel Lazio, diventando il progenitore del popolo romano.
Vittoria Alata come simbolo di nascita delle nostre origini, ma anche, oggi, icona di rinascita, in un’epoca letteralmente stravolta da una pandemia che ci ha colti di sorpresa e che sta richiedendo di riscrivere il presente nella tragedia della malattia, della morte, del distanziamento sociale, del ribaltamento delle relazioni individuali e collettive.
Ha dichiarato Isgrò:
“Come già nel dopoguerra è su queste rovine che bisogna ricostruire nel segno di una Vittoria alata che viene da lontano e va lontano. Soprattutto con una consapevolezza: che il mondo è cambiato e cambia di continuo, e a noi tocca il compito di accompagnarlo con le nostre competenze e con quella cultura che è sempre stata e rimane il fondamento di ogni sviluppo economico e sociale.”
Un capolavoro, si diceva in apertura, è tale proprio perché non si spegne nel tempo, ma anzi si rinnova: rinnova il nostro sguardo sulle cose e sui fatti.
Vittoria Alata, con le sue braccia tese in un vuoto che possiamo riempire ogni volta di senso e di valore, è lì, è qui, è in ogni tempo e spazio pronta a questo:
“Una “forza” femminile, dunque accogliente, resiliente, che non vuole più la guerra ma cerca la pace, il rispetto delle regole, degli equilibri, della concordia civile.”
Così hanno dichiarato Stefano Karadjov e Francesca Bazoli, rispettivamente Direttore e Presidente di Fondazione BresciaMusei.
La Vittoria Alata per il nuovo Capitolium di Brescia
Dal 16 gennaio 2021
Brixia – Parco Archeologico di Brescia Romana
via Musei 55, Brescia
Eventi collaterali:
Juan Navarro Baldeweg. Architettura, pittura, scultura
a cura di Pierre-Alain Croset
Fino al 5 aprile 2021
Emilio Isgrò. Incancellabile Vittoria
a cura di Marco Bazzini
Dal 27 ottobre 2020
Fermata ‘Stazione FS’ della Metropolitana di Brescia
Alfred Seiland. Imperium Romanum. Fotografie 2005–2020
a cura di Filippo Maggia e Francesca Morandini
5 marzo – 18 luglio 2021
Palcoscenici archeologici. Interventi curatoriali di Francesco Vezzoli per la Vittoria Alata di Brescia
23 aprile 2021 – 9 gennaio 2022
Il lungo viaggio di un mito
a cura di Marcello Barbanera, Francesca Morandini e Valerio Terraroli
24 settembre 2021 – 30 gennaio 2022
Emilio Isgrò, una retrospettiva per Santa Giulia e il Parco Archeologico di Brescia Romana
primavera – estate 2022
Info: Fondazione Brescia Musei
info@bresciamusei.com
www.bresciamusei.com
Approfondimenti:
www.vittorialatabrescia.it