GALLARATE (VA) | MA*GA | Fino al 18 giugno 2023
di ILARIA BIGNOTTI
Ci sono molti modi di costruire un percorso espositivo: anzi, moltissimi. La grande mostra al museo MA*GA di Gallarate, dedicata a un mostro sacro quale Andy Warhol (il gioco di parole tra mostra e mostro, entrambi radicati nell’idea di uno sguardo meravigliante e predatore, è voluto) è costruita in modo sapiente perché parte dall’unica e sola domanda che dovrebbe essere posta all’inizio di ogni disegno espositivo: perché fare una mostra?
Questa a Gallarate è una mostra che nasce perché vuole ricostruire, attraverso ambienti e percorsi attentamente studiati, dalla selezione dei lavori alla scenografia espositiva, la ricerca di Warhol sul problema dell’identità attraverso tutti i media che ha saputo affrontare – e stravolgere, rispetto ai tempi in cui li ha impugnati – con peculiare attenzione al problema della stratificazione delle immagini e al significato di serialità e serializzazione delle medesime.
La vitalità della sua esperienza creativa, che scaturisce e sempre torna al disegno e all’album come luogo in cui raccogliere e variare, partendo da un tema, le modalità della sua declinazione visuale e grafica, diventa così al contempo feritoia salvifica dalla quale Warhol entra ed esce da linguaggi altrimenti chiusi e codificati, mettendoli tutti in circolazione e anzi in cortocircuito, e al contempo è la spada di Damocle che l’artista in primis, e tutti noi di seguito, complice la tragica storia del progresso e del consumo, si trova a sostenere, giocando a scacchi con la morte e con le sue angosce.
Ecco allora che la partizione ambientale delle due maniche lunghe del museo accoglie, in alto, il punctum direbbe Roland Barthes attorno al quale si gioca il percorso di arte e vita di Warhol, e di conseguenza il percorso della mostra a lui dedicata: il book Index, al quale Warhol lavora nei primi anni Sessanta, con vulcanica sperimentazione di carte e materie, e che contiene, oltre alle emergenti apparizioni “pop up”, un disco nel quale si trovano incise le conversazioni tra l’artista, Nico e Lou Reed mentre il primo stava appunto lavorando al medesimo libro. Una sorta di mise en abyme del processo creativo di Warhol che scaturisce, anche e necessariamente, dall’uso del nero – e del bianco – che riverbera nell’argenteo sfavillare della sua Factory, cassa di risonanza dell’identità dell’artista.
Un nero carico di presagi e intuizioni, che Margherita Palli scenograficamente restituisce in mostra, un nero e un argento metafore di un’epoca che Warhol ha disegnato, fotografato, scritto e diretto, riprodotto fino allo sfinimento, mettendosi in scena e mettendo in luce le ombre del suo tempo.
Si prosegue con gli oggetti del desiderio da consumare al supermercato del possesso e dello sguardo – dalla moda al denaro, dai fiori ai cibi-ossessione dell’artista, con al centro l’icona della Campbell Soup che diventa, anche, un gonfiabile a mezz’aria nell’ingresso del museo. Una spada di Damocle seriale e riproducibile, leggerissima e pesantissima, come tutta la sua opera è stata e continua ad essere, e così ad affascinarci.
Poi, si scende nella seconda manica espositiva, e qui è il tempo – e il tempio – del mondo patinato di “Interview”, la rivista sulla quale Warhol sperimenta lettering e ritratti di star dell’epoca: un wall carico di energia e di identità; poi si affrontano la morte, la violenza, le tragedie del tempo – l’epica dei Kennedy, incisa sui volti di Jackie – le sedie elettriche che sfumano la vita in quei colori acidissimi, e si prosegue, in un dualismo-duetto costante, nei ritratti: l’identità per antonomasia, dagli amici artisti e galleristi, allo stesso Warhol in una Wunderkammer argentea, una camera di decompressione prima di salire nell’ampia sala dove sfilano Mao e Lenin, Marilyn (Monroe), il Vulcano e Joseph (Beuys), tra gli altri, ritratti e incastonati in opere che virano in tutte le declinazioni cromatiche. Vi incombe il cognome dell’artista che diventa una seduta accogliente, un trono nero privilegiato dal quale continuare a guardare quei decenni solcati dalle sue icone svettanti.
Si scende ancora, nell’area dedicata alla filmografia e videografia, alla musica, alla televisione di cui Warhol è stato capostipite sperimentale: la collaborazione con l’Andy Warhol Museum a Pittsburgh da un lato, e con l’Archivio di Ronald Nameth dall’altro, permette al visitatore di immergersi in straordinari lavori del maestro, dalla estenuante sequenza di Kiss (1963-1964), al metafisico Empire in versione integrale (1964); poi si entra e si esce in vere e proprie salette cinematografiche, per uno sguardo focalizzato e raccolto su alcune invenzioni dell’artista: quattro Screen Tests dove Warhol chiede a Salvador Dalì, Bob Dylan, Lou Reed e Edie Sedgwick, e da questi ottiene, tra il 1965 e il 1966, di posare davanti alla sua telecamera per tre minuti circa ciascuno. Una prova di resistenza dove l’identità della persona si confonde con il mito della personalità e l’icona del personaggio rappresentati; cinque episodi di Andy Warhol’s Fifteen Minutes, prodotti per la Andy Warhol TV e tre estratti video per il Saturday Night Live, del 1981, lo show capolavoro dell’opera televisiva del maestro.
E poi ancora le copertine degli album, e al centro la straordinaria e mai prima d’ora allestita in Italia video installazione del fotografo e regista americano Ronald Nameth nata dalla performance Exploding Plastic Inevitable ideata e realizzata dall’artista con i Velvet Underground e Nico, messa in scena a partire dal mese di aprile 1966 negli Stati Uniti: fogli di acetati colorati e luci a occhio di bue venivano proiettati sui musicisti performers e sul pubblico, a creare un’atmosfera vibrante e psichedelica che ancora oggi mette a prova noi spettatori, tirandoci per gli occhi in una fantasmagoria contaminante.
L’esperienza è immersiva, è coinvolgente, è straniante.
Ne abbiamo bisogno, di Warhol, e di mostre così a lui dedicate.
ANDY WARHOL. SERIAL IDENTITY
A cura di Maurizo Vanni ed Emma Zanella
Allestimento al MA*GA e all’Aeroporto di Malpensa a cura della scenografa Margherita Palli
La mostra è prodotta dal Museo MA*GA e da Spirale d’Idee (MI), in collaborazione con la Città di Gallarate, patrocinata da Regione Lombardia e sostenuta da Ricola, Missoni, SEA e Saporiti Italia in qualità di main partner.
Fino al 18 giugno 2023
Museo MA*GA
Via Egidio De Magri 1, Gallarate (VA)
Info: +39 0331 706011
www.museomaga.it