PRATO | Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci | Fino al 2 febbraio 2025
intervista a LOUIS FRATINO di Alice Barontini
La ricerca dell’artista statunitense Louis Fratino (1993, Annapolis, Maryland, Stati Uniti), tra i più acclamati giovani nomi del mercato internazionale, trova spazio per la prima volta in una mostra istituzionale a lui totalmente dedicata. S’intitola Satura e con una settantina di opere tra dipinti di vario formato, disegni, litografie, sketchbook, acquerelli, carboncini e piccole sculture in terracotta provenienti da collezioni di tutto il mondo, è accolta per circa cinque mesi (fino al 2 febbraio 2025) nelle sale del Centro Pecci di Prato. A cura di Stefano Collicelli Cagol, la mostra arriva dopo il successo di Fratino alla Biennale di Venezia 2024 “Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere” e – sin dal titolo – gioca sovrapponendo temi, tempi e significati.
Il termine “satura”, infatti, rievoca sia il “satura lanx”, il ricco piatto di primizie d’epoca romana da cui deriva il genere della satira, caratterizzato da variegati stili e metriche, sia il significato italiano di “essere sazio” in riferimento non solo alla ricchezza debordante di particolari e dettagli tipica delle opere di Fratino ma anche all’idea figurata di “averne abbastanza”, di “essere pronti – come scrive nel catalogo il curatore – a fare a modo proprio, come l’universo dell’artista sembra suggerire nel suo desiderio di piegare una intera tradizione ai suoi bisogni e alle sue pulsioni”. Amorevole e impertinente nei confronti della tradizione, Fratino infatti “attraverso il suo immaginario queer e omoerotico aggiorna i grandi temi della storia della pittura”.
Vista la giovane età dell’artista, poco più che trentenne, la mostra ripercorre praticamente tutta la sua produzione, dal 2017 a oggi, con dodici dipinti molto recenti esposti per la prima volta. L’espediente da cui il progetto curatoriale prende il via è il rapporto particolare che lega Fratino all’Italia, non solo per le origini (il trisnonno era molisano) ma anche per i continui rimandi che la sua arte intesse con la cultura italiana, esplorandone la tradizione artistica, cinematografica e letteraria. “L’impatto dell’influenza italiana è stato raramente registrato dalla critica internazionale – ha sottolineato Collicelli Cagol – Il linguaggio di Fratino è stato avvicinato ad esperienze moderniste europee come quella di Pablo Picasso, Henri Matisse, Marc Chagall, Jean Cocteau, Alice Neel e Marsden Hartley. L’Italia costituisce però uno dei suoi principali contesti culturali di riferimento, attraverso cui filtrare la propria esperienza artistica e vicenda umana”. Svariati infatti sono i rimandi stilistici, cromatici e compositivi ad artisti italiani del ‘900 come Filippo de Pisis, Mario Mafai, Costantino Nivola, Felice Casorati, Carlo Carrà, Fausto Pirandello, Guglielmo Janni…Mentre alcuni dipinti come Tom in Albisola, The beach at Noli, View of Monte Cristo o Rain ci parlano della frequentazione di luoghi della penisola che hanno ispirato l’occhio dell’artista.
L’allestimento ha un ruolo centrale nel far emergere l’aspetto prepotentemente diaristico dell’arte di Fratino. L’ordine con cui la mostra è presentata non è cronologico ma gioca sul dialogo serrato tra vedute esterne e dimensioni domestiche, dando l’impressione che le opere siano un susseguirsi di istantanee di quotidianità dipinta. E, del resto, Fratino ha più volte raccontato come i suoi quadri opulenti e ricchissimi di dettagli realizzati in studio nascano, in realtà, a partire da un appunto veloce, da un disegno abbozzato, da una foto scattata con il cellulare. Dalla necessità di mantenere la memoria.
Come nel racconto di una giornata in compagnia dell’artista, si alternano così scenografie sontuose e ritratti di amici, nature morte e paesaggi naturali ricchi di sensualità, volti di amanti e grovigli di corpi, scene d’intimità anche esplicita e vegetazione, fiori dai ricchi sentori sensoriali e autoritratti.
Della tecnica pittorica a colpire sono la ricchezza dei dettagli, la maestria nell’utilizzo della luce, le velature degli ultimi lavori che rendono più profondi gli effetti coloristici, il taglio compositivo, lo studio delle forme, le volumetrie scultoree. Ma, in particolare, a caratterizzare l’opera sono le proporzioni alterate e le costruzioni prospettiche ardite, talvolta vertiginosamente sovvertite, che con quelle vedute dall’alto, con gli scorci che si aprono da una finestra o da un soffitto, diventano portali per trascinare lo spettatore nello sguardo dell’artista.
Uno degli aspetti più interessanti sono le opere d’arte che l’artista inserisce abbondantemente nei dipinti, creando una sorta di meta-pittura. Ma anche gli oggetti disseminati ovunque (sulle finestre, sui letti, sui tavoli, nel lavello) e i tavoli si trasformano in un’apparecchiatura delle memorie e delle identità dei loro proprietari. Come succede nel dipinto You and your things dove il tema del nudo disteso sul divano, in secondo piano, incontra quello della natura morta attraverso una moltitudine di tracce residue accatastate sul tavolino: lettere aperte, bucce d’arancia, piatti con pietanze avanzate, posate in disordine, fiori recisi, tazze con dentro un caffè, la copia del “Deserto dei tartari” di Dino Buzzanti, l’edizione Einaudi di “Vita meravigliosa” di Patrizia Cavalli, la ristampa della rivista FUORI!, un catalogo di Domenico Gnoli… Ne esce un microcosmo domestico sospeso, avvolto da solitudini nascoste e silenziose meditazioni, ancorato a una cerchia di riferimenti culturali che l’artista sceglie per vicinanza poetica, visione artistica, condizione esistenziale.
Dopo la visita alla mostra al Centro Pecci abbiamo incontrato Louis Fratino. Ne è nata una piccola intervista.
Questa è la tua prima personale in un’istituzione museale. È arrivata in Italia, dopo l’esperienza alla Biennale di Venezia 2024. Che cosa vuoi raccontare con questa mostra?
Sì, è la mia prima mostra personale in un’istituzione e sono molto contento perché, alla fine, il risultato è un ritratto completo dei miei lavori, dagli esordi agli anni recenti. Si tratta di un ritratto complesso, perché ci sono sculture, quadri, stampe, taccuini… Con questa mostra voglio raccontare me stesso, il mio lavoro sulla memoria, sulla mia identità, sulla storia dell’arte, il rapporto con l’Italia. Il mio trisnonno era del Molise e forse è stata proprio questa sorta di mitologia della famiglia che mi ha spinto a venire qui, a scoprire questo paese. Sono molto interessato a mettere in luce come i miei lavori traggano ispirazione anche dalla storia dell’arte italiana del ‘900. In America questi artisti non sono ancora conosciuti come dovrebbero e spero davvero che possa aprirsi una maggiore curiosità tra il pubblico degli Stati Uniti. Per me sarebbe qualcosa di molto bello se crescesse la loro presenza anche a New York e nei musei americani.
Cosa ti interessa, in particolar modo, dell’arte italiana?
Mi sono interessato alla prima metà del Novecento, soprattutto. La maggior parte dei pezzi d’arte a cui ho fatto riferimento sono stati dipinti tra le due guerre, ma ho guardato anche agli anni ‘50. C’è qualcosa di questo periodo artistico italiano – non so ancora bene dire cosa – che sento molto vicino. È un mistero per me. Anche da un punto di vista puramente formale, trovo questi lavori interessantissimi.
Nelle tue opere sono presenti atmosfere antiche. Alcuni dipinti, alcuni volti, riecheggiano affreschi pompeiani, antiche pitture romane…
Sono molto contento che questo aspetto si veda perché l’arte antica mi interessa molto. Per me è bellissimo andare in un museo e vedere le facce delle persone che hanno vissuto migliaia di anni fa e constatare come alla fine, nella loro vita quotidiana, siano uguali a noi. Lo trovo incredibile.
Il tuo percorso artistico risulta estremamente personale; un diario privato legato alla tua quotidianità. Allo stesso tempo la tua ricerca ha anche un valore collettivo, si parla spesso per i tuoi dipinti di arte queer. Come vivi questo?
Sì. Il mio lavoro nasce dalla mia quotidianità che si riflette nella mia arte: non nascondo la mia esperienza di vita, la mia identità. Sono contento e trovo incredibile se, una volta che i quadri sono fuori dallo studio, con la mia ricerca riesco a raccontare, a dare voce a queste tematiche che esistono da sempre nella storia dell’arte. In questo momento sembrano quasi una novità, ma non lo sono. Sono sempre state presenti ma spesso non si è dato loro spazio. Anche per indagare questo porto avanti la mia ricerca nella storia dell’arte.
Molti tuoi dipinti, specie i più recenti, hanno volumetrie quasi scultoree. E in mostra hai inserito una serie di piccole sculture realizzate ad Albisola, una delle patrie italiane della ceramica. Come è nata la necessità di confrontarti con questo linguaggio?
Sono un artista molto interessato alla ricerca della materia e per me è quasi un dovere cambiare, sperimentare anche nella pittura, fare ricerche parallele, essere curioso. Tutte le materie hanno una loro tecnica da scoprire, una loro lingua da studiare che è interessante proprio per la sua particolarità. In questo senso, Picasso rispecchia molto il mio modello di artista che disegna, dipinge, cambia stile, fa scultura, crea stampe…
Come hai iniziato a fare arte?
Ho sempre disegnato, fin da piccolo. Leggevo in continuazione libri illustrati degli anni ’50 e ‘60 per bambini che trovavo nelle librerie dei miei nonni. Sono sempre stato affascinato da questo mondo di immaginazione. Così, fin da molto giovane, ho iniziato a investire il mio tempo privato a fare libri miei, con i miei personaggi, inventati da me. Comunque, in generale, i libri per me sono sempre stati una grande ispirazione, una cosa che mi piace. Da sempre.
Che effetto ti ha fatto vedere allestita la mostra al Pecci? Cosa hai pensato ripercorrendo tutto il tuo percorso artistico?
Ci sono opere che non incontravo da anni, qualcuna magari l’avevo rivista in foto su internet, di altre mi ero quasi scordato ed è stata un’emozione ritrovarle. Per me la cosa più bella è stato accorgermi che i miei soggetti, le mie idee sono rimaste sempre le stesse. Certo, grazie a diversi artisti, a nuovi libri letti, alle ricerche che ho fatto, qualche particolare è cambiato. Ma nel complesso sono rimasto coerente nel mettere al centro le memorie della mia vita, nel decidere di realizzare un’arte molto intima. Per il futuro, mi auguro di continuare così.
Louis Fratino. Satura
A cura di Stefano Collicelli Cagol
26 settembre 2024 – 2 febbraio 2025
Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci
Viale della Repubblica 277, Prato
Info: www.centropecci.it