Foligno (PG) | CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea | 14 ottobre 2016 – 29 gennaio 2017
Intervista a SANDRO CHIA di Kevin McManus*
Sandro Chia, che è sì uno dei protagonisti della Transavanguardia, ma è soprattutto un artista investito fino in fondo nell’attività e nella sostanza della pittura, propone i suoi lavori più recenti in una grande mostra personale al CIAC di Foligno, curata da Italo Tomassoni. Una mostra che fornisce l’occasione di parlare della pittura, dei suoi luoghi e dei suoi tempi, in un faccia a faccia con l’artista…
Come nasce l’idea della mostra a Foligno?
Nasce, come spesso capita alle cose più interessanti, per caso. Ero in visita dall’amico Italo Tomassoni, il cui impegno attivo per l’arte mi ha sempre incuriosito e affascinato. Visitammo insieme il Museo, e ne fui immediatamente catturato: tutto – il luogo, lo spazio espositivo, l’atmosfera – portò ad una sorta di innamoramento. Mi venne in mente di farci una mostra di opere più o meno inedite, recenti; non di sicuro un’antologica, concetto che mi è sempre apparso un po’ “funebre”. L’idea è, invece, di mostrare opere nuove che lascino spazio all’immaginazione, le cui relazioni reciproche siano aperte e ipotetiche. Penso sia un’idea molto stimolante.
La mostra è anche l’occasione per rapportarsi con un spazio versatile come il CIAC. Quanto è importante il rapporto con lo spazio espositivo, e quanto incide la prospettiva di questo rapporto nella dimensione creativa?
Probabilmente una relazione c’è, ma è inconsapevole, e nasce dall’impressione di quel pomeriggio a Foligno. Non c’è però un rapporto biunivoco, non si tratta cioè di una “performance” legata al luogo. I quadri potrebbero essere messi altrove, persino per strada, e manterrebbero tutte le loro valenze. Luogo e opera sono indipendenti, fino a quando non si incontrano.
Ricorre molto nel suo lavoro, e lei stesso lo ha sottolineato, il tema del viandante. Si tratta di una figura centrale della poetica romantica, secondo la quale rappresentava, tra le altre cose, la condizione dell’animo umano. Quanto è attuale questa lettura nel suo lavoro? Cosa può significare riportare in auge questa figura nella nostra epoca?
Assolutamente sì, il riferimento è quello. E c’è di sicuro in questi viandanti un’inquietezza romantica. C’è però anche una leggerezza, data dal fatto che il precedente romantico è noto, è scoperto: insomma, è un romanticismo frutto di un atteggiamento non romantico. Quanto all’attualità, questa figura è decisamente non attuale, e voglio che rimanga tale: sta dentro la pittura e deve restarvi. Non cerco appigli e giustificazioni al di fuori della cornice, mi limito a quella dimensione, nella quale sono una specie di Dio in terra, nel senso che tutto dipende dalla mia volontà creativa.
Nei lavori recenti, sembra di percepire un’attenzione sempre maggiore per il paesaggio, per il contesto ambientale in cui sono inserite le figure.
C’è un paesaggio ed è per me importante. Ma è un paesaggio minimale: non si tratta mai di una scena descrittiva e non ritrae mai un luogo specifico, è puramente funzionale alla figura. Cerco di dare valore all’aspetto epifanico del quadro; intendo dire, la pittura è un’anomalia, non è normale che un individuo senta l’esigenza di prendere una tela e lavorarci sopra con dei colori. Mi piace cogliere il momento in cui questa anomalia si verifica, è una cosa che mi rende sempre curioso, e che non si risolve mai una volta per tutte. Forse il romanticismo sta proprio qui, in questa curiosità che non si potrà mai placare.
Esporre le opere più recenti di un artista perfettamente inserito nella “storia dell’arte” significa anche istituire un confronto fertile con il passato e con l’oggi…
Quando penso alla pittura, non deve avere passato, presente o futuro. Il presente è irripetibile e senza riferimenti: si è abbandonati in un vuoto. Certo, ho la mia memoria, e forse si vede, ma mi ci affido sempre meno, fa sempre meno da supporto, una volta che sono preso dal lavoro. Non c’è un progetto basato su riferimenti preesistenti, tutto è nel fare, da dentro. Poi, certamente, c’è un rapporto implicito con un passato che ci è vicino. Cézanne, ad esempio, è un artista che sento sempre mio: è la dimostrazione che la pittura non è questione di rappresentazione, e nemmeno di talento o di capacità costruttiva, ma di desiderio. In questo senso è il primo pittore moderno: in lui tutto nasce da un bisogno interno al mezzo, da un qualcosa che sta lì dentro e non si giustifica con ciò che sta fuori. Con questo non voglio dare una definizione di arte che valga per tutti, sia chiaro. Mi interessa tutta l’arte, tutte le sue definizioni, e la contraddizione tra punti di vista diversi è utilissima. Diciamo però che c’è un atteggiamento verso l’arte legato più all’evento, alla comunicazione, al suscitare scalpore; non mi sento di giudicarlo, ma se per qualche motivo sentissi di avvicinarmici, mi dispiacerebbe.
Un consiglio per il visitatore che verrà a vedere la mostra.
Di lasciarsi andare, senza preconcetti. Di prepararsi alla mostra come ci si prepara a un pranzo prelibato: con un po’ di digiuno.
*Tratta da Espoarte #94
Sandro Chia – Opere recenti
a cura di Italo Tomassoni
CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea
Via del Campanile 13, Foligno (PG)
14 ottobre 2016 – 29 gennaio 2017