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VENEZIA | Palazzo Canal | Fino al 24 novembre 2024

di LUCA BERNARDINI

Tra le partecipazioni nazionali più interessanti della 60. Biennale d’Arte a Venezia c’è quella nigeriana, ospitata a Palazzo Canal, non distante da Campo Santa Margherita e nel cuore della vita universitaria veneziana. Il luogo viene trasformato in un contenitore per un’indagine che guarda al passato, anche reinterpretandolo, e al turbolento presente, tentando di immaginare una Nigeria ‘potenziale’ e dunque futura. Per farlo, nella mostra curata da Aindrea Emelife, giovane curatrice del Museo di arte dell’Africa occidentale (MOWAA) sono presenti otto artisti diversi per età, storie personali e mezzi espressivi: pittura e disegno, fotografia, installazioni, scultura, realtà aumentata e video. Il padiglione rappresenta secondo il commissario Godwin Obaseki, governatore dello stato di Edo, uno sforzo di collaborazione che trascende le geografie, poiché unisce artisti nati e cresciuti in Nigeria e quelli della diaspora, così da problematizzare lo stesso concetto di nazionalità e i rapporti tra questa, l’identità personale e l’immaginario collettivo. A Venezia si è voluto ricreare lo spirito del Mbari Club, laboratorio di idee fondato nel 1961 da Ulli Beier a Ibadan che includeva personalità del mondo culturale nigeriano, tra cui Wole Soyinka e Chinua Achebe. L’organizzazione rifletteva sul paese e sul ruolo di scrittori, artisti e pensatori, come ricorda la citazione affissa nell’androne del palazzo: “Giovani artisti in una nuova nazione. Ecco ciò che siamo! Dobbiamo crescere con la nuova Nigeria e lavorare per soddisfare il suo tradizionale amore per l’arte o periremo con il nostro passato coloniale” (Uche Okeke, Natural Synthesis, Art Society, Zaria, Ottobre 1960).

Precious Okoyomon, Pre-Sky / Emit Light: Yes Like That, 2024 Installation view, Nigeria Imaginary at the Nigeria Pavilion at the 60th International Art Exhibition — La Biennale di Venezia Image: Marco Cappelleti Studio Courtesy: Museum of West African Art (MOWAA)

Entrando nel padiglione si viene accolti da una scultura lignea di tipo tradizionale rappresentante uno spirito a sette teste, posta dentro una teca con specchi che moltiplicano la figura e le sue teste, che vuole indicare simbolicamente il tentativo di guardare in tutte le direzioni, verso i molti passati, il presente e i possibili scenari del futuro. In fondo, in un cortiletto con una palma, si trova un’installazione di Precious Okoyomon, Pre-Sky/Emit Light: Yes like that (2024), che funziona come monumento dimenticato – perché con i mesi dovrebbe coprirsi di erbe e piante locali – e come torre radio. Infatti, interagisce con l’esterno attraverso l’apparato sonoro, realizzato attraverso il posizionamento di piccole campanelle e la trasmissione della sintetizzazione elettronica di elementi ambientali come vento, pioggia e uccellini; il tutto è unito alla voce di poeti e artisti nigeriani che rispondono a domande esistenziali poste da Okoyomon. L’orchestra di suoni che prende così forma verrà digitalizzata e resa disponibile per testimoniare il dialogo delle voci nigeriane con la città lagunare.

Onyeka Igwe, No archive can restore this chorus of (diasporic) shame, 2024 Installation view, Nigeria Imaginary at the Nigeria Pavilion at the 60th International Art Exhibition — La Biennale di Venezia Image: Marco Cappelleti Studio Courtesy: Museum of West African Art (MOWAA)

Nel mezzanino si trova il lavoro di Onyeka Igwe, No archive can restore this chorus of (diasporic) shame (2024), che interroga lo spettatore per una lunga proiezione video che mostra solo uno schermo grigio, per segnalare l’inaccessibilità delle memorie archivistiche indagate dall’artista diasporica. Attraverso l’audio, che è dunque protagonista assoluto, si pongono questioni che non sono una generica – e a volte stanca – riflessione su colonialismo e decolonizzazione, ma la volontà di costruire un immaginario ‘post coloniale’. Come superare il passato e come andare avanti sono le domande che connotano l’indagine di Igwe Onyeka su due archivi, quello dell’Old Nigeria film Unit di Lagos e quello del Museo dell’Impero Britannico e del Commonwealth di Bristol. L’artista riempie l’assenza del materiale cinematografico realizzato in Nigeria poco prima dell’indipendenza – inaccessibile per i nigeriani all’epoca – con un coro cacofonico formato dalle registrazioni fatte in diverse località britanniche e nigeriane, conservate nell’archivio personale dell’artista, e canti collettivi della cultura Igwe.

Yinka Shonibare CBE RA, Monument to the Restitution of the Mind and Soul, 2023 Installation view, Nigeria Imaginary at the Nigeria Pavilion at the 60th International Art Exhibition — La Biennale di Venezia Image: Marco Cappelleti Studio Courtesy: Museum of West African Art (MOWAA)

Nel salone del piano nobile la mostra vuole riproporre il clima ottimistico della post indipendenza nigeriana degli anni Sessanta, che fu un momento chiave per la formazione dell’identità post coloniale. Sono quindi presenti copie di riviste fondamentali per il dibattito pubblico dell’epoca, come Nigeria Magazine e Black Orpheus, mentre nell’androne del piano terra si trovano quelle di Drum Magazine. Tutte queste presentavano scritti e lavori di importanti protagonisti del tempo, in gran parte associati agli Mbari Clubs. Sono altresì presenti oggetti di portata ‘iconica’: una parte metallica di un bus ‘Dafno’ di Lagos, uno specchio Yoruba, una scultura Ikenga del XIX secolo. Da questo spazio si accede alle stanze con gli altri progetti in mostra, pensati come punti di un manifesto secondo l’idea della curatrice su come immaginare una nazione.
Il monumento di Inka Shonibare CBE RA riflette sulla perdita del proprio patrimonio artistico: è l’annosa questione del Bronzi del Benin, ovvero la dispersione cominciata a fine Ottocento – con la conquista britannica – di diversi reperti relativi al Regno del Benin, oggi corrispondente allo stato dell’Edo nigeriano. Il tema dell’importanza dei beni culturali nel consolidamento dell’identità nazionale e della sua memoria è sempre rilevante nel dibattito nigeriano e internazionale e fu trattato alla scorsa Biennale di Architettura, per esempio, dal collettivo Looty in un’installazione dell’Arsenale.

Toyin Ojih Odutola, Far Left: Congregation, 2023; Left Corner: Onye ụtụtụ (Morning Person), 2023; Far Right Corner: Lẹhin Mgbede (After the Evening’s Performance), 2023-2024 Installation view, Nigeria Imaginary at the Nigeria Pavilion at the 60th International Art Exhibition — La Biennale di Venezia Image: Marco Cappelleti Studio Courtesy: Museum of West African Art (MOWAA)

Se in quell’occasione si proponeva il recupero dei manufatti in versione NFT, in questo caso si ha la presentazione di un vero e proprio monumento in terracotta che spinge a interrogarsi sul legame tra materia e ‘valore’, oltre che tra materia e memoria. L’opera è costruita come assemblaggio di sculture poste sui gradoni di una grande piramide, dove alla base sta un busto di Sir Harry Rawson – uno dei comandanti militari britannici alla guida della feroce spedizione punitiva del Benin nel 1897 – chiuso in una teca da museo coloniale, come le opere locali esposte nei musei coloniali. Il busto è decorato con motivi Batik, tipici di Shonibare e significativi dell’ironia di questa presenza nel monumento. Nel futuro re-immaginato da Shonibare, i reperti del Benin sono tornati in patria, ma qui sono anche ripensati in una nuova materialità, quella dell’argilla rossa del territorio, che nella sua deperibilità evoca, contrariamente al bronzo, la fragilità della memoria e del patrimonio culturale.
Toyin Ojih Oduntola, nato in Nigeria e oggi residente a New York,  presenta delle squisite opere a pastello e carboncino su lino gessato che evocano il ricordo delle case Mbari, parte di una cerimonia di carattere religioso scomparsa con l’avvento del dominio coloniale, che costituirono il riferimento per le associazioni culturali degli anni Sessanta. Le opere si caratterizzano per il carattere mistico ed enigmatico, mentre il visitatore è invitato ad approcciarvisi con reverenza e spirito di contemplazione. Il destino delle case Mbari, che venivano lasciate consumarsi al termine della cerimonia religiosa, infatti, vuole anche celebrare l’accettazione della perdita e della scomparsa, necessarie per un vero rinnovamento.

Tunji Adeniyi-Jones, Celestial Gathering, 2024 Installation view, Nigeria Imaginary at the Nigeria Pavilion at the 60th International Art Exhibition — La Biennale di Venezia Image: Marco Cappelleti Studio Courtesy: Museum of West African Art (MOWAA)

Altrettanto azzeccata è anche la sintesi tra la tradizione veneziana dei soffitti dipinti e l’estetica nigeriana fatta dall’artista diasporico, nato a Londra e residente a New York, Tunji Adeniyi-Jones. Sul soffitto è, infatti, installato Celestial Gathering, che dialogando con gli stucchi della sala a motivi vegetali, presenta corpi sinuosi che emergono, confondendosi, da un fitto foliage giallo, evocativo di un regno spirituale e immateriale. Tale opera fonde un’estetica modernista, omaggiando in particolare artisti come Aaron Douglas e Ben Enwonwu, a forme più propriamente Yoruba, evidenti nella citazione della celebre testa bronzea di Ife.
In un’altra sala troviamo gli elementi più interattivi del padiglione, con Light Cream Pods (Excerpt) di Fatimah Tuggar, che esplora le intersezioni tra tecnologia e artigianato tradizionale. L’installazione unisce intelligenza artificiale, realtà aumentata e animatronica, mettendo in risalto l’uso delle calebasse, una variante di zucca locale, nelle pratiche tradizionali africane. Prima di arrivare allo spazio centrale, si passa da un corridoio dove tre schermi video mostrano gli effetti dell’inquinamento da plastica negli oceani e nel suolo in Africa occidentale, uno dei quali con immagini generate dalla IA.

Fatimah Tuggar, Light Cream Pods (Excerpt), 2024 Installation view, Nigeria Imaginary at the Nigeria Pavilion at the 60th International Art Exhibition — La Biennale di Venezia Image: Marco Cappelleti Studio Courtesy: Museum of West African Art (MOWAA)

A seguire, si trovano opere artigianali che usano la zucca poste entro facciate decorate con stilemi dell’architettura Tubali, propria delle popolazioni Hausa, adatta al clima locale a differenza del cemento globalizzato. La manipolazione delle zucche da parte dell’IA e l’interazione con tablet, che le trasformano in fiori, api e farfalle, danno un tono ludico alla sala, esaltando la somiglianza culturale delle culture africane precoloniali, la biodiversità e usi alternativi di un prodotto agricolo ecosostenibile.
Il rapporto tra terra e comunità umane plasma anche l’installazione di Abraham Oghobase frutto di un’indagine storica sull’estrattivismo minerario coloniale e che pensa ad una relazione uomo-natura non più basata sul solo sfruttamento delle risorse. I collages dell’artista combinano e ripensano immagini del XIX/inizio XX secolo relative alle industrie in Africa, a cui sono uniti profili umani, animali e diagrammi relativi a pratiche metallurgiche tratti da un libro del 1912. Sono presenti pure una serie di fotografie di pietre proprie dei paesaggi minerari nigeriani dello stato di Plateau nella Nigeria centro-settentrionale.

Abraham Onoriode Oghobase Installation view, Nigeria Imaginary at the Nigeria Pavilion at the 60th International Art Exhibition — La Biennale di Venezia Image: Marco Cappelleti Studio Courtesy: Museum of West African Art (MOWAA)

Tra le presenze più forti del padiglione quella di Ndidi Dike che mette in luce le proteste #EndSARS e le affianca a quelle di Black Lives Matter. Tale confronto si basa sulla comune reazione alle crisi sociali globali e al contrasto alla violenza delle forze dell’ordine. I legami tra violenze sistematiche in diverse geografie fu in effetti sottolineata dopo l’omicidio di George Floyd da Wole Soyinka, scrittore e premio Nobel nigeriano. Blackhood: a Living archive (2024) è composto da una griglia in cui sono incastonati centinaia di manganelli di legno, come quelli usati in Nigeria durante l’epoca coloniale, in cui sono altresì posti dei cartellini da obitorio con i nomi di nigeriani, afroamericani e brasiliani morti in tempi recenti a causa della brutalità delle forze di polizia.
Il secondo atto di tali riflessioni si ha in
Bearing witness: optimism in a disquiet present (2024), un’installazione fotografica con un trittico ritraente un adolescente in protesta contro le squadre anticrimine (SARS) e altre immagini delle manifestazioni in Nigeria raccolte da Ndidi Dike, Kelechi AmadiObi e Nyancho NwaNri.

Ndidi Dike, Blackhood: A Living Archive, 2024 Installation view, Nigeria Imaginary at the Nigeria Pavilion at the 60th International Art Exhibition — La Biennale di Venezia Image: Marco Cappelleti Studio Courtesy: Museum of West African Art (MOWAA)

Le proteste hanno coinvolto un grande numero di giovani e sono quindi un segno di speranza e ottimismo per un futuro in cui la Nigeria, e non solo, potrà essere libera dalle violenze sistematiche.
Infine, in una saletta al piano terra, sono presenti i progetti architettonici per il futuro museo MOWAA, che rappresenta il supporto principale per questo padiglione e che ha curato il Nigeria Imaginary Incubatory Project, coinvolgendo le comunità cittadine di Lagos e Benin City. Il museo accoglierà nel suo campus, dopo lo svolgimento veneziano, il ‘ritorno a casa’ di Nigeria Imaginary, così da rendersi luogo di dialogo permanente tra gli artisti nigeriani e quelli della diaspora e dunque dare maggiore concretezza allo sforzo immaginativo di questo padiglione.

Nigeria Imaginary
Padiglione Nazionale Nigeria
60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
a cura di Aindrea Emelife
commissario Godwin Obaseki, Governatore dello stato di Edo (Nigeria) in rappresentanza del Ministro di Arte, Cultura e Economia creativa
organizzazione promossa dal Museo dell’arte dell’Africa occidentale (MOWAA)

Artisti: Tunji Adeniyi-Jones, Ndidi Dike, Onyeka Igwe, Toyin Ojih Odutola, Abraham Oghobase, Precious Okoyomon, Yinka Shonibare CBE RA, Fatimah Tuggar

20 aprile – 24 novembre 2024

Palazzo Canal
3121 Rio Tera Canal Dorsoduro, Venezia

Orari: da mercoledì a domenica 11.00-19.00 (dal 20 aprile al 30 settembre), 10.00-18.00 (dall’1 ottobre al 24 novembre)
Ingresso libero

Info: https://www.labiennale.org/it
https://www.nigeriaimaginary.com/

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