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Castelbasso (TE) | Fondazione Malvina Menagaz  | Fino al 30 agosto 2020

Intervista a SIMONE CIGLIA di Irene Biolchini

Ha inaugurato lo scorso 25 luglio la mostra La forma della terra. Geografia della ceramica contemporanea in Italia a cura di Simone Ciglia negli spazi della Fondazione Malvina Menagaz per le Arti e le Culture. In questa intervista il curatore ci racconta le scelte e le ragioni di una mostra necessaria per comprendere la scena contemporanea italiana.

Partirei dal quel “geografia” nel titolo della mostra che trovo individui da subito l’intima connessione tra terra, terreno e pratica ceramica. Come è nata per te l’idea di questo percorso e quali sono i luoghi che entrano in questa geografia?
La prima indicazione in questa direzione è nata dalla frequentazione di Castelli, principale centro ceramico in Abruzzo, in occasione della realizzazione dell’opera di Mario Airò Modellare l’acqua (2019-2020), prodotta dalla Fondazione Malvina Menegaz grazie al bando Italian Council. Le ripetute visite al paese hanno manifestato il radicamento della tradizione ceramica nella definizione dell’identità di un territorio. La parallela ricerca per la mostra La forma della terra. Geografia della ceramica contemporanea in Italia, che vuole contestualizzare questo nuovo lavoro in un ragionamento più ampio sulla contemporaneità del medium, ha rivelato una geografia che ricalca in larga parte quella storica – ricca e policentrica – del nostro Paese. Da qui l’idea di ordinare l’esposizione secondo un criterio geografico, tracciando una mappatura che rifiuta programmaticamente ogni idea di completezza. La mostra diventa così un vero e proprio viaggio che attraversa alcuni fra i centri più vitali della penisola, da Faenza – che più di ogni altro ha saputo cogliere la sfida del contemporaneo – alle due Albisole, Castellamonte (TO), Nove (VI), Pesaro, Deruta, Castelli, cui si aggiungono Milano e Roma. Ciascuno è rappresentato dal lavoro recente di artisti appartenenti a diverse generazioni. Questa geografia determina il percorso espositivo nelle sale nel seicentesco Palazzo De Sanctis di Castelbasso.
L’indagine è stata condotta, per una parte considerevole, durante il periodo di lockdown determinato dell’emergenza sanitaria per l’epidemia di COVID-19. In questo momento di sospensione, ho intrecciato un dialogo a distanza con gli artisti che ha indagato le ragioni del loro rapporto con la ceramica; queste conversazioni sono poi confluite nel testo in catalogo.    

Emiliano Maggi, The Club, 2019, ceramica smaltata, dimensioni variabili. Courtesy Operativa, Roma. Foto: Gino Di Paolo

Vieni da un percorso curatoriale e di studi da sempre attento alla terra come risorsa consapevole, come scelta laterale alla metropoli (primo fra tutti il tuo studio attento di Baruchello). Come si unisce la pratica ceramica a questa lateralità?
Nella mia traiettoria di ricerca si è delineata progressivamente un’attenzione nei confronti della dimensione che definisci, in maniera appropriata, di laterialità. Il capitolo iniziale è rappresentato dallo studio che hai menzionato sul rapporto fra agricoltura e arte contemporanea (raccolto nel libro Il campo espanso. Arte e agricoltura in Italia dagli anni sessanta a oggi, pubblicato per i tipi di CREA nel 2015), nel quale ho cercato di portare l’attenzione su alcuni nodi che legano questi due ambiti a prima vista distanti, in una trama complessa che intreccia temi quali la natura, il paesaggio, l’alimentazione, l’ecologia. Questo interesse è proseguito con una linea d’indagine dedicata alle possibilità contemporanee di tradizioni artigianali, nella quale si iscrive anche l’attuale progetto sulla ceramica. Il primo episodio, che si è svolto fra il 2018 e il 2019, è stato dedicato all’arazzo: l’occasione era legata alla produzione del trittico Retina di Stefano Arienti, avvenuta presso l’Arazzeria Pennese, manifattura fondata negli anni Sessanta del Novecento (un altro progetto realizzato con la Fondazione Menegaz grazie a Italian Council). La ceramica rappresenta la continuazione di questo discorso, volto a riconsiderare tecniche relegate appunto a questa dimensione di lateralità, rileggendole in senso contemporaneo. Poco più di ventanni fa, Peter Dormer sinterrogava sulle ragioni per le quali lartigianalità (quelluniverso racchiuso sotto il termine inglese craft) fosseintellettualmente sconveniente” nellarte moderna e contemporanea. Negli ultimi quindici-vent’anni tuttavia l’orizzonte sembra considerevolmente mutato. Le premesse possono essere ricondotte ad alcuni postulati della cultura postmoderna, in particolare la tensione alla cancellazione dei confini fra alto e basso, ovvero fra le cosiddette belle arti” e l’artigianato: le prime hanno incorporato una vasta gamma di materiali, tecniche, lavorazioni dal secondo, seguendo unintenzionalità in cui gioca un ruolo di primo piano lassociazione con il marginalizzato – si tratti del femminile, del queer o delle culture non occidentali – che indirizza una parte rilevante delle ricerche recenti. Da questo punto di vista, la ceramica rappresenta un caso paradigmatico di revival. In questo “ritorno del reale” (o forse del represso) è inoltre facile leggere una reazione di fronte ai processi tecnologici accelerati che disegnano un mondo sempre più smaterializzato.       

Enzo Cucchi, (da sin.) Senza titolo, 2015, ceramica vetrificata, misure varie,
Courtesy Galleria Giustini Stagetti, Roma. Foto Gino Di Paolo

Hai notato una differenza di approccio verso la ceramica nelle differenti generazioni di artisti invitati?
In mostra sono rappresentate diverse generazioni artistiche, da quella che ha esordito negli anni Cinquanta del Novecento per arrivare a quelle degli ultimi anni; altrettanto differenti sono i contesti di provenienza e le pratiche. L’intento è dimostrare la diffusione della ceramica e la sua versatilità espressiva. Nella contemporaneità, il retaggio quasi ancestrale di questa materia è stato avvicinato con una volontà di sperimentazione che l’ha posta spesso in dialogo con altri media: nell’orizzonte attuale sembra infatti scaduto ogni discorso di specificità mediale. Così, in questa circostanza, la scelta è andata nei confronti di artisti che impiegano la ceramica nell’ambito di una pratica più ampia.

Salvatore Arancio, And These Crystals Are Just like Globes of Light, 2016, ceramica smaltata / glazed ceramic. Veduta dell’installazione, dimensioni variabili. Courtesy Schiavo Zoppelli Gallery Milano.

Gli approcci sono necessariamente differenti e mi sembra procedano, nel periodo preso in considerazione, verso un’accelerazione in direzione della sperimentazione e ibridazione. Un dato significativo emerge dal coinvolgimento di artisti alla prima esperienza con la ceramica (come nei progetti di residenza del Museo Carlo Zauli di Faenza, di cui è presentata una campionatura, ma anche nello stesso lavoro di Airò o quello di Matteo Fato, realizzato per l’occasione): l’avvicinamento alla materia in una quasi totale assenza di conoscenze tecniche conduce spesso a un uso anticonvenzionale, un tentativo di testarne i limiti (penso ad esempio a Salvatore Arancio). Accanto a questo, mi sembra continui a sussistere una tendenza a lavorare su tipologie tradizionali (il vaso, presente nel lavoro di Levini, Nasini, Vitone, Vedovamazzei; il piatto, in Castellani). Ugualmente presente è il versante della scultura più canonica (Paladino, Cucchi) che, in altri casi, si allarga al ready-made (Favelli, Garutti, Golia). Altrettanto sintomatico mi sembra il dialogo della ceramica con altri media e ambiti estetici, come il design (nel lavoro di Mercier e Marotta), la pittura (nel caso di Fato e Paci), l’immagine mediatica (Arienti), la scrittura (nell’esempio di Patella). Un altro indirizzo di ricerca assai frequentato recentemente è quello della sperimentazione tecnologica (evidente nella serie Dream portrait di Matteo Nasini, realizzato con la stampa 3D).

Flavio Favelli, China Blue, 2012, assemblaggio di vasi di ceramica e lattina, 165x24x24 cm. Courtesy dell’artista. Foto Gino Di Paolo

Molti degli artisti coinvolti hanno prodotto le opere durante residenze o in centri ceramici in cui hanno risieduto per un periodo. Pensi che la vita di certi luoghi di provincia sia entrata nella creazione artistica?
Il contesto di produzione, nella quasi totalità dei casi esterno ai grandi centri urbani, ha sicuramente contribuito a determinare gli esiti dei vari progetti. D’altra parte il genius loci è stato riconosciuto in più occasioni (dalla Transavanguardia – rappresentata in mostra da Cucchi e Paladino – alle ricerche eclettiche di Ugo La Pietra) come uno dei moventi del clima postmoderno in cui si sono registrati i primi segnali del ritorno di tecniche come la ceramica. Sembra tuttavia difficile individuare il modo in cui ciò sia avvenuto: il criterio più appropriato appare una valutazione caso per caso.

Ugo La Pietra, Libri aperti, 2004-2006, ceramica ingobbiata e incisa a mano dall’autore.
Courtesy Archivio Ugo La Pietra, Milano. Foto: Gino Di Paolo

In alcuni episodi, gli artisti hanno raccolto dal contesto il suggerimento di lavorare su tipologie tradizionali, specifiche del luogo. In altri casi, i lunghi tempi di permanenza e probabilmente anche i ritmi della vita di provincia hanno consentito un maggior grado di approfondimento tecnico e sperimentalismo. Un altro elemento determinante in questo processo mi sembra il confronto con le maestranze che hanno affiancato gli artisti nei processi produttivi, depositarie di una conoscenza tecnica spesso oggetto di sfida. La dimensione collaborativa propria della ceramica appare un ulteriore elemento consonante alle pratiche contemporanee che ne ha garantito la recente ripresa.      

La mostra è anche l’occasione per presentare l’opera di Airò, il risultato di un processo lungo e virtuoso. Posso chiederti di raccontarci il ruolo di Castelli in questo progetto
Castelli ci ha accolto nel lungo e articolato processo di produzione dell’installazione di Mario Airò, che si è svolta dall’agosto 2019 al gennaio 2020 con il coinvolgimento di diverse figure attive sul territorio. Essenziale è stato il ruolo di Elisabetta Di Bucchianico e Dario Oggiano (Arago Design) che hanno organizzato il calendario dei lavori e, grazie alla lunga frequentazione con il paese, hanno svolto una fondamentale opera di mediazione. Sono stati loro a introdurci alla Bottega degli Artisti di Andrea Falconi, una realtà produttiva che ha dimostrato grande disponibilità nell’accogliere le necessità del progetto. La collaborazione con le diverse professionalità coinvolte – cui si è aggiunto anche Daniele Paoletti, designer specializzato nella lavorazione del metallo – si è svolta in maniera ottimale. Il tentativo di coinvolgere il territorio si è espresso nel laboratorio che abbiamo organizzato presso il Liceo Artistico “F.A. Grue”, specializzato nella ceramica. La sopraggiunta emergenza sanitaria ha purtroppo impedito la prosecuzione del lavoro sul fronte didattico, che costituisce una delle direttrici principali dell’azione della Fondazione Menegaz. Al di fuori del nostro lavoro, ci siamo confrontati con una realtà dalle grandi potenzialità che tuttavia non è riuscita a esprimere in maniera piena e organizzare in un’ottica sistemica. Il rapporto di Castelli con la contemporaneità si è svolto infatti sotto il segno della discontinuità, nell’incapacità di affrancarsi dalla logica dell’episodio. Un ulteriore elemento di criticità è stato il colpo inferto negli ultimi anni dalla crisi economica e dal terremoto, che hanno provocato il rallentamento, se non la cessazione, di numerose realtà. Il nostro progetto ha voluto offrire un contributo per altre possibilità.    


La forma della terra. Geografia della ceramica contemporanea in Italia

a cura di Simone Ciglia
Realizzato grazie al sostegno di Italian Council – MiBACT – Direzione Generale Creatività Contemporanea 

Artisti: Mario Airò, Salvatore Arancio, Stefano ArientiBertozzi & Casoni, Enrico Castellani, Enzo Cucchi, Matteo Fato, Flavio Favelli, Alberto Garutti, Liam Gillick, Piero Golia, Ugo La Pietra, Felice Levini, Emiliano Maggi, Eva Marisaldi, Gino Marotta, Mathieu Mercier, Matteo Nasini, Adrian Paci, Mimmo Paladino, Luca Maria Patella, Giovanni Termini, Luca TrevisaniVedovamazzei, Luca Vitone.

25 luglio – 30 agosto 2020

Fondazione Malvina Menagaz per le Arti e le Culture
Palazzo De Sanctis, Castelbasso (TE)

Orari: Dal giovedì alla domenica, 19.00-24.00

Info: www.fondazionemenegaz.it

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