GENOVA | SPAZIO 21 | sala L | Fino al 30 agosto 2024
di VIVIANA SIVIERO
Se dovessimo assegnare una temperatura alla fame, in un’estate come questa, altro non potremmo fare che pensarla “infuocata” e non solo per via dei gradi metereologici, ma per ciò che accade continuamente nel mondo che ci circonda, sia come meraviglia, sia come distruzione, sia come oppressione. A ben pensare, dimenticando i punti di vista, tutto risulta guidato dal desiderio, forza irrinunciabile ed insopprimibile, parte imprescindibile non solo dell’uomo ma della natura stessa. Proprio il desiderio è il fil rouge che permette di leggere le opere che Arianna Carossa ha concepito nella sala L dello Spazio 21, ex refettorio dell’ex ospedale psichiatrico di Genova Quarto a cura di Guia Cortassa. Opere e luogo dialogano apertamente attraverso il genius loci che abita prorompente ogni particella d’aria e si palesa appena varcato l’ingresso del monumentale complesso ottocentesco pieno di cantieri. È evidente sia stato il desiderio a guidare le mani dell’artista nelle scelte tematiche: poche opere, pulite e severe.
Marmo bianco ben definito, forme subito comprensibili, appiattite per volontà da una dicotomia di luci: una tiepida che arriva dalle finestre e una invadente e fredda, quella artificiale, che rimarca la realtà di un luogo dove sono successe cose che sono ancora sospese e sembrano essere rimaste impregnate nei muri. L’ex ospedale psichiatrico è stato un luogo importante per la battaglia per la rivoluzione delle cure manicomiali: proprio questo è un importate sottinteso che Carossa utilizza a partire dalla spinta emozionale, tralasciando la narrazione retorica in cui sarebbe stato facile cadere. All’ingresso il visitatore è accolto da due braccia iperrealiste poste in preghiera; avvicinandosi ci si accorge che qualcosa manca: le falangi sono state segate e giacciono a terra in numero ben superiore a 10. Sono 500 preghiere interrotte e ugualmente ripetute in un tempo eterno e indefinito.
Negazione e condanna sono solo alcune delle sensazioni: l’operato dell’artista trascende la riflessione spicciola sulla trattazione della pazzia nel secolo passato e vola a lidi più alti. Nel 1983 il regista russo Andrej Tarkovskij dirige il film Nostalghia, che pone in essere un parallelismo fra un poeta espatriato (l’artista) e un pazzo, sottolineando come entrambi siano mossi dal desiderio. Alla fine il poeta riesce a creare un rituale, strutturando in qualche modo il desiderio vitale di esprimersi (cammina poeticamente in una piscina vuota tenendo in mano una fiamma e facendo attenzione a non farla spegnere), mentre il pazzo non riesce a contenere il desiderio e finisce per dar fuoco a se stesso e alle sue carni. Carossa parla di sé e si pone a metà strada fra il poeta e il pazzo, facendo brillare il desiderio come un fuoco difficile da domare, ma allo stesso tempo utilizzando come medium il gelido marmo. La mostra prosegue con altre mani, stavolta di cera: tanto il caldo del desiderio quanto la fiamma prorompente ora le sciolgono, ora le deformano; nel primo caso obbligando l’artista a rifonderle ogni giorno, nell’altro costringendola a rimodellarle in modo che – come in un gioco di bambini che chiudono i pugni per mimare un cannocchiale immaginario – sia percepibile in lontananza un minuscolo ma ardente fuoco (un’opera video dell’artista Valentina Furian).
Poco più in là un autoritratto vuoto che poeticamente – proprio come una persona con la propria empatia – si modifica a seconda dello sfondo su cui viene posizionato a sottolineare ancora di più la sovrapposizione fra artista e spazio circostante. Infine – appesa al muro come fosse sempre stata lì – Carossa inserisce una lapide, contrappuntandola ad un’altra piantata nell’hortus conclusus dirimpetto; su entrambe – incisa a caratteri funebri – campeggia un’unica parola: NOIA. «Sulla tomba di Duchamp c’è scritto: “Capita sempre agli altri” – afferma l’artista – Io ho voluto immaginare la mia più grande paura dopo il trapasso: la noia eterna, oltre la morte». Il marmo è fragile come la ceramica ma ha un carattere definitivo ed immutabile proprio come l’ignoto, è freddo ed immobile, esattamente l’opposto del fuoco. Una mostra da vedere, ascoltare e capire sulla pelle e oltre, osservando se stessi attraverso il canocchiale della propria mano, come farebbe un bambino.
Arianna Carossa. Respiro la fame infuocata del desiderio
con la partecipazione di Valentina Furian
a cura di Guia Cortassa
18 luglio – 30 agosto 2024
Spazio 21, sala L
Via Giovanni Maggio 4, Genova
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