57. BIENNALE ARTE 2017 | PADIGLIONE CINA | 13 maggio – 26 novembre 2017
Intervista a DAVIDE QUADRIO di Eleonora Roaro
Il concetto di tradizione, con le sue specificità culturali, è al centro del Padiglione Cina della 57. Biennale di Venezia dal titolo Continuum. Generation by Generation. Dopo l’intervista a Qiu Zhijie (leggi qui), ne abbiamo discusso anche con Davide Quadrio…
Qual è il tuo ruolo nel Padiglione Cinese?
Il mio ruolo è stato quello di coordinare di una serie di processi, tra cui quello di comunicazione, di controllo e di facilitazione di alcuni contenuti. Il mio contributo principale nei testi e nel catalogo è stato quello di rendere più fruibile il Padiglione Cina. Il Padiglione è molto complesso in quanto si basa su una costruzione e su un’idea di arte e di storia dell’arte molto distante da quella occidentale classica. Ci sono moltissimi concetti che sono difficili da traslare in un contesto che non conosce particolarmente la Cina. Lavoro inoltre con Qiu da tantissimi anni: abbiamo realizzato moltissimi progetti in Cina, ho curato e sto curando la sua prima retrospettiva in Europa che adesso è al Van Abbenmuseum, che poi sarà al Centro d’Arte Contemporanea di Ginevra e poi alla Lundskonsthall in Svezia. Per cui è stata una specie di brotherhood: condividevamo l’intenzione di portare un Padiglione Cina costruito e curato in maniera più complessa rispetto alle ultime edizioni.
Quale pensi essere la differenza tra il ruolo della tradizione nell’arte occidentale e quella cinese? E per il concetto di eternità?
Ovviamente il legame con la tradizione è sempre fondamentale da un punto di vista culturale, non solo per la Cina, in cui però c’è una peculiarità. La calligrafia, che è una delle forme più importanti nella storia dell’arte cinese, ha una risonanza e una pregnanza da 3000 anni. In qualsiasi modo si parli di arte, di cultura e di tradizione non ci si può non riferire alla tradizione legata alla scrittura, che, a parte alcuni cambiamenti, è rimasta invariata. La forma scritta della lingua, che poi è codificata da alcuni criteri artistici non solo visuali ma anche performativi, è stata conservata e mantenuta dalla tradizione. Il primo grande cambiamento della scrittura in 3000 anni è stato realizzato da Mao Tse Tung, che ha semplificato una serie di caratteri per renderli più semplici per le masse. La tradizione incarnata in questo spirito della scrittura non è solo passato, ma è presente continuamente e fa parte del linguaggio artistico.
Detto questo, nella tradizione cinese l’artista, che è artista completo (è calligrafo, dipinge, fa musica…), è legato all’idea di passaggio di testimone da una generazione e all’altra. La grandezza dell’artista di un momento storico è connessa alla grandezza di artisti a lui precedenti a e che verranno dopo di lui. C’è un’idea molto diversa del ruolo dell’artista: non è la figura romantica dell’eccentrico che vive al di là della società. In realtà l’artista cinese è legato ad un’idea di passato e di futuro, che rende anche la figura dell’artista più umile.
Come pensi venga recepito il padiglione da chi non ha alcuna conoscenza della cultura cinese?
La cosa interessante del Padiglione Cina di quest’anno è che non è respingente, perché mostra apparentemente un’arte più decorativa, più calorosa e non molto legata al linguaggio standard dell’arte contemporanea (un certo tipo di minimalismo, di massimalismo di risposta…). Sono dei linguaggi che accomunano il fare ed esporre arte dovunque. Tutto ciò quest’anno era particolarmente evidente alla Biennale di Venezia, soprattutto nella mostra principale che ho trovato molto pulita, senza un’idea forte o qualcosa che andasse oltre un certo tipo di formalismo. Per cui quando si entra nel Padiglione Cinese, specie quando ci sono le performance, è un momento molto caloroso perché risponde ad una visione dell’arte più vicina all’artigianato. Ci si avvicina in maniera incuriosita, non spaventata. Ovviamente il Padiglione è denso e ci vuole un po’ di tempo per uscire anche da quest’idea esotica, perché si mostra essere molto cinese da un certo punto di vista, almeno come estetica. C’è una parte installativa e una performativa, una parte importante legata alla documentazione che spiega come il Padiglione sia stato realizzato. Nella parte informativa si riesce a capire di più lo sforzo e la complessità del lavoro svolto. Sono quattro artisti che hanno lavorato assieme, sono tutte opere collaborative. C’è una parte di recupero della performance come linguaggio della tradizione in cui questo un gruppo di musicisti, cantanti e burattinai del centro-ovest della Cina portano una tradizione che non è solo cinese, ma che rivendica un legame con l’Occidente attraverso le vie della seta.
Qual è l’influenza del mondo e della cultura occidentale sugli artisti cinesi?
Se si guarda la parte di documentazione c’è un bellissimo muro in cui i quattro artisti e il curatore sono legati con il passato attraverso i propri maestri. Per ciascun artista, anche quelli più vicini alla tradizione (per esempio l’uso della seta o della carta), si vede come dall’inizio dell’Ottocento siano poi legati a filosofi e ad artisti occidentali. Per esempio, nel caso di Tang Nannan, se si segue tutta la sua storia, si individua l’influenza di professori russi, e poi ancora più in là francesi.
Non pensi che ci sia il rischio che possa sembrare che il padiglione cinese guardi solo alla propria tradizione e che sia totalmente slegato dai fatti del mondo e dell’arte contemporanea?
È uscita una polemica su Artsy sul fatto che il Padiglione sia stato letto come una risposta all’idea del recupero della Cina delle tradizioni e non legata all’idea di Cina globale. Qiu sta rispondendo pubblicamente a questa cosa. È interessante vedere come l’Occidente in generale legga qualsiasi cosa provenga da una cultura diversa da quella cinese in maniera strumentale e politicizzata. In qualche modo c’è una diminuzione delle capacità di altre culture di potersi autoaffermare. Qiu ha fatto un lavoro improntato all’idea di recupero della tradizione cinese, ma nella versione globale, in quanto l’arte in Cina ha molti pori aperti verso altre culture e tradizioni, che sono prima mongole, poi persiane. Vince un concetto di Cina che è molto meno pauroso e separato dal resto del globo, che rivendica una sua internazionalizzazione importante.
Nel mondo occidentale bisogna anche rivedere le idee rudimentali che si hanno rispetto alla Cina e verificare che siano corrette, intromettendo linee d’analisi che permettano di andare oltre. C’è una cosa che racconto spesso e che trovo particolarmente straordinaria, nel senso di non ordinario e di bizzarro. All’interno del Padiglione ci sono due capolavori di arte cinese ai livelli di Da Vinci, dei grandi maestri della tradizione occidentale, ma che nessuno conosce ancora in Occidente. Mi sembra molto strano che in Cina conoscano Caravaggio, ma che da noi – a parte rari casi – non ci sia questo tipo di interesse, di curiosità. Questa è la cosa sottolineata da Qiu, anche se c’è questa possibile semplificazione nel vedere questa Cina esotica, ma il Padiglione offre degli strumenti per vedere le complessità.
Penso che questo sia il rischio quando si ha a che fare con culture extraoccidentali. La tendenza è quella di sentirsi superiori a tradizioni d’altro tipo, interpretando i manufatti come eccellenti lavori d’artigianato, quando non come gesti primitivi, forse perché abbiamo bisogno di proiettare l’altro fuori da noi. Siamo anche restii ad accettare i cambiamenti ed è comodo semplificare. Pensi che riusciremo ad accettare le altre culture per quello che sono e nella loro complessità?
Per quello ci vuole ancora pazienza e soprattutto è necessario lavorare profondamente portando dei contenuti che in qualche modo sblocchino questo meccanismo dall’interno. Non può mai essere un processo semplificante, perché se si semplifica troppo, se si rende troppo edulcorata la complessità alla fine si fa anche l’errore contrario. Ci vuole solo molto tempo e questo problema della traslazione, della comprensione e della traduzione è uno dei lavori più interessanti che vanno fatti, e a cui la mia vita è stata particolarmente legata. Uno dei compiti di cui mi sto occupando con una serie di persone è di distruggere quest’idea, che è ancora estremamente imperialista. E’ sempre più importante togliere la paura e il giudizio dell’altro. Questi sono i punti su cui si giocherà nei prossimi anni lo sviluppo della dimensione culturale e artistica di popoli e culture diverse rispetto a quella occidentale. Spesso non si pensa di parlare di umani, di strutture sociali che sono complesse e che ci sia in gioco la libertà altrui.
Padiglione Cina
57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
Continuum – Generation by Generation
Commissario: China Arts and Entertainment Group (CAEG)
Curatore: Qiu Zhijie.
Espositori: Tang Nannan, Wu Jian’an, Wang Tianwen, Yao Huifen
Sede: Arsenale
13 maggio – 26 novembre 2017
Info: www.labiennale.org