Intervista a Jernej Forbici di Francesca Di Giorgio
Jernej Forbici (1980) nasce a Maribor (Slovenia), da tempo vive e lavora tra Vicenza, Berlino e Ptuj. Le origini sono importanti per comprendere il punto di partenza delle sue riflessioni tradotte su tela. La pittura di Forbici è frutto di immagini accumulate nella memoria, che diventano uniche quando è il messaggio a renderle tali. Apparentemente figli di una tradizione “classica” i paesaggi hanno sempre una diretta corrispondenza con la realtà, con i luoghi che ha conosciuto e vissuto.
Si tratta di un paesaggio che ha perso la propria identità e si ritrova ostaggio di un ingranaggio produttivo e irresistibilmente consumistico, esempio delle relazioni sbagliate che l’uomo contemporaneo ha stabilito con la natura…
Francesca Di Giorgio: Da un punto di vista formale sembri debitore di un’estetica “classica”… i quadri potrebbero appartenere ad un’epoca lontana ed imprecisata eppure le tematiche di partenza sono ancorate al contemporaneo…
Jernej Forbici: John Constable, il grande pittore paesaggista inglese, in una delle sue lezioni nel 1836 disse: «Perché allora, la pittura paesaggistica non potrebbe essere considerata un ramo della filosofia naturale, di cui i quadri sono gli esperimenti?». Potrebbe essere questa la risposta contemporanea.
Da sempre sono convinto che noi artisti contemporanei abbiamo l’onore e la grande possibilita di accumulare e re-interpretare tutto quello che ci consegna la storia dell’arte. La pittura nella storia ha fatto dei grandi cambiamenti e spesso si sono incrociati e così offrivano sempre proposte nuove. Oggi è difficile trovare nelle accademie buone scuole di pittura ma rimane importante che gli artisti si rivolgano a questo tesoro consegnato dalla storia per imparare tutto quello che serve per poi saper realizzare e interpretare con i loro occhi e le loro menti quelle che sono le idee contemporane. La mia pittura è spontanea ed è lei stessa a guidarmi. Ovviamente quando mi trovo davanti alla difficoltà di dover risolvere una questione mi appoggio, guardo a diversi artisti che sento a me vicini: gli impressionisti e poi anche i grandi paesaggisti russi e americani che avevano ancora le possibilità di riprendere nei loro lavori la natura pura e incontaminata e ancora Giorgione, Constable, Turner e i più contemporanei come Richter o Kiefer.
Antonio Arévalo paragona il tuo fare a quello di un chirurgo che lavora per rivelare la vera natura dell’uomo… traducendo un tuo titolo: cosa c’è sotto?
È normale per l’uomo moderno pensare e accettare che il futuro vada avanti da solo, come una cosa indipendente dalla nostra partecipazione. Se si confronta con la possibilità della non-esistenza, senza nessun futuro, l’idea della nostra estraneità sembra non solo assurda ma anche inaccettabile e terrificante. È l’idea del mondo che arriva alla sua fine, l’idea che ormai sembra prossima a divenire realtà, a causa dello sfruttamento sistematico delle risorse naturali, che inevitabilmente conduce al loro esaurimento. Il mito dell’industria globale, oggi irresistibilmente diffuso, può essere considerato definitivamente corrotto e fallimentare. L’urgenza della situazione chiama tutti noi ad azioni immediate e veloci. È chiaro che molti di questi problemi derivano da decisioni prese senza pensare alle conseguenze e, allo stesso tempo, senza pensare all’origine della situazione.
Bertolt Brecht ha detto una volta che pensare è una cosa che accompagna i problemi e supera le azioni. Oggi l’uomo moderno sta vedendo «il dopo» e, come ha detto Adorno, è sull’oggi che l’arte deve riflettere e reagire contro tutto questo. Con la massima urgenza, l’uomo contemporaneo deve riflettere sulla grande idea del progresso, ribellarsi contro il pensiero che la natura è solo una riserva di materie prime da sfruttare senza cautele e senza rispetto per i suoi equilibri.
I graffi e le striature in rilievo sulla superficie mostrano la presenza di un’assenza. L’uomo lascia sempre sulla terra la sua impronta indelebile…
Dobbiamo essere sinceri. Il paesaggio nella sua accezione tradizionale, romantica e ottocentesca, oggettivamente non esiste più. L’uomo, con i suoi strumenti industriali, imprime, in modi sempre più incisivi, la superficie terrestre. Nei miei lavori l’uomo non è presente attraverso il suo corpo ma attraverso le sue azioni, e soprattutto, i suoi peccati, la sua impronta è visibile ad ogni passo.
Questi segni rappresentano per me le impronte dell’uomo, quasi sempre negative e che prevalgono sulla natura del territorio. Spesso si vogliono nascondere ed è anche per questo che voglio renderli così evidenti sulla superficie dei miei lavori e metterli davanti all’uomo che li guarda, sperando in una sua presa di coscienza.
Qualcosa di malinconico attraversa le tue visioni, penso a Standing on the edge hoping everything’s not lost…(2007) ma con uno sguardo, benché incerto, al futuro (Blury future, 2010)…
Questi due lavori sono molto legati a Halda, sede di una discarica parzialmente dismessa. La natura, in questo luogo assurdo, si produce in uno scontro placido con l’intervento dell’uomo, che come in un palinsesto ne rinnova la destinazione e riscrive i confini, traccia strade e sentieri, disegna geometrie fra campi coltivati, linee di cipressi e palizzate, circonferenze di recinti in disuso. Halda contiene nella sua maestosa bellezza e tranquillità il messaggio che fa pensare al nostro futuro, al punto a cui siamo arrivati, convinti della più grande illussione dell’uomo moderno: l’idea della natura come puro oggetto, seguita dall’idea della supremazia della tecnica su di Lei.
A cosa stai lavorando in questo momento? Progetti futuri?
Oltre alla personale in corso alla Galleria Bianca Maria Rizzi di Milano, ho in corso una mostra all’Art Factory di Majšperk (Slovenia) e sto presentando in Italia il mio nuovo catalogo/monografia. Nel prossimo futuro, da maggio a ottobre 2011, alcune mostre a Vicenza, alla Galerie Eglös di Dobbiaco (BZ) e alla Galleria Civica di Montichiari (BS). In studio sto lavorando sulle opere nuove, dedicate all’ultima serie Blury Future e, poi, ad un nuovo progetto, Concived Breeding, dedicato agli animali e al nostro desiderio di controllarli.
La mostra in breve:
Jernei Forbici. I fiumi di porpora
testi di Alessandra Redaelli e Antonio Arévalo
Galleria Bianca Maria Rizzi
Via Molino delle Armi 3, Milano
Info: +39 02 58314940
www.galleriabiancanariarizzi.com
31 marzo – 7 maggio 2011
In alto:
“What Lies Beneath”, 2007, acrilico e olio su tela, cm 500×250
In centro:
“I Fiumi di porpora”, Bianca Maria Rizzi, MI
“Blury future with fake plastic flowers”, 2011, cm 125×155
In basso:
“Blury Future”, 2010, acrilico e olio su tela, cm 240×170