MILANO | MUDEC, MUSEO DELLE CULTURE DI MILANO | 28 ottobre 2016 – 26 febbraio 2017
di FRANCESCA CAPUTO
A raccontare radici ed essenza poetica di Jean-Michel Basquiat – oltre il mito dell’artista in precario equilibrio tra edonismo e dissoluzione che egli stesso contribuì ad innescare – ci prova la retrospettiva aperta al Mudec, Museo delle Culture di Milano, fino al 26 febbraio 2017. Curata da Jeffrey Deitch e Gianni Mercurio, mette in scena più di cento opere provenienti, per la maggior parte, dalla collezione di Yosef Mugrabi.
La scrittura espositiva si snoda in sei sezioni, scandendo cronologicamente la prolifica attività degli anni d’oro, 1980 – 1987, attraverso la geografia dei luoghi determinanti per l’evoluzione del suo percorso: la strada, la sua prima personale organizzata dal gallerista Emilio Mazzoli in Italia, a Modena nel maggio del 1981, gli studi newyorkesi e quello di Andy Warhol, dove nacquero i celebri dipinti creati in collaborazione. L’ultima sala ospita una preziosa intervista al brillante ragazzo di Brooklyn divenuto icona della scena artistica degli anni Ottanta.
La sua opera è un’astrazione del fermento culturale e artistico della New York di fine anni Settanta e inizi anni Ottanta, in un connubio di influssi culturali privi di qualsiasi gerarchia. Fonti diverse fagocitate e rielaborate in un linguaggio personalissimo. Dalle innovazioni musicali dei grandi maestri del Jazz fino al no wave, alla nascente scena musicale hip hop e rap tradotta in segni visivi, dalla cultura popolare del fumetto e dei cartoons ai particolari grafici che traeva dai numerosi libri che divorava, di scienza, letteratura e dei grandi maestri dell’arte, come Leonardo.
Le sue innovazioni incarnano una sintesi tra l’ambiente a lui contemporaneo e le novità della precedente generazione ancora attiva a New York, Beat Generation, Espressionismo Astratto, su tutti la libertà compositiva di Cy Twombly, Pop Art con i combine painting di Rauschenberg e la capacità di Andy Warhol di incarnare la propria ricerca estetica.
Nel dinamico mixaggio che fonde oggetti trovati, parole e immagini, la stessa struttura formale rispecchia le sue disparate influenze: la tecnica del cut up di Burroughs e del collage modernista, l’assemblaggio africano, la campionatura e il remix dei DJ, le jam jazzistiche.
Fondamentale per la sua visione artistica è l’uso ricorrente della parola, come messaggio e segno grafico. Fin dai tempi in cui, con lo pseudonimo di SAMO (acronimo per same old shit) insieme all’amico Al Diaz ricopriva i muri del downtown con aforismi, brevi poesie, frasi di protesta, versi scritti di getto. Molte delle quali sono presenti anche nei suoi primi lavori, sintesi visiva dell’iconografia e del ritmo pulsante della Grande Mela, dipinti direttamente su supporti trovati in strada.
La sua pittura fluida, istintiva, che cela composizioni complesse e dettagliate, dissacranti e insieme raffinate, si coniuga anche con una concezione politica dell’esistenza, nel recupero, tanto contenutistico che linguistico, di valori e conquiste culturali della comunità afro-americana, sensibile ai temi di identità, oppressione, riscatto. In maniera più velata, nei simboli ricorrenti della corona e dell’aureola, elementi di regalità e santità sempre accostati ad una figura di colore e, in maniera più esplicita, nei tanti ritratti di jazzisti, atleti e rivoluzionari.
Dopo dieci anni dalla mostra in Triennale, Milano torna a celebrare l’essenza poliedrica dell’arte di Basquiat, ricca di contrasti dinamici, tra energia e degrado, globale e tribale, cultura alta e bassa, arte e vita, underground e glam, fame di successo e fragilità, eccessi e trionfi commerciali.
Jean-Michel Basquiat
a cura di Jeffrey Deitch e Gianni Mercurio
prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore
promossa dal Comune di Milano‐Cultura e da 24 ORE Cultura
28 ottobre 2016 – 26 febbraio 2017
Museo delle Culture di Milano
via Tortona 56, Milano
Info: +39 02 54917
www.mudec.it