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INTERVISTA DI DANIELA TRINCIA

Dall’esplicito titolo Requiem Terrae, l’artista Inés Fontenla torna a parlarci di uno dei due temi a lei più cari, quello della tutela, della salvaguardia ma soprattutto della preservazione della nostra Terra che, insieme al tema dei migranti, riflette la realtà conflittuale della società di oggi. Conflitti che, passando da una visione macro a una visione micro, rispecchiano anche le contraddizioni personali dell’artista. Arrivata in Italia dall’Argentina da oltre vent’anni, conosce bene lo stato di migrante, perché i suoi nonni si sono trasferiti dalla Spagna e dalla Russia. Inoltre, anche in Requiem Terrae, come per tutti i suoi lavori, si è di fronte a un’installazione di grandi dimensioni che deve essere esperita dallo spettatore, che può entrare dentro, farsi avvolgere e dove il confine tra reale e illusorio è fortemente assottigliato. E, come per gli altri lavori a tema ecologico, Requiem Terrae invita a riflettere sui danni irreversibili che alcune scelte scriteriate procurano ai nostri simili e all’ambiente e i cambiamenti che ne derivano. Pensata per la piccola chiesa sconsacrata di San Filippo Neri a Roma, è, appunto, un lavoro che si sviluppa per tutta la navata e si completa con una video-animazione e con una sorta di cartiglio. Ma è l’artista stessa a presentarci il lavoro…

Daniela Trincia: Parliamo del tuo ultimo lavoro Requiem Terrae, in cui il Requiem, la preghiera per i defunti, è declamato per la Terra morta per gli oltraggi perpetrati dall’uomo nei suoi confronti…
Inés Fontenla:
È così: una Terra oltraggiata. L’uomo non si rende conto dei danni irreversibili che sta provocando al Pianeta, di quanto, invece, sia importante prendersene cura. Perché abbiamo la piena responsabilità di come lo lasciamo a chi viene dopo di noi. In Requiem Terrae il pavimento della navata sarà cosparso e ricoperto di uno strato di quattro centimetri di terra di colore nero, per dare l’idea della fertilità e di qualcosa di energetico. Su questo strato sarà poggiato un grande vetro rotto, con un mappamondo stampato sopra, ad indicare come l’uomo lo ha ridotto. Un faro illuminerà il vetro e il resto sarà lasciato in penombra, per ricreare un’ambientazione simile a una caverna. Nella saletta sarà proiettata la video-animazione in cui, attraverso il movimento dei continenti, racconto la storia del Novecento. Partendo da un’esplosione, quella dei conflitti mondiali, i diversi Paesi cercano di trovare un loro equilibrio. Seguono gli anni della Guerra Fredda, che ho rappresentato con il graduale ingrossamento e rimpicciolimento degli USA e dell’URSS. Poi c’è un blow up sul Medio Oriente dove si verificano dei tagli, ad indicare le numerose guerre che negli ultimi tempi si sono susseguite in quei territori. Lentamente, questo mappamondo, si stropiccia, si appallottola e alla fine, come una carta straccia, viene gettato a terra. Vicino alla porta di ingresso, sarà affisso un rotolo con la Carta della Terra, ratificata dall’Unesco nel 2000, che si conclude con la speranza che «La nostra epoca venga ricordata per il risvegliarsi di un nuovo rispetto per la vita, […] per un rinnovato impegno per la lotta per la giustizia e la pace e per la gioiosa celebrazione della vita».

Però, nonostante questo stato di cose, nei tuoi lavori non si rintraccia un messaggio pessimistico, anzi si avverte un certo ottimismo …
Infatti, perché voglio sperare che l’uomo prenda finalmente coscienza della necessità di scelte che vadano a tutela del Pianeta. Che il progresso industriale e tecnologico può essere indirizzato anche alla ricerca di soluzioni eco-sostenibili e eco-compatibili. Che la politica, finora adottata, ha provocato una serie di danni, ma può essere rivista e modificata in un’ottica di difesa dell’ambiente, che può portare altrettanti guadagni e profitti.

Tutto il tuo lavoro, sin dall’inizio, ruota intorno a due temi ben precisi: quello dell’immigrazione e quello dell’ecologia…
Sì, queste sono le tematiche che da sempre tratto nella mia ricerca artistica. Quello dell’immigrazione, della gente che si sposta, che deve lasciare la propria terra e la sofferenza che ne consegue a causa di quest’allontanamento; e quello dell’ecologia, della sofferenza della Terra per l’abuso da parte dell’Uomo. Sento che questi due argomenti siano i due grossi dissidi del nostro tempo e dell’uomo di oggi. Dell’immigrazione me ne sono occupata, per esempio, nei lavori Sindrome di Ulisse e Verso Itaca. Il primo, del 2007, consiste in un’installazione realizzata con dodici valigie bianche ciascuna delle quali contiene qualcosa, come parole, vetri rotti, immagini di mare in tempesta, fiori. Sono la metafora di quello che portiamo con noi nella vita e che, anche se pesanti, non possiamo farne a meno. Mentre nel secondo, del 2009, davanti a una grande foto con una nave affondata, ad indicare Itaca, c’è un mucchio di mobili, e il pavimento ricoperto di uno strato di sabbia: è un viaggio verso qualcosa che però è ostacolato. Mentre dell’ecologia ne ho parlato, ad esempio, ne Il cielo alla fine del mondo del 2004, in cui mi sono occupata del buco dell’ozono.

Sono temi che riguardano in generale l’Uomo ma nei tuoi lavori c’è sempre un richiamo autobiografico…
Il mio lavoro non può prescindere dalla mia vita personale. In Fulmine a ciel sereno (2007) ci sono due immagini a grandezza naturale di due divani, per ricreare un’ambientazione domestica, e a terra dei vetri rotti con un libro aperto dal titolo Las venas avierta de America Latina di Eduardo Galeano pubblicato nel 1971. Indica che il continente Sud Americano ha sempre combattuto ed è sempre stato attraversato da conflitti. Ma anche, attraverso alcuni pezzi di vetro conficcati nelle immagini, che qualcosa di violento e improvviso ha rotto l’armonia della casa.

Qual è il lavoro a cui ti senti più legata e che meglio ti rappresenta?
Il lavoro a cui sono più legata è sempre l’ultimo che realizzo o quello che progetterò. Ma in questo momento, alla luce di quello che è accaduto anche in Giappone, mi sento molto legata a Requiem Terrae, perché c’è la necessità di una presa di coscienza, di lasciare dei segni per il futuro.

La mostra in breve:
Inés Fontenla. Requiem Terrae
a cura di Lucrezia Cippitelli
Chiesa di S. Filippino
Via Giulia 134, Roma
Info: +39 339 8954865 (ufficio stampa Rita Salvadei)
28 aprile – 20 maggio 2011

In alto:
Installazione “Requiem Terrae”
In centro:
Installazione “Requiem Terrae”
In basso:
Still da video “Requiem Terrae”

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