ROMA | Galleria Richter Fine Art | Fino al 31 gennaio 2019
di JACOPO RICCIARDI
Alla Galleria Richter Fine Art di Roma ci accolgono le opere di quattro giovani artisti, due italiani e due provenienti dalla Romania: Luca Grechi, Dario Carratta, Alex Bodea e Ana Botezatu. Quattro artisti in fuga dall’ovvio del quadro o della scultura.
Grechi propone un grande foglio nudo bloccato agli angoli con quattro piccoli cilindri, sul quale poche linee in grafite mostrano una zampa che diventa una foglia stretta e lunga con al centro dei piccoli occhi e con dei segni curvi e gestuali più in alto che ricordano il passaggio di un vento che porta fin lì la foglia. Pochi segni lunghi, flessuosi e netti che tracciano chiara la tripla immagine in un unicum gestuale e visivo.
Il grande foglio di Bodea, attaccato con grande levità ai due angoli superiori, cade libero sotto il suo peso e in basso si sporge con una curva a salire, fermo, sospeso. Su di esso è riprodotto, con morbido inchiostro nero, un personaggio femminile che cammina flessuoso portando sulle spalle un giubbotto morbido alla moda. Il tratto grafico della figura e la sua postura maliziosa in movimento trasportano in un mondo altro dal nostro, o in un altro mondo che mantiene il nostro sottotraccia, svelandone le alchimie sociali in una critica descrittiva molto stringente, proprio perché colta da un altrove non lontano, da un segno grafico ma tutt’altro che piatto. Le altre opere di Bodea, piccoli disegni contenuti alla base di alte e strette cornici nere, appaiono come un vocabolario visivo di comportamenti o percezioni sociali dell’altrui vita, riportati con uno o due segni d’inchiostro nel bianco del piccolo foglio come un alfabeto visivo che vuole essere svelato ma anche indagato, accompagnati da poche parole descrittive. Tutto questo diventerà, al piano inferiore, un vero e proprio fumetto e catturerà una narrazione quasi muta che scava nei paradossi comportamentali dell’individuo sociale.
Al piano inferiore Grechi pone su degli alti piedistalli delle ceramiche dipinte con pochi colori, bianco e blu, bianco e nero, bianco e marrone, che rappresentano visioni positive e apparizioni gentili, favolistiche, oniriche e duttili sotto la mano dell’artista che le plasma lasciandole emergere.
Queste sono immagini singole e non multiple, ma che si aprono alla tridimensionalità dello spazio che le interpreta nei numerosi modi o mondi, mentali e sognati, che le generano, che siano candelabro o animale dal lungo collo e dall’alto ciuffo o maschera di un volto su un alto appoggio.
Lì accanto, ma a terra, si trova la scultura tutta provocazione di Carratta: si distacca da terra su un secchio di plastica azzurra la ceramica di un volto-coppa, cavo all’interno (lì vengono ospitate delle caramelle morbide ad orsetto di diversi colori; ecco una terza materia distaccata dalle altre e che provoca le altre, le interroga; forse nello spazio trovato tra di esse Carratta vuole mostrare che il Tutto regge per ‘miracolo’), volto maschile e femminile ad un tempo, provocatorio, con labbra rosse tirate sui denti senza sorriso e degli occhi contornati di azzurro a riempire la palpebra, un trans, una prostituta, un personaggio vissuto e malandato, con orecchie lunghe, espressive di una temporalità che tira per le lunghe, e la figura resiste, seppure composta da condizioni di materie lontane al limite della sopportazione. I suoi tre acquerelli al piano terra, in alto alla parete, descrivono fino ad illustrare questo disagio e disorientamento del quotidiano, che ha pur sempre un candore espresso nei colori e nelle pose: pericolo e deriva. Ma se la deriva è infinita può essere salvezza.
Nella stessa stanza, di fronte, i piatti della Botezatu, dai bordi più o meno irregolari e dal fondo bianco e lucente su cui appaiono persone o animali o cose stilizzati dipinti come intime apparizioni paradossali, dolci, spiazzanti, appartenenti a una memoria collettiva che cerca la propria abitazione e il proprio quotidiano. Così la Botezatu crea l’illusione di un luogo che accoglie quei piatti, come se potesse essere reale, ma già così esposti sono archeologia di se stessi, oggetti di una memoria e di un luogo dissolti o in dissoluzione che però l’artista tiene in vita in extremis con una dolcezza aspra, con un’oggettualità aspra, con un racconto aspro.
Ecco le terrecotte naturali o nere in tecnica raku messe in fila al piano inferiore su un alto supporto, personaggi femminili che nonostante la violenza di una materia tormentata mostra bene la posa e il lavoro, tra fatica e dovere, tra obbligo di adesione alla società e desiderio di una lontana libertà, che fa della donna l’abitante perfetta, drammatica, di una dissoluzione rovente dell’identità messa contro la disciplina sociale memore di vecchie ideologie. Ma i tempi contemporanei sono altrettanto crudeli poiché dietro i colori sgargianti del pop si rovescia un’ideologia in un’altra ideologia che consuma lo stesso l’individuo. E la Botezatu mantiene viva la memoria di questa evanescente ma furiosa violenza che ci investe quotidianamente, lasciandoci la possibilità di abitare una presa di coscienza prima che si dissolva del tutto.
In The Making. Alex Bodea, Ana Botezatu, Dario Carratta, Luca Grechi
Fino al 31 gennaio 2019
Galleria Richter Fine Art
vicolo del Curato 3, Roma
Info: +39 3400040862
info@galleriarichter.com
www.galleriarichter.com