PESCARA | Ceravento | 15 giugno – 9 agosto 2024
Intervista a GIUSEPPE VASSALLO di Ilaria Introzzi
Il rapporto tra uomo e natura, spazio vissuto e una singolare intuizione creativa, che porta a guardare oltre le basi della pittura, traghettando lo sguardo immaginifico dello spettatore, persino sulla luna. Quella sfera bianca che è parte stessa del titolo dell’ultima personale ora in corso (fino al 9 agosto) di Giuseppe Vassallo (Palermo, 1990), alla galleria Ceravento di Pescara accompagnata da un testo critico di Miriam di Francesco: In sogno era una sfera bianca. Il pittore siciliano conclude con questa esposizione quasi un anno, tra settembre 2023 e agosto 2024, fatto di progressi intimi e professionali, avvenuti non solo nel suo studio sotto forma di ricerca, ma anche attraverso mostre e fiere importanti le quali gli hanno dato modo di crescere, imparare e formarsi come mai prima, riconoscendogli quindi il suo apporto concreto all’interpretazione della contemporaneità, tra poesia, immagine e tecnica rappresentativa.
Giuseppe, è stato un anno impegnativo, eh?
Sì, parecchio. Una successione di esposizioni piuttosto serrate dal punto di vista delle tempistiche, ma che riflettono positivamente la stessa intensità in termini di concentrazione sulla ricerca che sto portando avanti ormai da qualche anno.
Quando fai un lungo respiro durante la tua quotidianità?
Il metodo e la disciplina, che cerco il più possibile di mantenere con costanza, non nasconde una certa tensione durante le lunghe giornate di lavoro. Sono tensioni ma anche respiri, come suggerisci, dettati dai soggetti e i paesaggi che interpreto, mi lascio un po’ guidare da questi. Dunque, emotivamente, sono giorni di vere e proprie montagne russe, a volte di distensione totale, altre di tensione che letteralmente si stratifica sul supporto pittorico, sul fisico e la mente. In generale, i momenti che rilassano i nervi, sono quelli che riguardano la lettura, la ricerca fotografica, gli spostamenti in moto lungo le coste della mia città, la contemplazione del mare e il suo orizzonte, le pause tra uno stato e l’altro di un’incisione, mentre annaffio le piante del mio terrazzo in studio, recido le rose o una tazza di caffè.
L’ultima personale In sogno era una sfera bianca evidenzia, a tratti, questi sospiri e al contempo si arricchisce di movimenti pittorici in grado di uniformare l’intero allestimento. Sei d’accordo?
Sì, sono assolutamente d’accordo. È una sensazione che sin da subito, con il gallerista di Ceravento (Loris Maccarrone, ndr) e Miriam di Francesco, abbiamo percepito durante e dopo l’allestimento. La fruizione della mostra è pensata per essere libera, senza un percorso prestabilito così come in effetti detta la natura stessa di un paesaggio, coprotagonista di questa esposizione. Più di un visitatore ha avvertito una certa circolarità, il desiderio, una volta visitata l’intera esposizione, di tornare indietro, per guardare meglio. Probabilmente, secondo me, vi è il naturale desiderio di perdersi nel sogno atavico dell’abbandono. L’antica condizione di un essere facente parte della materia terrestre, o lunare.
Parliamo del titolo, come l’hai concepito?
Il titolo, come è già accaduto, si è palesato durante un brainstorming con gli “attori” di Ceravento, senza alcun confronto preliminare, un’intuizione collettiva. Ma bisogna precisare che in principio è il titolo che ho dato ad uno dei dipinti protagonisti di questa mostra, uno dei primi dipinti pensato appositamente per questo progetto, e racchiude l’interno concept di questa mostra. Vi è l’antico mito di Arcadia e l’immagine di un rappresentante dei Preseleni (abitanti di Arcadia dapprima dell’arrivo della Luna) e la sua visione “in sogno” di una sfera bianca.
Cos’è per te la sfera bianca?
La sfera bianca è da sempre il solido geometrico simbolo di perfezione, purezza ed eternità. Per gli stessi motivi è anche un oggetto ambiguo, senza fine, che attrae, respinge e cattura al tempo stesso (vedi la serie britannica del 1967 Il Prigioniero di Patrick McGoohan e George Markstein), e che soprattutto descrive al meglio il nostro satellite. Per me, è stato il pretesto per rappresentare il linguaggio stesso della pittura, questo misterioso mezzo rivelatore, che altera emotivamente il fruitore come la Luna fa con le nostre maree. In fondo vi è anche un recondito desiderio di mettere ordine, rasentare la perfezione. Come intitolai un dipinto esposto per il mio solo show L’Ora blu con Ceravento, per Roma Arte in Nuvola, Un antico stare al mondo.
Dipinti, ma anche fotografie, da cui solitamente poni le basi per ogni tuo lavoro pittorico. Per questo che hai scelto, insieme alla galleria e a Miriam di Francesco, di esporle?
Anche questa è stata un’idea frutto di una strana alchimia fra me e la galleria, un’intuizione quasi necessaria che probabilmente ha richiesto da sé il corpus pittorico. Spiegare ed accompagnare il visitatore senza didascalie, con “naturalezza”, in un gioco di piani fisicamente sfalsati, tra finzioni prospettiche all’interno dei dipinti e display fotografici che bucano le pareti della galleria, verso nuovi e antichi mondi. Ho da sempre immaginato una personale così allestita, mettendo in mostra anche il processo creativo che porta alla realizzazione delle opere, la fotografia in questo ha per me una funzione cruciale. Il loro scopo è quello di fungere agli occhi del pubblico come “un’esplorazione interspaziale tra mondi ed epoche differenti, tra familiarità e disorientamento, e collocate come sospese in assenza di gravità.”
Sfera bianca, anche come la luna. Ricordando la mostra precedente alla Galleria Patricia Armocida di Milano Lunatico | Lunare (2023), definiresti il tuo percorso artistico più lunatico o lunare?
Credo molto nelle coincidenze e negli incontri soprattutto nell’arte, dove ogni evento diventa occasione di arricchimento. Nel mio lavoro accade in studio e con le persone che desiderano lavorare con me. Durante questo cammino, che porta sempre a espormi, ogni passo diventa fondamentale per l’ultima destinazione, anche quello falso. Sentivo l’urgenza di intraprende un percorso che mettesse in luce questo mio girovagare per le coste, con e senza coscienza, dentro e fuori dal reale, tra antichità e tempo più prossimo, con un approccio lunatico e un incedere lunare a un tempo. Con Ceravento ho avuto la grande fortuna di condividere questa urgenza e metterla in scena.
E nella routine quotidiana all’interno del tuo studio? Quale approccio segui nel momento in cui ti metti a dipingere?
Ultimamente, come per questo recente ciclo di dipinti, mi approccio parallelamente al paesaggio e alla figura, entrambi dettano le possibili strade da perseguire, l’uno è il ritratto dell’altro. Per questo recente ciclo di dipinti il paesaggio è per lo più mnemonico, una novità per la mia solita pratica pittorica che prevede anche la riproduzione. La scelta della figura è invece diventata frastagliata, provo a farmi contaminare da diverse fonti, la mia fotografia, quella anonima, quella per il cinema, per la moda, frame documentaristici, cartoline d’epoca, soggetti familiari.
“La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori”, scrive Alda Merini. La luce, la tua luce. Trovo che sia un filo conduttore di tutta la produzione che hai realizzato, dagli esordi fino a oggi con queste opere inedite esposte in mostra. Un altro tema ricorrente è il rapporto tra uomo e natura, argomento spesso ricercato dagli artisti, specie quand’è di attualità. A te pare sembri naturale inglobare la natura nell’essere umano e viceversa. Da cosa deriva questa confluenza?
In generale lavoro su un ipotetico equilibrio, in cui entrambi i soggetti si fondono senza surrealismo, anzi, direi con verosimiglianza, nonostante gli habitat si facciano “fondali”. Documentandomi con diverse fonti artistiche, anche scritte, ho immaginato Arcadia e come potrebbe essere percepita oggi. Con questo ho voluto alimentare la componente onirica e favolistica del tema, che presuppone comunque un aspetto impervio, sublime, pre-apocalittico dell’habitat. Così come ci si può presentare a noi il nostro futuro più prossimo, viste le ultime vicende ecologiche e crisi climatiche. Vi è indubbiamente una sottile vena di denuncia contro questa nostra totale mancanza di rispetto per il nostro pianeta.
Ultimamente hai esposto in diverse istituzioni artistiche in Italia, come ti prepari per ogni mostra?
L’esperienza mi ha insegnato che la preparazione non riguarda quelle poche settimane che anticipano le vere e proprie ore di sedute dinanzi il cavalletto, ma sono gli anni passati in studio che preparano a una mostra. Per dirla meglio: ogni mostra realizzata è la preparazione per la successiva. Quest’ultima alla Ceravento mi ha insegnato tanto e chissà quanto ancora avrò da imparare, perché, in verità, dipingere è per me un’eterna preparazione.
Un pensiero per l’arte.
Credo molto nel potere salvifico di questo mezzo, la pittura, così come l’arte tutta. Ci si aspetta che, attraverso una rappresentazione qualsiasi, venga riscattata la perdita della sua essenza, la sua intima immagine. Per me quest’immagine coincide con l’oggetto stesso rappresentato, e l’uomo, filtro dell’arte, di questa verità ne è rivelatore. Come un sismografo che rappresenta l’entità di ogni attività sismica intorno a sé.
Giuseppe Vassallo. In sogno era una sfera bianca
testo critico di Miriam Di Francesco
15 giugno – 9 agosto 2024
Ceravento
Corso Vittorio Emanuele II 161, Pescara