BOLOGNA | CASA MORANDI | FINO AL 24 OTTOBRE 2021
Intervista a STEFANO PASQUINI di Maria Chiara Wang
Where does your memory go? // Dove va la tua memoria, personale di Stefano W. Pasquini a cura di Lorenzo Balbi – direttore artistico del MAMbo – Museo D’Arte Moderna di Bologna – presso Casa Morandi (BO), si offre al pubblico come un momento di confronto con l’artista bolognese sul tema della memoria, sulla pittura come medium privilegiato per la sua trattazione, sugli oggetti come ponte simbolico tra passato e presente, oltre che sul progetto online The Book of People, pensato e nato per mantenere il ricordo dei propri affetti. A completare la chiacchierata con Pasquini, un veloce approfondimento sul valore dell’immagine nella contemporaneità prendendo spunto dal numero 36 della zine Obsolete Shit pubblicato in occasione di tale esposizione.
Cosa rimane, nel tempo, dei nostri ricordi? Come si alimenta e come si preserva la memoria? Come condiziona il presente e il futuro sia individuale che collettivo?
Sono domande di ordine filosofico alle quali non so assolutamente dare una risposta, ma che vorrei che si ponessero anche i visitatori della mia mostra. A partire dalla bandiera appesa all’esterno in via Fondazza, che è anche il titolo della mostra, Where does your memory go?, chiedo al visitatore di pensare al viaggio che fa la nostra memoria, consapevole del suo deperimento nel tempo. Quando, invece, inserisco oggetti della mia famiglia nella casa di Giorgio Morandi sto cercando di esprimere quel cortocircuito che accade alla nostra memoria quando siamo sicuri di qualcosa che poi scopriamo non essere vera.
Quale ruolo, quindi, rivestono gli oggetti in questo processo?
Come ci insegna Marcel Proust, gli oggetti hanno un peso notevole sia nella loro simbologia, sia nella loro rappresentatività della memoria. Nel caso del mio intervento all’interno di Casa Morandi, gli occhiali di mia nonna, Lia Fava, si appoggiano con leggerezza dentro lo studio di Giorgio Morandi, e questo per me diventa un incontro virtuale che fa dialogare le due persone. Mi piace pensare che, una volta, Giorgio abbia potuto incontrare lo sguardo di Lia, bolognese come lui e vent’anni più giovane, con curiosità.
Perché hai scelto la pittura per trattare il tema della memoria? Quale posizione ricopre questo medium nel più ampio panorama dell’arte contemporanea?
Penso che la pittura, malgrado possa essere considerato un mezzo anacronistico di fare arte nel nostro tempo, riesca ancora a provocare quel livello di emozione diretta che ci permette un tipo di comunicazione più profondo rispetto ad altri mezzi usati nell’arte contemporanea. È un mio grande amore, fin dai tempi in cui studiavo con Concetto Pozzati, grande maestro, all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Poi la mia curiosità verso l’arte concettuale ha fatto sì che, per una quindicina d’anni, smettessi di praticare la pittura per prediligere l’installazione, la fotografia, il video o la performance, per poi riprenderla definitivamente dal 2007. È una lotta continua tra la gratificazione istantanea (quando un’opera riesce bene al primo colpo) e la delusione del lavoro, che non fa che sottolineare, in modo oserei dire morandiano, quanto essa abbia bisogno di tempo, pazienza, perseveranza.
L’esposizione rappresenta anche un nuovo spaccato di The Book of People, progetto online (www.thebookofpeople.net) pensato e nato proprio per mantenere il ricordo delle persone a noi care. Puoi approfondire i contenuti e descrivere le caratteristiche di questo progetto?
L’idea di The Book of People nasce in concomitanza col progetto di questa mostra, dunque sono due lavori paralleli e complementari. Tutto trae origine da una conversazione avuta con mio padre riguardo storie di famiglia e, in particolare, dalla domanda “ma come si chiamava tuo nonno?”, domanda alla quale – per un istante – lui non è riuscito a rispondere. Da qui è partito il mio tarlo nel voler tentare di conservare la memoria di persone che tra cent’anni saranno completamente dimenticate, come succede alla maggior parte dei nostri antenati. Vorrei che The Book of People diventasse una sorta di enciclopedia virtuale di persone comuni. L’idea è quella di raccogliere storie private da chiunque sia interessato a partecipare, e raccogliere i ritratti e le suddette storie in un libro d’artista che piano piano sta prendendo forma. Al momento online sono presenti i racconti di 30 persone, donati da amici e sconosciuti che hanno aderito al progetto, e i rispettivi ritratti. Quando ne avrò finiti un centinaio pubblicherò un libro d’artista con lo stesso titolo, con la speranza che queste testimonianze non vadano perse.
In occasione di questa tua personale hai pubblicato il numero 36 di Obsolete Shit, una zine collaborativa che raccoglie in modo orizzontale le espressioni creative di artisti e non artisti, mettendo in discussione il valore stesso dell’immagine nella nostra contemporaneità. Quali sono i contenuti di questo numero? Quali gli sviluppi futuri della zine? Quale il valore dell’immagine nella nostra contemporaneità?
Obsolete Shit è una zine autoprodotta che pubblico dal 2008, con numeri casuali (la prima uscita è il numero 7, quella col coefficiente più alto è il numero 671), formati differenti e uscite temporali non lineari. A me piace definire questo progetto un esercizio di libertà, in cui artisti e non artisti vengono affiancati in una pubblicazione che non ha altro contenuto che immagini. In questo modo metto in discussione la cultura “alta” dell’immagine contemporanea, affiancata a scatti quasi casuali realizzati da amici con il cellulare, che diventano così espressione creativa. L’unica dicitura che permane in tutti i numeri della rivista (ne sono usciti una sessantina circa, alcuni con una tiratura di migliaia di copie, altri in edizione unica) è “manda materiale non richiesto a obsoletesh@gmail.com“, senza specificare cosa succederà a quel materiale, e in che modo verrà pubblicato o non pubblicato. Così chiunque abbia voglia di lasciare un segno ha la possibilità di farlo, senza una sequenza logica o un motivo strutturato. Il risultato è una serie di pubblicazioni che ci fa pensare al futuro dell’immagine, e anche alla necessità della carta stampata, oltre ai metodi di comunicazione dell’arte contemporanea, che a mio avviso alle volte vengono superati dalla documentazione della realtà stessa. Nel caso di questo numero, che è il 36 come il civico di Casa Morandi, ho chiesto a colleghi artisti di mandarmi opere che avessero a che fare con la loro idea di memoria, o che potessero avere attinenza con l’opera di Morandi. Il risultato è probabilmente l’Obsolete Shit più formale che io abbia pubblicato, ma che forse si attiene meglio al silenzio dello studio in casa Morandi.
Stefano W. Pasquini. Where does your memory go? // Dove va la tua memoria?
a cura di Lorenzo Balbi
2 – 24 ottobre 2021
Istituzione Bologna Musei | Casa Morandi
Via Fondazza 36, Bologna
Info: +39 051 6496611
casamorandi@comune.bologna.it
www.mambo-bologna.org/museomorandi