MILANO | PAC Padiglione d’Arte Contemporanea | Fino al 15 settembre 2024
di LUIGI ABBATE
La presa in carico del “parametro suono” da parte della creatività artistica è un dato acquisito da tempo. Potremmo persino fissarne l’atto di nascita, nel 1922, con la Ursonate di Kurt Schwitters, ma in fondo poco importa. Va detto invece, ed è un dato certo, che ci sono al mondo molti più artisti che lavorano sul e dentro il suono di quanti compositori di musica lavorino con i mezzi, tradizionali o meno, dell’arte. Sarebbe comunque pretestuoso, oltre che inutile, se di questa inclinazione il compositore dovesse pensare come a una invasione di campo: il rapporto ri-creativo fra i due mondi è e sarà sempre fertile.
Riflessioni che nascono e fanno forse da premessa alla visita di Andante con moto, titolo musicalissimo, retrospettiva di Liliana Moro al PAC di Milano, fino al 15 settembre. L’idea della mostra è figlia di una precedente esposizione presso il Kunstmuseum Liechtenstein. La sua direttrice, Letizia Ragaglia, ha curato con Diego Sileo l’allestimento milanese focalizzando l’attenzione appunto sul parametro suono, ricorrente nel lavoro di Liliana Moro. Suono come testimone di situazioni, come dice l’artista, “in presa diretta”, dunque non come veicolo grammaticale da decodificare sulla base di un repertorio musicale. Vero è che alcune installazioni, prima fra tutte, Le nomadi (2023), a chi la musica la pratica danno da pensare, perché è difficile scindere l’ascolto della “situazione” da quello del brano conosciuto, come ad esempio la Prima Suite per violoncello di Bach o l’aria Casta diva dalla Norma di Bellini. Liliana Moro naturalmente non (si) pone il problema della riconoscibilità o collocazione storica dei brani, che invece sono proposti in quanto funzionali ad una memoria collettiva: gli zainetti “sonanti” de Le nomadi alludono dichiaratamente a donne che s’incrociano in metro, e l’output che ne esce è come la parte, fonica appunto, di un tutto esperienziale. Le nomadi stanno all’inizio del corridoio centrale. In fondo, dalla parte opposta, l’incontro con il suono si rinnova in Avvinghiatissimi, dove il tango di Piazzolla Regreso al amor che accompagna la vista di materassi di gommapiuma allacciati saldamente qui ha una valenza autobiografica. Gli inviti all’ascolto “liberato” si colgono già all’ingresso, in Senza fine (2010), dove il celebre Bella ciao (verrebbe da dire “iconico” se il termine non inducesse a una sorta di equivoco sinestetico) viene ascoltato in 25 versioni differenti, con il chiaro intento di sottolinearne la vocazione universalistica: pochi sono infatti i motivi che hanno avuto pari diffusione, fra l’altro neppure conoscendone con precisione l’origine storico-geografica.
Anche la semplice lettura di un testo è suono, di voce umana. Moi riprende una performance realizzata dall’artista nel 1997 per il coreografo Virgilio Sieni. Di quella performance resta, sorta di relitto fonico, una registrazione riprodotta da 12 piccoli diffusori collocati a cerchio, all’interno del quale l’ascoltatore può cogliere le minime diffrazioni sonore che derivano dalla sua stessa movimentazione all’interno dello spazio circoscritto dai diffusori. È un nostro suggerimento al quale se ne aggiunge un secondo, sempre di natura prossemica: allontanarsi lentamente dal “cerchio magico” verso l’uscita della sala, magari provando a non prestare più attenzione al significato delle parole, ma solo a come “suonano”. Il suggerimento si fa invito esplicito per la sala successiva, il cui pavimento è ricoperto di vetri frantumati. Ricorda l’installazione Passi di Alfredo Pirri, alla quale peraltro è precedente, ma in realtà non vi ha nulla a che fare. Manca il titolo ma non manca il suono, anzi, ancora una volta, è proprio il visitatore che se vuole lo produce camminando su quei vetri, con ciò ratificando quell’idea di condivisione, potremmo dire di com-posizione con il pubblico, cara a Moro. Ed è lei stessa a voler puntualizzare che non si tratta di “arte relazionale”: il movimento/suono del visitatore non è obbligatorio, l’opera gli pre-esiste. Il testo è invece d’autore in Andante con moto, del 2023, che dà titolo alla mostra ed è presentato proprio per l’occasione prima a Vaduz, poi a Milano. Si tratta di un passo tratto da L’ultimo nastro di Krapp di Beckett, con qualche variante. Ancor più radicale la prospettiva di In onda. Qui il rapporto vive sull’ascolto di suoni di pesci, provenienti dalla Riserva marina del WWF di Trieste. Ascolto al buio. Liliana Moro lo ribadisce: “io non compongo musica, mi limito semplicemente a riportare il suono così com’è”. Lo rende dunque al mondo della percezione ricollocandolo in un contesto più ampio, coinvolgendo in modo non mediato il pubblico, si tratti di singolo o collettività. Moro riconosce come la lezione di Luciano Fabro, suo maestro, le ha lasciato in eredità l’idea di un fare arte che non può prescindere dalla possibilità di una convivenza esperienziale.
L’esposizione presenta anche lavori “senza suono”, come La passeggiata e E le stelle stanno a guardare. Inoltre la zona espositiva che dà sulle vetrate del giardino interno è occupata da Spazi, rassegna di modelli di molte delle installazioni pensate e/o realizzate dall’artista, tra cui quella del PAC stesso.
Andante con moto – Andante con Moro… per riassumere in un facile calembour la necessità del lavoro di questa originale artista italiana, e della sua retrospettiva monografica, presentata, cosa rara di questi tempi, presso un’istituzione pubblica.
Liliana Moro. ANDANTE CON MOTO
a cura di Letizia Ragaglia e Diego Sileo
26 giugno – 15 settembre 2024
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea
via Palestro 14, Milano
Info: www.pacmilano.it