BRESCIA | Galleria Minini | 18 gennaio – 15 marzo 2014
di KEVIN McMANUS
La mostra tuttora in corso alla Triennale, dedicata ai quarant’anni di attività di Massimo Minini, ha consentito al grande pubblico milanese di comprendere come la galleria bresciana sia stata e sia tra le realtà lombarde più attente e recettive rispetto alla scena artistica italiana ed estera. A ulteriore conferma, arriva questa mostra di John Isaacs (1968), artista inglese giovane (almeno per gli standard odierni) e meno noto in Italia di quanto il suo curriculum internazionale consentirebbe.
Dopo inizi non lontanissimi dal linguaggio dissacrante degli Young British Artists, Isaacs ha sviluppato in maniera assai coerente un interesse verso la poesia dell’oggetto – quasi sempre creato o ricreato attraverso diverse tecniche scultoree – e il suo potere evocativo. Per la personale da Minini, l’artista allestisce un vero e proprio colpo di scena, una svolta linguistica che lascia presagire nuovi possibili orizzonti di ricerca. Nella sala principale della galleria, scolpito con ammirevole raffinatezza in un blocco di marmo di Carrara, appare ai nostri occhi un grande, morbido panneggio che lascia indovinare, al di sotto, una forma assai familiare, quasi il fantasma di un’immagine ben presente nel nostro repertorio di conoscenze storico-artistiche: la Pietà vaticana di Michelangelo. L’istinto del critico porterebbe immediatamente ad associare questo lavoro a numerosi tòpoi del postmodernismo: la citazione, la presenza in essa (o su di essa) di un elemento fortemente straniante, la commistione di soggetti e stili incongruenti (il panneggio, nella sua virtuosistica materialità, ricorda più la scultura barocca che quella michelangiolesca), la sproporzione ostentata tra tecnica e contenuto, la comunicazione interrotta e spiazzante. Per una volta, questi elementi si mostrano però tutt’altro che gratuiti, e la loro presenza contribuisce invece alla poesia di un lavoro che si segnala proprio per il silenzio, l’apertura concettuale e la dimensione contemplativa, tutte caratteristiche spesso obliterate dall’eccesso di comunicazione legato all’immagine contemporanea.
La Pietà rivive nella doppia natura di soggetto capace di generare empatia nello spettatore, da un lato, e di opera citata, di immagine “alla seconda”, dall’altro; se quest’ultima è richiamata dall’immediata delle forme, la prima è evocata dall’accurata scelta dei dettagli che si mostrano premendo idealmente contro la superficie del panneggio – la sagoma del volto di Cristo, le ginocchia della Madonna che già animavano drammaticamente l’originale, la linea del panno che sembra rimarcare il legame tra le due teste. Il titolo, del resto, The Architecture of Empathy, è significativo, così come le parole con cui l’artista descrive l’opera a Didi Bozzini, incentrate sulla parola «anima»: la Pietà cessa di essere una Pietà particolare, seppure una delle più universalmente note, e torna ad essere un sentimento condiviso, uno degli ingredienti dell’anima. Completano la mostra tre altri lavori di Isaacs, più legati al percorso precedente, in un allestimento che attraverso il vuoto, il silenzio e il ritmo evidenzia l’evocatività dell’oggetto secondo l’artista inglese.
John Isaacs. The Architecture of Empathy
18 gennaio – 15 marzo 2014
Galleria Massimo Minini
Via Apollonio 68, Brescia
Orario: da lunedì a venerdì 10.30-19.30; sabato 15.30-19.30
Ingresso libero
Info: +39 030 383034
info@galleriaminini.it
www.galleriaminini.it