BERGAMO | GAMeC | 18 febbraio – 15 maggio 2016
di CARLOTTA PETRACCI
Iconizzato come il fotografo dell’adolescenza è uno dei protagonisti indiscussi della nuova fotografia americana. A venticinque anni il Whitney Museum gli dedica una mostra assolutamente fuori dal comune. Occhi neri, nasi sanguinanti, ragazzi tatuati, corpi nudi, capelli bagnati. È questo l’immaginario di un ragazzo nato e cresciuto nel New Jersey alla scoperta di New York, tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila. Un curioso errare nel downtown tra utopia e giovinezza e una registrazione appassionata di una generazione edonista e spensierata.
Pochi anni più tardi questo intenso desiderio di raccontare il proprio mondo si traduce nell’incontenibile bisogno di esplorare l’America e il suo paesaggio. Cominciano così innumerevoli viaggi, attraverso i confini e le stagioni, alla scoperta del naturale perduto e di uno sguardo squisitamente romantico. È questo il percorso che propone The Four Seasons, la prima personale italiana di Ryan McGinley, alla GAMeC di Bergamo. Una lettura che segue, come in un componimento melodico, il fluire del tempo attraversando in cinque sale l’emozione di una fotografia che da antropologica diventa sempre più pittorica.
“Sono cresciuto con Easy Rider, American Pictures e Terrence Malick” e “ho sempre amato i pittori romantici come Caspar David Friedrich”. Bastano poche battute per inquadrare il percorso che Ryan McGinley ha intrapreso alla ricerca del suo paradiso perduto, attraverso i paesaggi e l’immaginario americano e una sensibilità dichiaratamente europea. Da un lato riecheggia lo spirito della Beat Generation, dall’altro ci troviamo di fronte a delle fotografie che parlano un linguaggio fatto di palette, composizione e Natura. Sottotraccia è sempre l’innocenza a guidarci, quella che in un primo McGinley coglievamo negli eccessi della gioventù e che ora diventa più spirituale. Da Russeau a Thoureau fino a Vivaldi, in The Four Seasons, il “mito del buon selvaggio” rinasce nella musicalità visiva di un racconto, in cui si alternano cave glaciali, fuochi d’artificio nella notte, primavere in fiore e tinte giallo-rosse. Stiamo parlando di dieci anni di viaggi in camper in compagnia di modelli, coreografi e assistenti alla ricerca della wilderness e del silenzio: di quella traccia primordiale disseminata nella neve come un corpo nudo.
“Ricorda, è romantico come l’inferno, ciò che facciamo”. La storia della New Photography è disseminata di bella fotografia e di paesaggi estivi dalla forte intensità emotiva. Un’estetica molto presente in McGinley, alla quale però lui alterna un’energia, una volumetria e una sensibilità nel cogliere il momento decisivo di una schiena insanguinata, che lo allontanano da questa visione confortevole della fotografia e della Natura. Lo stesso si può dire per il colore, saturo e compatto, e per il dinamismo che percorre le sue opere, che suggerisce sempre un percorso di liberazione.
“Unisciti al circo e scappa lontano da casa”. Una fuga, che si rivela attraverso quarantuno fotografie di medio e grande formato, disposte in una progressione che va dalla monumentalità delle stalattiti invernali, alla delicatezza dei toni primaverili, all’esplosione violenta del gioco e dei colori estivi fino alla nostalgia e alla pace dell’autunno, che trae ispirazione dal lavoro di Frederic Edwin Church e del gruppo della Hudson River School. Tra mimetismo e scontro dialettico tra Uomo e Natura ad emergere è un bisogno di riappropriazione del mito dell’Eden e una sorta di viaggio fantastico e avventuroso che si sovrappone all’esperienza reale: tumultuosa come un salto nel vuoto, lieve come un ballo in un bosco.
Ryan McGinley, The Four Seasons
a cura di Stefano Raimondi
18 febbraio – 15 maggio 2016
GAMeC, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Via San Tomaso 53, Bergamo
Info: www.gamec.it