CULTURA RELOADED: PAROLA AI DIRETTORI*
Intervista a GIANFRANCO MARANIELLO di Gabriele Salvaterra
Che novità ci sono al Mart? Dopo l’insediamento di Gianfranco Maraniello lo scorso giugno, il museo di Rovereto ha visto diversi cambiamenti, sono state avviate nuove iniziative e si sta lavorando alla programmazione futura. Il Direttore ci ha parlato di quanto è stato fatto e degli indirizzi che guideranno l’attività del museo in un colloquio con Gabriele Salvaterra, nel doppio ruolo di corrispondente di Espoarte e collaboratore del Mart; per una visione che all’ottica esterna unisca anche lo sguardo dell’insider…
È passato il primo semestre dal suo insediamento al Mart di Rovereto. Anche se forse non è tempo di bilanci, può raccontarci i primi frutti della nuova gestione? Cos’è cambiato in questi sei mesi e quali saranno le priorità che si è posto per l’immediato futuro?
Non mi dilungherò sugli aspetti amministrativi, ma è comprensibile che questi abbiano preso molto tempo perché fondamentali nell’impostazione futura del museo. Per ora si è assistito ad una riorganizzazione degli spazi funzionali per servizi e mostre. In pochi mesi si sono allestite le collezioni e si è cominciato a selezionare quanto occorra per i nostri depositi; si è avviata la programmazione espositiva ed editoriale; si è chiarito lo stato patrimoniale del museo e si sono definite le rispettive competenze per tutti i soggetti che si affacciano sulla piazza del Mart. C’è molto altro, ma hai detto bene: non è tempo per bilanci. Siamo solo all’inizio di un percorso e la priorità è riassumibile nella tensione verso la coerenza di azioni che si riveleranno organiche a un progetto superiore alla somma delle iniziative.
Arrivato dall’esperienza bolognese, dove è stato Direttore del MAMbo per dieci anni, quali sono le maggiori differenze che ha riscontrato rispetto al nuovo ambiente di Rovereto? In quale maniera cambiano le strategie in questo nuovo contesto?
Sono situazioni non paragonabili: Bologna è impegnata nella propria vocazione metropolitana che, per quanto mi riguarda, ha trovato il suo culmine nel progetto Art City. Il Mart si colloca in una rete più ampia, deve essere epicentro, riferimento ma non necessariamente diretto protagonista di un intreccio di pratiche culturali, identitarie, educative, economiche che coinvolgano un territorio maggiormente esteso e con profondi legami al paesaggio, al tempo di fruizione, a un’esperienza che non deve omologarsi a standard non propri.
Nel corso di questi mesi a livello di architettura e allestimento si è visto un recupero dell’ortogonalità e di un’idea di white cube museale. Mario Botta, che ha progettato il Mart, è stato una delle prime persone che ha voluto incontrare dal suo insediamento. Quali sono stati i frutti di questo incontro e come applicherà la sua idea museografica al Mart?
Ho incontrato subito anche Gabriella Belli per comprendere il suo punto di vista sulle ragioni storiche del Mart e il costituirsi delle sue collezioni; mi sono recato da Cerri per imparare qualcosa in più sul modo in cui nel suo studio si è interpretato il progetto museale attraverso l’ideazione della sua immagine coordinata. Questo non per essere ortodossi, ma per non vanificare il lavoro così ben meditato da altri in una prospettiva velleitaria. I musei devono arricchirsi di contributi e garantire una continuità dei propri compiti, il che ovviamente prevede anche innovazione o riscoperta. E così ho fatto con Mario Botta, ma anche con l’ingegner Andreolli, per capire come meglio sfruttare tutte le potenzialità della struttura per costruire un’osmosi tra esposizioni e architettura, in un contesto che non è affatto neutralizzante come vorrebbe la logica del white cube e che non mi pare sia propria del Mart.
Spesso nelle sue ultime dichiarazioni ha criticato un approccio artistico contemporaneo eccessivamente votato al tema, al significato, alla verbalizzazione dell’opera d’arte, confinata in un ambito semantico molto ristretto e di tipo letterale. Qual è l’antidoto a questo approccio? Come sarà possibile raccontare con mostre, scritti e parole l’arte senza banalizzarla nel “tema”, nel significato concluso?
Mi è capitato di essere critico nei confronti di approcci curatoriali che pensano all’arte in maniera didascalica, come figurazione di un’idea, riducendola a corrispondenza iconografica. Se accettassimo l’arte in questi termini sarebbe poca cosa, tutt’al più illustrazione ed è per questo che non mi piace nemmeno l’idea di scientificità in relazione alle mostre, come se ci fosse qualcosa da dimostrare in una pratica che ha invece senso solo se eccede le proprie definizioni. Il museo deve sapere scontare questo paradosso: non è un libro, ma un luogo che anche quando tenta di approssimarsi con strumenti razionali, con una propria logica e con metodo ha come esito l’incontro con l’opera, la sua irriducibilità, il non previsto che apre alla polisemia. Le mostre che trattano in maniera enciclopedica temi scelti per curiosità, arbitrio o commissione, sono spesso figlie dei curatori all’epoca di internet, selezionatori tra innumerevoli visualizzazioni disponibili sullo schermo di un computer e pronti a privilegiare il carattere iconografico o seducente in un’immagine che è stereotipata dal digitale. Ne riconosco tutta l’efficacia perché siamo educati televisivamente, ma l’arte è tanto più interessante quanto meno banalizzata a simili funzioni ausiliarie al conforto di un’idea.
Quello di eccedenza dell’esperienza artistica sembra un concetto a cui tiene molto. Ce ne vuole parlare?
Più che parlarne è quel che vorrei configurare nei percorsi del Mart, trattando la storia dell’arte in Italia come occasione per un principio comune ed esemplare per tutta l’arte moderna, ossia la definizione incessante delle proprie possibilità e l’irriducibilità di tale proposito nella constatazione dell’oltre e dell’altrove. È già evidente che la cornice sia un’invenzione tutto sommato recente ed arbitraria nella storia della pittura, ma si tratta di un perimetro che viene poi decostruito nel Novecento, proprio come il piedistallo per la scultura. Le pratiche museali devono cercare nuove corrispondenze, superare i modelli da pinacoteca per incontrare quelle esperienze processuali, comportamentali, ambientali di opere che non sono più contenute in uno spazio, ma ambiscono a segnare lo spazio e il tempo dell’esperienza.
*Intervista tratta da Espoarte #91
Mart – Museo d’Arte Contemporanea di Trento e Rovereto
Corso Bettini 43, Rovereto (TN)
Mostre in corso:
Le Collezioni. L’Invenzione del moderno. L’Irruzione del contemporaneo
Dal 5 dicembre 2015
Giuseppe Penone. Scultura
19 marzo – 26 giugno 2016
Info: +39 0464 438887
Numero verde 800 397760
info@mart.trento.it
www.mart.tn.it