BERGAMO | Palazzo della Ragione | 13 novembre 2020 – 5 maggio 2021
di ALICE VANGELISTI
L’atto del donare: un’azione che oggi più che mai assume un carattere sociale di non poca importanza. Questo è il filo conduttore che accompagna l’intera esposizione de Il Dono. Sulla vita e la morte, una collettiva a cura di Stefano Raimondi e organizzata da The Blank in collaborazione con il Comune di Bergamo. Allestita nella Sala delle Capriate del Palazzo della Ragione – luogo storico e simbolo della città –, la mostra interpreta, così, la pratica del dono dal punto di vista artistico e contemporaneo, presentando le opere di sette artisti internazionali che, attraverso lavori storici e nuove produzioni, indagano questo tema nelle sue svariate sfumature estetiche e di significato, nel labile confine tra cui oscilla l’intera esistenza umana: la vita e la morte.
Così, confrontandosi con il presente e con una società contemporanea sempre più individualista, la mostra innesca una serie di reazioni attive e profonde nel visitatore, ponendo l’accento sull’instaurare una relazione con l’altro da sé, in una dimensione di condivisione e aiuto reciproco. Questo aspetto è ulteriormente sottolineato anche grazie al dialogo tra il lavoro degli artisti con altrettante associazioni di volontariato della città: così, oltre a poter interagire direttamente con alcune delle opere in mostra – che sono state pensate come dono al visitatore e alla comunità –, viene chiesta anche la disponibilità a donarsi e donare il proprio tempo agli altri, attraverso attività socialmente utili.
L’arte diventa così il mezzo ideale per ri-attivare queste relazioni–azioni sociali spesso dimenticate e lasciate da parte per concentrarsi solamente sul proprio Io. In questo modo, nasce un profondo dialogo tra l’opera d’arte, chi l’ha realizzata e chi interagisce con essa, ramificandosi nello spazio per raccontare al meglio una riflessione delicata e sensibile che caratterizza la realtà quotidiana, mostrando anche come possa manifestarsi in differenti declinazioni in grado ognuna, a suo modo, di trasmettere una tematica tanto evanescente quanto concreta e reale nell’incontro-scontro tra le due uniche certezze dell’esistenza dell’uomo.
In questo senso, il lavoro di Félix González-Torres (Guáimaro, 1953 – Miami, 1996) si mostra come oscillazione ideale tra queste due entità: una fila di 24 lampadine accese ma destinate a consumarsi e piano piano a spegnersi, fragili come la vita, appesa al filo di un tempo fugace e maligno. Così, Untitled. Last lights (1993) si presenta come il cuore pulsante dell’intera esposizione, dove spicca per la sua semplicità ma allo stesso tempo per la sua grande potenza visiva e di significato, evocando anche tutta un’altra serie di tematiche ad essa connesse. L’amore, la malattia, la natura fugace della vita, il senso di perdita e la rigenerazione sono così affrontati con la delicatezza poetica tipica dell’artista, il quale trasforma oggetti comuni e quotidiani in effimere effigi senza tempo.
Il labile confine tra vita e morte è indagato anche da Andrea Mastrovito (Bergamo, 1978), il quale presenta il dittico inedito Il lungo addio (2020). L’opera si presenta come una sorta di vetrata contemporanea, lasciando filtrare la luce attraverso la superficie di base, traslucida e colorata, che contribuisce a creare un’atmosfera onirica dal sapore spirituale, enfatizzata anche dall’uso dei righelli, attraverso i quali l’artista cerca di misurare la distanza che intercorre tra l’uomo, il divino e la natura stessa. A rafforzare questa suggestione, sul pannello di destra è rappresentato il Cristo, la sintesi perfetta tra il divino, l’umano e la vita, mentre su quello di sinistra si ritrova la morte, delineata attraverso una figura di uomo il cui volto però è irrimediabilmente oscurato da un cerchio nero che non permette così il passaggio della luce.
Restando nell’ambito della spiritualità e più nello specifico affiancandosi a quello del rito, Namsal Siedlecki (Greenfiend, 1986) propone un’opera che riproduce una serie di ex-voto del V secolo a.C. rinvenuti nei pressi di Clermont-Ferrand in Francia. Questi, scolpiti in legno, raffiguravano volti, mani e diverse parti del corpo e venivano poi gettati tra le acque come ringraziamento alla divinità. Ispirandosi, quindi, a questa pratica rituale antica, l’artista americano ne riproduce le forme, ricoprendole però con l’argento di migliaia di monete provenienti dalla Fontana di Trevi. Si intreccia così un legame profondo tra l’antico cerimoniale delle offerte votive gallo-romane e la tradizione contemporanea – anch’essa in qualche modo rituale – di gettare le monete nella fontana romana, entrambi accumunati dalla presenza di una sorgente d’acqua. In questo modo, l’artista sottolinea come l’uomo manifesti da sempre un bisogno intrinseco di trovare una connessione con la dimensione del soprannaturale attraverso la pratica del dono.
Matilde Cassani (1980), invece, attraverso l’opera La bocca della verità (2020), si focalizza sul dialogo che tale tema può instaurare con quello del caso, della fortuna e della verità. In questo senso, il lavoro si ispira alla sua celebre omonima romana, riflettendo però sulla concezione contemporanea di verità intesa come unico vero dono in una società sempre più ambigua e celata. Dalla bocca della grande maschera metallica fuoriescono, infatti, una serie di piccoli doni, liberati nell’aria da un mortaio che si attiva in momenti sempre diversi della giornata. Nella sala, volteggiano così dei fazzoletti di seta ricamati con differenti effigi e simboli, ponendosi, per coloro che li raccoglieranno, come segno di buon auspicio in bilico tra superstizione, fortuna e verità.
Rimanendo nell’ambito del dono da parte dell’artista, Didascalie (2020) di Alberto Garutti (Galbiate, 1948) è un’opera costituita da una serie di fogli di carta colorata che il visitatore può prendere liberamente, portandosi così a casa una parte dell’installazione, che attraverso questa azione muta nel tempo, creando di volta in volta una sorta di paesaggio con orizzonti cromatici e visivi sempre diversi. Si tratta in realtà però di un lavoro che idealmente richiama alla sua ampia ricerca: infatti, su questi fogli sono stampate delle dediche accompagnate alle didascalie di altre opere realizzate da Garutti nell’ambito dei suoi interventi pubblici, i quali nascono spesso dall’incontro con una comunità, dalla quale raccoglie informazioni e alla quale alla fine ne restituisce la sua interpretazione artistica, in uno scambio reciproco di doni.
Sempre restando nello spirito di condivisione e collaborazione, il lavoro di Andrea Romano (Milano, 1984) si configura al contempo come dono verso il pubblico e come supporto a un ulteriore progetto artistico. Infatti, la sua opera nasce da uno scambio con Massimo Grimaldi (Taranto, 1974) e la sua app .give, una piattaforma di scambio solidale a favore della comunità. Romano realizza così i quattro poster presenti in mostra – disponibili per essere portati via dal pubblico – che illustrano attraverso una serie di collage con diverse carte varesi alcune parole evocative e significative tratte dal progetto di Grimaldi. La pratica artistica si presenta in questo caso come il dialogo tra la sfera personale e soggettiva e quella collettiva fatta di valori condivisi che incontrandosi sono in grado di aprire ulteriori livelli di azione e significato.
Ricollegandosi all’individualità in rapporto alla collettività, Jonathan Monk (Leicester, 1969) presenta infine Shelf life (2020), un’opera composta da una serie di 36 tele grezze su cui l’artista interviene con delle pennellate bianche e lineari in gesso, andando a riprodurre i dorsi di alcuni libri disposti sugli scaffali della sua libreria. Monk sintetizza così la realtà, rappresentandola attraverso strutture geometriche semplici ed essenziali che la riproducono in piccoli fermi immagine, tutti simili ma allo stesso tempo diversi tra loro. L’opera, partendo dalla dimensione individuale e personale, assume però un carattere universale, mostrandosi come una vera e propria libreria della vita, in cui si accumulano i diversi libri che ci accompagnano nel corso di tutta la nostra vita, configurandosi in questo modo anche come una sorta di dono intellettuale, privo di data di scadenza. A enfatizzare maggiormente tutto ciò, l’opera è stata pensata inoltre come sostegno alle attività dell’associazione di The Blank, concretizzando così le tematiche esplorate in mostra e presentandosi infine come un vero e proprio dono.
Il Dono. Sulla vita e la morte
a cura di Stefano Raimondi
organizzata da The Blank
in collaborazione con Comune di Bergamo
Artisti: Matilde Cassani, Alberto Garutti, Félix González-Torres, Andrea Mastrovito, Jonathan Monk, Andrea Romano, Namsal Siedlecki
13 novembre 2020 – 5 maggio 2021
Sala delle Capriate
Palazzo della Ragione
Piazza Vecchia, Bergamo
Orari: giovedì e venerdì 10.00-18.00
Gli orari sempre aggiornati sono disponibili al sito www.theblank.it
Ingresso 5 Euro, gratuito (under 18)
Info: www.theblank.it