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MILANO | GALLERIA BONELLI | Fino al 24 gennaio 2025

di NICOLETTA BIGLIETTI

Osservare un simbolo non è un’azione passiva, perché nel momento stesso del “guardare” ci si apre ad un  con l’oggetto da esaminare. Un dialogo che, se vissuto in modo “libero” e attivo, è in grado di trasmettere tanto il valore dell’“apparenza”, quanto quello dell’essenza.
Ed è proprio in quella sottile linea di demarcazione tra l’evocazione e la non forzata imposizione che le opere e i simboli di Michela Martello si radicano. Dei simboli che, generati dallo spirito, posso così tornare allo spirito.
In occasione della sua seconda personale presso la Galleria Bonelli di Milano dal titolo Just Love, l’artista ha dialogato con noi sui temi centrali della sua poetica, approfondendo le motivazioni alla base delle sue scelte compositive e formali.

Michela Martello, Every god’s child dance, 2024, acrilico, inchiostro, ricamo su carta artigianale nepalese, 143.5×92.7 cm

La cura per il dettaglio e la capacità empatica di un linguaggio “semplice” – ma tutt’altro che “semplificato” – caratterizzano le tue opere. Opere in cui si percepisce l’unione di due percorsi, quello dell’illustrazione e quello della ricerca pittorica, che sono perfettamente equilibrati. Come è avvenuto il passaggio/unione tra questi due ambiti artistici?
Dopo aver studiato all’istituto europeo di design ho trovato lavoro in una casa editrice inglese con la quale ho collaborato per circa 10 anni. Ero entusiasta ed estremamente grata di questa opportunità, nata in seguito una delle tante visite alla fiera del Libro per Ragazzi di Bologna; qui, una me abbastanza timida e non troppo fiduciosa delle sue capacità, mostrò il suo portfolio ad un editore che lo trovo molto interessante, proponendole quindi una collaborazione. Era un ambito che sentivo molto “mio”, soprattutto per la necessaria cura del particolare e del dettaglio che da sempre aveva fatto parte di me. Tuttavia il desiderio di “allargare le misure” delle mie creazioni sommato al mio amore per la pittura – che, ovviamente, non si era sopito – mi ha fatto capire che, dopo dieci anni, era giunto il momento di cambiare strada. Di cercare una dimensione artistica e poetica mia, senza ovviamente dimenticare tutto ciò che quegli anni mi avevano insegnato.
Perché rappresentare in modo “semplice” e intuitivo messaggi “complessi” per un giovanissimo pubblico implica una capacità empatica – intesa proprio come sensibilità che fa coinvolgere emotivamente il lettore – che una volta acquistata ti pervade per sempre.

Michela Martello. Just Love, installation view, Galleria Giovanni Bonelli, Milano

Originaria di Grosseto hai deciso di stabilirti a New York. Come è avvenuta questa scelta?
Nel corso della mia vita ebbi più volte occasione di visitare la città e, soggiorno dopo soggiorno, capii che quello sarebbe stato il luogo in cui avrei voluto vivere. Un desiderio, quello di stabilirmi a New York, che si unì anche all’iniziale maggiore accettazione delle mie opere in quel contesto rispetto all’Italia, ove, ai tempi, imperavano iperrealismo, minimalismo, concettualismo ecc… Tutti stili nei quali la mia poetica non si sarebbe mai completamente rispecchiata.
Se dal punto di vista percettivo-esperienziale, infatti, le mie opere comunicano senza comunicare – grazie alle emozioni suscitate dai simboli che su di esse rappresento – dal punto di vista tecnico il mio linguaggio è sempre stato necessariamente figurativo. Forse non immediatamente comprensibile perché non “didascalico”, ma sicuramente non avvicinabile all’astrazione. Ed è stato proprio in quel contesto newyorkese – così culturalmente fertile e “aperto” – che ho cominciato ad esprimere attraverso i simboli il mio mondo interiore, le mie emozioni, le mie paure e i miei sogni in una comunicazione figurativa e simbolica.
Perché dopotutto che cos’è il simbolo se non un faro per illuminare quella parte un po’ segreta e intima del nostro Io? Che cos’è se non un segno che rivive fuori da noi come parte di noi?
Ciò che infatti mi ha sempre colpito dei simboli è la loro positiva e singolare adattabilità; quella capacità, cioè, di far innescare in ognuno differenti rimandi al proprio vissuto, ma che sono, in ugual modo, profondi e vivi dentro l’anima.

Michela Martello. Just Love, installation view, Galleria Giovanni Bonelli, Milano

Nella tua personale attualmente allestita alla galleria Bonelli di Milano e dal titolo Just Love presenti un’opera che da il titolo alla mostra – Just Love,2023-2024 – che “immerge” fruitore in un’esperienza intima e personale. Com’è nata e come si “compone” quest’opera?
Ispirata dalla letteratura di Murakami in cui la narrativa non è necessariamente conseguenziale, ho voluto fare un lavoro interpretativo in cui ciò che si legge sulla tela non è una descrizione didascalica di un testo, bensì un’evocazione. Un’evocazione che, per chi conosce Murakami è più immediatamente riconducibile alla fonte, ma che in caso contrario apre un ventaglio di interpretazioni tanto personali quanto universali.
Ho dunque sviluppato delle raffigurazioni simboliche su un supporto particolare chiamato Interfacing, un materiale che consente di osservare l’opera da entrambi lati, potendola percepire nella sua interezza comunicativa.
Una composizione modulare che a seconda della sede espositiva può sì cambiare l’ordine dei singoli pannelli che la compongono, ma che è in grado di mantenere inalterato il racconto.
Perché è proprio attraverso il dialogo intimo e attivo tra opera e fruitore che quest’ultimo può comprendere i significati che i simboli rappresentati nell’opera evocano in lui.
Un dialogo con cui anche io stessa mi interfaccio durante tutto il percorso creativo. Ed è relazionandomi con l’opera, in un comunicare comunicando, che giungono, talvolta, le risposte più inaspettate.

Michela Martello, Kafka Kham, 2024, pigmenti e china su interfacing e seta, 203×213 cm

In merito a questo dialogo che si crea tra l’artista e l’opera, nel continuo percorso di ricerca e sperimentazione c’è un episodio, legato ad una delle opere in mostra, che ti è sembrato particolarmente significativo o addirittura “rivelatorio”?
Un aspetto che sicuramente mi ha colpito molto si è verificato durante la creazione di Kafka Kham, opera ispirata al testo Kafka sulla spiaggia di Murakami e realizzata durante una residenza in Tibet nel Maggio del 2024.
Io mi trovavo in un museo a 4000 metri di altitudine e sapevo che per realizzare questo lavoro avrei dovuto ragionare sulla figura del corvo che nel libro è l’alter ego del protagonista, quella voce interiore, cioè, che ognuno di noi può sentire dentro di sé. Una voce che, a volte, per riuscire a comunicare “all’esterno”, necessita di mettersi in contatto con il proprio Io interno, intessendo un dialogo profondo e vivo.
In quei giorni avevo scattato diverse foto a dei volatili che potevo osservare dal mio studio, e in particolare ad un corvo che ogni giorno veniva a farmi visita.
Successivamente ho iniziato a disegnare in modo rapido quei volatili usando un pennello intriso in un pigmento di cui non conoscevo ancora bene le caratteristiche, trovato in un mercatino in Nepal, e che, pertanto, stavo “imparando a sperimentare”.
Un processo, quello di sperimentazione, che si è concretizzato in modo accidentale, anzi meravigliosamente accidentale. Stavo infatti tracciando alcune linee quando una goccia d’acqua è caduta sulla tela “impastando” il pigmento. In quel preciso istante ho visto crearsi sul foglio esattamente ciò che avevo in mente ed è stata un’emozione fortissima. A mano a mano che cercavo di controllare che l’acqua non si espandesse, intensificavo il disegno nei punti che egli stesso sembrava indicarmi.
Un dialogo con l’opera forte e intenso, durante il quale certamente si prova entusiasmo per la nuova scoperta ma, di per contro, anche timore per ciò che non si conosce ancora ed è in completo divenire.
E come molto spesso accade nell’arte, anche in questo caso, è stato un incidente ad aprire la porta ad una nuova scoperta. Una scoperta che è riuscita grazie ad un elemento che esulava dal mio controllo e dalla mia razionalità, l’acqua.
Ed è in casi come questo che secondo me la pittura diventa “magica”, perché riesce a indurti in un processo di arresa rispetto al tuo controllo di artista, per farti trasportare dalla sua potenza, portando il tuo lavoro “ad un gradino superiore”.

Michela Martello. Just Love, installation view, Galleria Giovanni Bonelli, Milano

L’idea di andare oltre i confini della propria creazione artistica sulla base di una comunicazione viva con essa è un aspetto presente anche in Every God’s Child Dance. In questo caso, da cosa è desunta l’idea di proseguire l’opera oltre i suoi stessi confini?
Anche quest’opera l’ho realizzata in Tibet, utilizzando però una carta fatta a mano in Nepal, sulla quale, sin da subito, ho deciso – ricollegandomi alla ciclicità che identifica l’anno in corso come Anno del Dragone – di realizzare due dragoni che fungessero da cornice di un metaforico portale di energia. Un portale con il quale si dovesse “riportare al fuoco della terra” un anno che era stato definito essere molto legato all’energia del cielo e dell’aria.
Ecco infatti perché, al centro dell’opera, ho deciso di porre dei simboli che avevo visto nel museo/monastero in cui io ho vissuto durante la mia residenza in Tibet, affinché comunicassero l’orizzonte terreno dell’esistenza Umana – ad esempio al centro c’è un simbolo bianco che nel buddismo tibetano rappresenta la natura della mente che tutto specchia e che tutto comunica nella sua profonda e vera interezza – che giungeva ad unirsi con l’aspetto più spirituale, rappresentato dalle goccioline di sangue che colano da un orecchio morsicato da un cane, e che finiscono in alcuni contenitori, posti al limite inferiore del quadro, di solito utilizzati durante i riti religiosi orientali per raccogliere le offerte da destinare ad entità invisibili.
Durante la sua prima esposizione a New York, quest’opera era installata su una parete nera, ma qui a Milano, in occasione della mia seconda personale presso la Galleria Bonelli, c’era a disposizione una meravigliosa parte bianca.
Una parete che una volta accolto il mio quadro sembrava richiamasse il completamento del dragone, anche per dare una conclusione definitiva ad un anno (quello del dragone, appunto) che, nel calendario lunare, sta volgendo al termine.

Michela Martello. Just Love

12 dicembre 2024 – 24 gennaio 2025

Galleria Giovanni Bonelli
via L. P. Lambertenghi 6, Milano

Orari: da lunedì a venerdì 11.00-19.00

Info: +39 02 87246945
info@galleriagiovannibonelli.it
www.galleriagiovannibonelli.com

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