GENOVA | ABC-ARTE | Fino al 5 gennaio 2018
Intervista a ISABELLA NAZZARRI di Luisa Castellini
C’era una volta la metamorfosi. Il piacere e il dramma del colore, delle sue possibili forme, l’interrogativo dell’immagine. A spezzare questo equilibrio, perennemente messo in discussione, ecco il gesto, l’esperienza, il viaggio, anche siderale, al quale ci invita Isabella Nazzarri nella sua ultima mostra a Genova da ABC-ARTE. Dove il dipinto si lascia volentieri contemplare ergendosi a icona e il colore si sorprende insolitamente sagace in un’ampolla per poi abbandonare ogni ansia terrena e disegnare, in guisa di asteroide d’oro, la poetica di una costellazione.
La tua nuova personale da ABC-ARTE a Genova prende le mosse dal concetto di Clinamen, che sottende la possibilità di autodeterminazione per l’uomo. In che modo questo principio si riverbera nelle tue opere?
Il mio percorso artistico è sempre stato legato all’autodeterminazione. C’è un certo nomadismo che si riflette nel mio modo di lavorare, lontano dall’idea di avere uno stile riconoscibile. Ciò che più mi preme non è tanto la coerenza stilistica, ma la metodologia del processo, che nel mio caso è concentrata sulla libertà del gesto, inteso sia come gesto pittorico sia come serie di movimenti atti a creare un lavoro.
Che valore assumono, nella tua pratica operativa, i limiti che tu stessa ti imponi – restando in tema di autodeterminazione – e la serialità come orizzonte sul quale muoverti?
Il limite principale entro cui cerco di stare è quello di uscire costantemente dalla mia confort zone di lavoro. Man mano che un ciclo di lavori va avanti, le opere diventano sempre più consapevoli e, a un certo punto, appaiono come problemi risolti, esperimenti riusciti. A quel punto mi rendo conto che sono arrivata al limite, conosco già la soluzione dell’enigma e andare avanti significherebbe solo mortificare questo perenne esercizio di libertà. Per questo motivo lavoro a diverse serie utilizzando materiali diversi.
Questa mostra segna un cambiamento importante della tua ricerca con l’uscita della pittura non “solo” dalla tela, tra sculture e installazioni, ma ancor prima da quel suo germinare e rigenerarsi continuo che abbiamo finora conosciuto e amato a favore di una maggiore iconicità, che invita alla contemplazione. In che modo ha preso corpo questa evoluzione del tuo linguaggio?
Sono partita da una pittura legata a forme organiche in continua metamorfosi. Ero molto concentrata sul potenziale evocativo di un’immagine, che tuttora permane nel mio lavoro anche se in modo meno immediato. Ho sentito ad un certo punto l’esigenza di affermare che ciò che dava vita alle forme della mia pittura era il gesto. La forma non era un punto di arrivo ma il risultato di un atto e quindi di un’esperienza.
Dall’acquerello che pare continuare a fluire sulla tela alle Monadi, le ampolle trasparenti colme di resine colorate poste sopra uno specchio: secondo quali rotte il colore delle tue opere si è fatto carne e ha deciso di lasciarsi contemplare in questa sua nuova forma?
Le Monadi sono state il lavoro di passaggio che mi ha portato a concretizzare la pittura. Contemporaneamente all’esigenza di affermare la gestualità c’era una volontà di dare corpo al lavoro precedente, molto leggero e evanescente. Come ho detto prima, cerco sempre di andare oltre a ciò che conosco già e questo desiderio di maggiore matericità ha contribuito a ridare al lavoro la freschezza dell’inaspettato.
Ho realizzato le ampolle in un lasso di tempo abbastanza lungo, stratificando man mano le resine e aggiungendo via via elementi nuovi. È stato una sorta di brainstorming nel quale ho utilizzato pressoché tutti i materiali che impiego nel mio lavoro. Per questo anche il titolo mi pareva appropriato: sono delle unità indivisibili e indipendenti, e ognuna di loro riflette l’universo del mio studio.
Leggerezza, movimento, possibilità di imprevisto tornano nelle Epifanie, rocce dorate che si rincorrono in splendide costellazioni. Come si colloca, nella tua ricerca artistica eminentemente pittorica, la pratica installativa?
L’installazione delle rocce è nata conseguentemente alle ampolle che ne contenevano alcuni frammenti. Mi è sembrato naturale, avendo dato corpo alla pittura in questa sorta di ampolla-incubatrice, dare vita a un’opera più ambientale. Anche questo lavoro è nato in modo inaspettato attraverso la gestualità e si è evoluto stratificandosi come le pitture e le ampolle.
Sospendere le Epifanie ha dato la leggerezza che cercavo nel lavoro e si è contrapposto alla pesantezza evocata dalle rocce. È nata così questa straniante e metafisica costellazione che ci guarda dall’alto e sembra venire da mondi lontani. La pratica installativa è un modo emozionante e completo di lavorare poiché ti permette di realizzare un’opera da vivere all’interno di un ambiente a contatto diretto con chi osserva.
Isabella Nazzarri. Clinamen
a cura di Daniele Capra
con intervento critico di Leonardo Caffo
26 ottobre 2017 – 5 gennaio 2018
ABC-ARTE
Via XX Settembre 11A, Genova
Info: abc-arte.com