Ricordiamo Sergio Longo, imprenditore illuminato e appassionato d’arte, che si è spento ieri, domenica 28 febbraio 2021. Lascia non solo la sua famiglia, a cui dedichiamo un pensiero d’affetto e stima, ma anche l’importante realtà museale del CAMUSAC (Cassino Museo Arte Contemporanea) che abbiamo seguito attraverso le pagine della nostra rivista. Un ricordo che passa attraverso le sue stesse parole raccolte in un’intervista che Tommaso Evangelista ci aveva consegnato per il numero #106 di Espoarte. Grazie.
Intervista a Sergio Longo di Tommaso Evangelista*
Il CAMUSAC (Cassino Museo Arte Contemporanea) è un museo delle arti visive contemporanee fondato nel 2013, grazie alla passione di Sergio Longo e Maria Liguori, per contribuire allo sviluppo culturale del territorio cassinate. La famiglia Longo, già dagli inizi degli anni Novanta, aveva optato per i linguaggi più avanzati del contemporaneo come metro di espansione di un nucleo d’arte privato, coinvolgendo il critico d’arte Bruno Corà nella configurazione della raccolta che da subito, per complessità e qualità, si è posta come un unicum nel panorama collezionistico del Mezzogiorno, anche e soprattutto per il rapporto che si è sempre venuto a creare tra artisti e collezionista.
Molti degli artisti presenti hanno avuto modo di conoscere Longo presso l’IRON, l’azienda siderurgica da lui diretta, sono stati seguiti e aiutati nelle fasi di realizzazione delle opere e di lavorazione dei materiali – l’utilizzo dell’acciaio COR-TEN è una delle cifre stilistiche che accomuna molti lavori – e così, in molti casi, è nato un sincero rapporto di amicizia. Le prime dieci opere allestite in giardino degli artisti Giovanni Anselmo, Marco Bagnoli, Antonio Gatto, Jannis Kounellis, Sol LeWitt – il grande Cubo in assi di legno di larice è unico nel catalogo dell’artista –, Eliseo Mattiacci, Vittorio Messina – sua la Grande Stele prima opera in assoluto posizionata –, Michelangelo Pistoletto, Renato Ranaldi, Eduard Winklhofer, hanno avuto lo scopo di richiamare il concetto unitario di «ciò che dopo la rovina riprende forma» secondo una fortunata formula coniata da Corà.
Dopo la creazione della Fondazione Longo, il progetto di un museo permanente è divenuto realtà nel 2013 con la costituzione del CAMUSAC. Il museo inaugura ufficialmente il 12 ottobre 2013 con una performance musicale di Daniele Lombardi, l’esposizione della prima parte della Collezione Permanente, con il nucleo di disegni dell’astrattista Fernando Melani, e la mostra Infinito riflesso. Enrico Castellani e Shigeru Saito. Per tornare ad oggi, non si può non sottolineare inoltre il rapporto con la scultrice americana Beverly Pepper, le cui grandi opere – le celeberrime Todi Columns – presentate negli ultimi eventi a Todi e in Biennale, sono state realizzate dalla ditta IRON di Assisi. Abbiamo fatto alcune domande al collezionista, nonché presidente della Fondazione, Sergio Longo.
Cosa significa per lei questo museo, con quali intenti è nato e quali saranno i suoi sviluppi futuri?
Il museo è il coronamento del lavoro familiare di collezionisti che dura ormai da quarant’anni. È quindi una conseguenza di questa passione. Estendendosi la collezione, c’era la necessità di poter allocare le opere in uno spazio più confacente ed è nata l’idea di riconfigurare vecchi capannoni industriali affidandoci all’architetto Giacomo Bianchi, il quale ha optato per il bianco totale. L’intento principale è stato quello di mettere a disposizione di tutti il nostro risultato. Nell’attuale clima di crisi, gli sviluppi della struttura dipendono da una serie di motivazioni, principalmente economiche, ma fin quando sarà nelle nostre possibilità tenderemo sempre a svilupparla e accrescerla.
Che rapporto c’è tra arte contemporanea e mondo dell’industria e dell’imprenditoria?
Per la mia esperienza sostanzialmente non esiste un rapporto in senso stretto, è solo una questione di interesse e di sensibilità personale. E quella o la possiedi oppure è difficile da far maturare. Personalmente il museo è per me un continuo strumento di formazione e crescita che perennemente mi mette in gioco.
La collezione è un segno importante per il territorio. Come è stata accolta, quali sono le potenzialità e quali, invece, le criticità registrate negli anni?
La collezione ha trovato molto interesse in chi ama e cura l’arte contemporanea, con tantissimi visitatori giunti da fuori, ha registrato invece scarsa partecipazione da parte del territorio dove il contemporaneo non è molto diffuso. Ma il nostro compito risiede anche nello stimolare nuove forme di conoscenza e per questo abbiamo sempre collaborato con le istituzioni del posto, ad iniziare dall’Università, e ci siamo sempre aperti verso chi vuole conoscere, scoprire e fare ricerche. È un fatto di carattere personale: c’è gente che colleziona ma poi si chiude in casa. Noi abbiamo maturato il desiderio di mettere la nostra passione a disposizione di tutti. Oggi la politica tende sovente a trascurare realtà che non portano consenso o ne portano solo in determinate “nicchie”, come le realtà culturali. La maggiore criticità che ravvedo risiede quindi nell’assenza del pubblico e nell’incapacità della promozione e della valorizzazione.
La bellezza del museo, oltre che nelle opere, risiede negli spazi che hanno permesso l’allestimento di importanti personali. A quali è più legato?
Intanto gran parte delle opere, soprattutto quelle che vediamo all’esterno, sono state prodotte da noi e ciò è sicuramente, per me, la parte più interessante della collezione. Sono opere realizzate tra Cassino e l’azienda IRON di Assisi, attraverso l’aiuto supplementare di artigiani ed industriali della zona. C’è poi tutto il discorso legato alla produzione e all’allestimento delle opere di Beverly Pepper. Per quanto riguarda le mostre, invece, sono legato molto a quelle di Carrino e Nagasawa, perché sono state le ultime più importanti personali prima della loro scomparsa, e a quelle di Saito, un artista giapponese che abbiamo adottato come museo e abbiamo visto crescere negli anni, e Ranaldi. Ma ogni mostra presenta impressioni, punti di vista, poetiche differenti che riconfigurano di volta in volta gli spazi facendo scoprire, per prima cosa a me stesso, aspetti nuovi della struttura e degli artisti.
*Intervista tratta da Espoarte #106.
Info: www.camusac.com