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BOLOGNA | Hotel Caselle | #Report

di Francesca Di Giorgio

Una volta c’erano le “scuole”, quelle vere, e le botteghe dove gli artisti non solo “rubavano” il mestiere ma avevano modo di confrontarsi. Oggi le occasioni di incontro si sono moltiplicate, è vero, così come i luoghi che favoriscono gli scambi di spazio, tempo e luogo ma siamo davvero pronti ad accoglierli? E, soprattutto, se ci vengono poste delle domande siamo in grado di restituire un’idea di ciò che siamo o vogliamo essere? Sara anche per questo che in occasione di eventi di carattere prettamente commerciale come le Fiere l’esperienza del talk ha preso sempre più campo? Il 2 febbraio scorso, in contemporanea alla giornata di apertura al pubblico di Arte Fiera, a Bologna, c’era chi ha posto delle domande e chi ha dato delle risposte per la seconda edizione del format ICEcubes ideato e curato da Milena Becci.

Hotel Caselle, Bologna

Hotel Caselle, Bologna

Se nella prima edizione dieci intellettuali hanno chiesto a dieci artisti le ragioni del loro modus operandi all’interno di una gelateria questa volta il progetto in itinere si è fermato in un hotel, all’Hotel Caselle luogo di transito per eccellenza per di più, in questo caso, situato, a 100 metri dal casello autostradale. Qui ICEcubes ha incontrato R A I D, con alcuni degli attori del Monumission Motel. Cos’è R A I D ce lo dice parte del suo statement e le incursioni degli artisti all’interno dell’Hotel: R A I D è un gesto libero. R A I D è aggregazione di artisti che condividono gli stessi intenti, liberi da impalcature di mercato. R A I D è un format ideato, prodotto e realizzato da Fat Studio.

Angelo Bellobono, Giulio Cassanelli, Francesco Lauretta, Giovanni Gaggia e Milena Becci

Angelo Bellobono, Giulio Cassanelli, Francesco Lauretta, Giovanni Gaggia e Milena Becci

Nella sala colazione del Manumission Motel, i protagonisti che hanno risposto alle domande degli intellettuali coinvolti hanno passato sei ore all’insegna del dialogo informale. Il punto di partenza non poteva che essere il concetto di coralità da cui scaturisce la prima domanda di Antonello Tolve.
Quello che qui vi proponiamo in sintesi è un report di cosa si sono detti…

La pluralità, in tutte le sue varie declinazioni, è regione dominante di una riflessione – critica e creativa – sul ridefinirsi del dialogo, sul ricollocarsi del molteplice, del polifonico, del vis-à-vis. Il campo in cui ti muovi non è soltanto legato a una sana individualità creativa (a un procedere solitario e personale), ma anche appunto a un intervento plurologico che trasforma l’ego sum in ego cum. Sulla base di queste premesse cosa vuol dire, oggi, fare gruppo? Quale valore ha, inoltre, la nascita di uno spazio corale? E quanta importanza ha questo spazio corale (che hai fondato) nel tuo avanzare creativo? (ANTONELLO TOLVE)

«Credo nel confronto e nell’incontrarsi perché limita l’ignoranza e l’autoreferenzialità. Il fatto che per decenni si è puntato, in ogni campo, all’iperspecializzazione ha creato dei sistemi chiusi in se stessi che conoscevano tutto di sé ma niente dell’esterno. Questo ha portato anche al crollo di tante strutture a livello internazionale. […] Non credo troppo nella necessità del fare sistema, è una parola che non mi piace. Credo invece molto all’umanità e al confronto indipendentemente dal bisogno di creare un sistema, al di là poi della singola individualità che rimane un approccio importante, fondamentale». (Angelo Bellobono)

«Ne faccio un discorso molto intimo: io sono stato fino ad un anno fa un grande “orso da studio”, poi è sorta una necessità interiore che si muoveva in ambito opposto, ovvero verso il raggruppamento, il bisogno di tessere una rete reale, non una rete cifrata da un social network, da un sistema binario o da uno schermo, ma una rete tangibile. Questa è stata poi la base del progetto Raid. Credo che sia fondamentale ritornare all’umano e tessere reti palpabili del confronto occhio contro occhio ed anche dello scontro, necessariamente. Tutto ciò credo che stia rinascendo nel sistema artistico». (Alessandro Brighetti – Fat Studio)

«Fare sistema è una cosa che non concepisco. Nasco come una persona che ama fare le cose in gruppo, collettivamente, con senso di squadra, questo mi è sempre piaciuto. L’arte naturalmente è stare chiusi in studio a lavorare e nell’ultimo anno ho avuto occasione di incontrare delle persone che son rimaste presenti nella mia vita. Per me la pluralità non è un senso programmatico di voler fare, ma è concretizzarla e avere dei rapporti empatici che possano durare poi nel tempo. A me interessa questo di Raid». (Giulio Cassanelli – Fat Studio)

«Quando ho deciso di ritirarmi, perché in realtà la mia struttura è in cima ad una collina, è una casa in campagna raggiungibile attraverso una strada di breccia, è perché avevo necessità di qualcosa di diverso, di un ritorno alla verità. Per verità intendo proprio un ritorno all’umanità. Questo poteva essere praticato attraverso qualcosa di estremamente vero come una casa, il ritrovarsi intorno ad un tavolo con un bicchiere di vino e dialogare a prescindere dalle categorie, provando insieme a ripartire. […] Son passati dieci anni e adesso qualcosa è successo». (Giovanni Gaggia)

Giovanni Gaggia, RAID, camera 102 - Hotel Caselle, Manumission MOtel, feat. Bianco Valente

Giovanni Gaggia, RAID, camera 102 – Hotel Caselle, Manumission MOtel, feat. Bianco Valente

«Ci sono altre forme culturali che riflettono meglio di noi artisti sulla nostra storia, su quello che stiamo vivendo. C’è ad esempio un’area molto densa e importante in ambito filosofico che sta ritornando ad un ritirarsi. C’è una proposta molto intima, quindi, che è differente da quella egoistica, tipica dell’artista. […] Io prenderei con le pinze questa cosa del “vogliamoci bene”. In questi mesi con Luigi Presicce abbiamo fondato la Scuola di Santa Rosa, un momento in cui condividiamo le nostre esperienze settimanalmente con altre persone in questo giardino e per noi è un modo per buttare via le trame che il sistema in qualche modo gestisce». (Francesco Lauretta)

Vorrei spingermi in un parallelismo ostico e ruvido. I format R A I D e A Blue love connection si basano sull’aggregazione di individui che condividono gli stessi ideali. Il terrorismo pure.
R A I D utilizza una terminologia ed un approccio di matrice militare, A blue love connection intende far reagire all’abominio della paura diffusa ed inaspettata. Creazione contro distruzione. Il concetto di “cellula dormiente” può aderire ad entrambe le fazioni, ma gli artisti nel mondo sono molto più numerosi dei terroristi. Come possiamo risvegliarli?
(ALESSANDRO BRIGHETTI)

«A Blue Love Connection è un progetto di arte partecipativa […] che nasce da una situazione personale che mi è capitata, ovvero una delle vittime dell’attentato di Barcellona di quest’estate era mio cugino. Quando lui è morto ho iniziato a pensare a come poter trasformare questa perdita in qualcosa di positivo; non è stato semplicissimo ma mi son detta che in fondo le persone che amano nel mondo devono essere di più di quelle che odiano, così come gli artisti devono essere di più dei terroristi. Se la comunità di chi odia si esprime così, e quindi ha una sua consistenza nella società, anche noi dobbiamo avere consistenza perché siamo di più». (Elena Forin)

Elena Forin con Milena Becci

Elena Forin con Milena Becci. Foto: Natascia Giulivi

La Delega e L’Autorialità: come coesistono nella realizzazione di un’opera d’arte. Le tue opinioni e la tua esperienza per Raid. (GIULIO CASSANELLI)

«La problematica della delega dell’autorialità non ha un suo naturale fondamento, nel senso che l’autorialità vive indipendentemente e costantemente anche quando l’opera vive della delega. Penso ad esempio ai murales di Sol Lewitt che in parte furono realizzati dallo stesso artista ma che avevano nell’approccio intenzionale la possibilità di essere eseguiti da altri operatori o da altri esecutori che andavano poi a realizzare l’opera indicata dall’artista. Torniamo allora alla riflessione sull’indicalità, cioè sul fatto che l’opera da molto tempo vive di una sua assoluta presenza e di una sua assoluta autorialità esclusivamente nel momento in cui è l’autore stesso che indica e propone, sempre e solo a livello concettuale, quello che è il lavoro stesso». (Fabiola Naldi)

Caro Vincenzo come sai bene, conoscendo da tempo gli incontri de I Martedì Critici  da me ideati otto anni fa, mi sono specializzato nel far parlare gli artisti del proprio lavoro. Tu come definiresti la tua ricerca?
(ALBERTO DAMBRUOSO)

«Il mio lavoro in questo momento ha due situazioni importanti che mi stanno coinvolgendo e incuriosendo, due visioni del lavoro: quello tecnologico e il confronto con il materiale, quali ad esempio le incisioni su pietra e su marmo. Sono due ricerche che poi si intersecano l’una con l’altra. Una visione quindi più contemporanea ed estrema con un ritorno alle nostre origini. Questo è il punto in cui adesso sono arrivato. La mia caratteristica è la stella a quattro punte di cui tanto si è parlato e scritto ed è questo l’elemento che pian piano si sta disgregando e si sta muovendo su altri versanti». (Vincenzo Marsiglia)

Vincenzo Marsiglia

Vincenzo Marsiglia. Foto: Natascia Giulivi

La tua pratica artistica è fondamentalmente relazionale. È una pratica tipica degli Anni Ottanta. Non ti senti un po’ fuori contesto rispetto a tanti tuoi coetanei che invece hanno ripreso a lavorare con la manualità? Come la giustifichi nel contesto attuale? (FABIO CAVALLUCCI)

«Saremmo fuori dal tempo se pensassimo di non essere in relazione. In tutte le discipline è appurato che noi esistiamo nella relazione e viviamo sulla relazione. Questo è essere contemporanei. Riguardo l’ambito artistico, sulla pratica, il mio lavoro è molto differente da quelli che sono gli artisti relazionali […] proprio perché materiale e immateriale si fondono costantemente e si ribaltano, andando verso una ricerca di totalità e poesia quasi romantica che non trova mai una definizione di categoria. […] La visione del lavoro che prende avvio da me si chiarifica e si concretizza attraverso la relazione con ambiente, persone e quindi anche materia». (Virginia Zanetti)

Virginia Zanetti

Virginia Zanetti. Foto: Natascia Giulivi

Dov’eri dieci anni fa? Cosa ti porti ancora dietro e cosa hai, saggiamente, abbandonato? Dove stai andando? Torni? (CLAUDIO LIBERO PISANO)

«Io vado. Sono un discesista da discesa libera, più veloce possibile. Io ci vado di forza e di istinto sempre, dovrei invece apprendere più elementi concettuali. Di questi dovrei impossessarmi. Penso che si debba assecondare la propria natura, ascoltare il proprio corpo che ci dice esattamente quello che dobbiamo fare, cosa dobbiamo toccare, come lo dobbiamo manipolare. Per cui cerco di lavorare con libertà, seguendo questo aspetto. È inutile che provo ad addomesticarmi. Devo andare a rischio di “sfracellamento”, e spesso succede, ma è così che va bene. Correre il rischio». (Davide Dormino)

Davide Dormino per Raid Manumission Motel

Davide Dormino per Raid Manumission Motel

«Sono Rocco Dubbini (per un momento Silvia Giambrone  scambia la sua identità con Rocco Dubbini, ndr), sono uno scultore da sempre, da che ho memoria mi è sempre piaciuto utilizzare gli oggetti per renderli tridimensionali, oltrepassando la fase del disegno. Ho sempre avuto un rapporto simbiotico con i materiali classici della scultura: pietra, marmo, metallo. La tridimensionalità e la materialità sono il mio habitat naturale che io però ho bisogno di tradire perché accolgo anche altri linguaggi, come il video, la fotografia e il suono, senza abituarmi ed andando in profondità. Sono una persona molto incoerente e questo si riscontra nel lavoro; ho timore della “maniera” a cui potrei abituarmi e che mi appiattirebbe.
(Silvia Giambrone)

Silvia Giambrone per Raid Manumission Motel

Silvia Giambrone per Raid Manumission Motel

«Dieci anni fa diventavo padre. Un passaggio fondamentale anche per la mia vita d’artista in cui ho scoperto una forza nuova e un’entità che ha riempito da subito una parte del mio vuoto esistenziale. Questo è stato fondamentale. Dieci anni fa ero molto lanciato nell’ambito artistico, vivevo il sistema dell’arte ed ero succube di tante situazioni. Con Claudio Libero Pisano stavamo progettando un lavoro per il Castello di Genazzano, “Falso Movimento”; di quell’esperienza ricordo e porto con me la grande libertà che ho avuto agendo nello spazio contaminato, evocativo e pieno di storia, dove ho potuto inserire opere di grandi dimensioni. È stata un’esperienza unica». (Rocco Dubbini)

Da sinistra Rocco Dubbini, Silvia Giambrone, Claudio Libero Pisano, Milena Becci

Da sinistra Rocco Dubbini, Silvia Giambrone, Claudio Libero Pisano, Milena Becci. Foto: Natascia Giulivi

Il riferimento al passato riesce nei tuoi lavori a rilasciare elementi di novità rispetto alla costruzione di una specifica indagine estetica. Oltre all’evidente interesse per la fotografia, quali altre pratiche si celano dietro la tua ricerca? (LUCA PANARO)

«Per quanto reputo che ognuno di noi debba conoscere lo strumento che utilizza, dato che è un’estensione di noi stessi, non sono affascinato dallo strumento fotografico di per sé […] perché è una combinazione di grammatiche che non amo. Non amo gli sportivi ad esempio, perché in qualche modo si strutturano all’interno di griglie, non mi fa impazzire quella rigidità militare. La fotografia rientra anche in un ambiente para-militare. Sto parlando dell’immagine, a me questa interessa, i meccanismi percettivi di questa. L’immagine è definita come la rappresentazione non solida della realtà, invece io la vedo solida».
(Lamberto Teotino)

Lamberto Teotino e Milena Becci

Lamberto Teotino. Foto: Natascia Giulivi

Quando lavorate in scala 1:1, frammentate il soggetto, mentre quando riducete il proscenio che lo ospita, ne alleviate, ne limitate l’identità, la sua unità. Come opera, secondo voi, la ceramica, sulle proporzioni, sulle dimensioni e sulle costrizioni del vivere umano?  (GINEVRA BRIA)

«Lo dico per tutta l’arte in genere, e non solamente per la ceramica. Se provi a guardare te stesso senza avere uno specchio davanti, non vedrai mai l’intero te stesso, perché il tuo sguardo è limitato, ma vedrai solo delle parti di te attraverso cui proverai – e molto spesso non riuscirai – a tirar fuori un insieme coerente. Se invece ti allontani, come si fa quando si vuole affrontare un problema e allora si dice che “va preso da una certa distanza”, ti accorgerai che così come il problema, rimpicciolendosi con la distanza, perde di significato, allo stesso modo anche tu, visto da lontano e con sguardo oggettivo, non sarai questo granché, diventerai un problema piccolo e banale come tutti gli altri». (Eva Hide, coppia di artisti e maestri ceramisti di Laterza)

ICEcubes@Raid
ì
Angelo Bellobono // Ginevra Bria // Alessandro Brighetti // Giulio Cassanelli // Fabio Cavallucci // Alberto Dambruoso // Davide Dormino // Rocco Dubbini // Eva Hide // Elena Forin // Giovanni Gaggia // Silvia Giambrone // Francesco Lauretta // Vincenzo Marsiglia // Fabiola Naldi // Luca Panaro // Claudio Libero Pisano // Lamberto Teotino // Antonello Tolve // Virginia Zanetti

Hotel Caselle
via Caselle, 113, San Lazzaro di Savena (BO)

Info:
http://FatStudio.org

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