MILANO | ICA Milano – Istituto Contemporaneo per le Arti | fino al 15 settembre 2019
Intervista ad ALBERTO SALVADORI di Irene Bolchini
ICA è stato presentato cinque mesi fa ed in pochissimo tempo si è già assestato come una delle realtà più vivaci e seguite della scena milanese. A poche settimane dall’inaugurazione della mostra Nuovi Canoni, a cura di Tommaso Corvi-Mora, cerchiamo di fare il punto con Alberto Salvadori capendo come vede il prossimo futuro, tra libertà e divertimento…
Questa mostra si inserisce all’interno del programma che avete presentato all’apertura dello spazio. Posso chiederti quindi di fare un bilancio di questi primi mesi?
La mostra che abbiamo inaugurato è la prima di una serie di appuntamenti annuali che dedicheremo alla ceramica ed è una mostra che nasce, come quasi tutto ciò che accade ad ICA, dalle passioni dei fondatori. Questo perché ICA non è un’istituzione culturale che ha nelle mostra di arte visiva il suo unico status: fino ad esso abbiamo presentato mostre, ma solo perché siamo in vita da pochissimo. Tutta la parte dei contenuti si sta generando e prenderà una forma più concreta in autunno. La ceramica è, assieme ad altre discipline e altri campi di indagine, una manifestazione del nostro interesse per le arti. Dopo questi primi cinque mesi posso dire che tutto si è mosso a grande velocità, e per questo dobbiamo ringraziare la città di Milano, specie per come ci ha accolto (e ci sta ancora accogliendo). Abbiamo raggiunto un riscontro importante, non solo in termini numerici (non è questo che ci interessa), ma in termini di posizionamento e riconoscibilità. Non nascondo che questo successo ci sta ponendo una serie di interrogativi in termini di programmazione e quindi dovremo lavorare sempre più intensamente per rispondere alle aspettative di un luogo che ha una funzione culturale ad ampio spettro.
Credi che questa velocità sia legata alla specificità di Milano o credi che in Italia ci sia una sete di progettualità sul contemporaneo che voi avete incontrato proponendo un programma vasto e complesso (che va oltre alle mostre singole)?
In termini geografici credo che ovunque ci sia un’attenzione al linguaggio contemporaneo, e questo lo dico dopo aver lavorato in provincia per molti anni. Ovviamente i luoghi non legati ad una certa idea di canone fanno meno notizia. Detto questo, ciò che più mi preme sottolineare è che lo spettatore italiano è molto più attento di quello che viene raccontato. È un pubblico colto, curioso e trasversale. Questo per ICA è fondamentale: non siamo e non vogliamo essere un club per gli amanti dell’arte contemporanea, anzi siamo molto felici di avere una platea piuttosto eterogenea.
Certo è innegabile che Milano sia un luogo molto particolare: il suo pubblico è variegato e attento, probabilmente non ha sete perché molto ben “abbeverato” da tante istituzioni che da anni fanno un lavoro straordinario, ed è anche grazie a loro se noi siamo qui. Ovviamente tutto questo è possibile anche da un’amministrazione che da almeno due lustri investe sulle politiche culturali in maniera unica ed illuminata. In termini storici si parla di congiunture: adesso Milano sta vivendo una congiuntura estremamente positiva, ovviamente in ogni situazione crescente si annidano problematiche rilevanti e quindi bisogna essere vigili per far sì che questa onda perduri nel tempo.
Mi riallaccio a questi pericoli. Quali sono le difficoltà che è chiamata ad affrontare un’istituzione nata da cinque mesi?
Allora, tanto per rilassarci posso dire che pericoli veri non ce ne sono! Ci sono degli obiettivi importanti da raggiungere: il primo è convincere le persone del lavoro che facciamo. Partendo da un principio della restituzione, il give-back, vorremmo attivare un processo affinché la nostra progettualità metta radici e abbia una sua sostenibilità. La vera sfida, che poi uno può vederla come un pericolo, è quella di avere importato un modello culturale afferente al mondo anglosassone in un contesto come quello italiano dove il rapporto tra il cittadino privato (sia esso il singolo, un possibile sponsor, un’azienda) e l’ente pubblico è molto diverso da quello che succede altrove. Questo processo è nuovo ed è la sfida che fin dall’inizio volevamo affrontare.
Dato che citi il modello anglosassone ne approfitterei per chiederti qualcosa della mostra che avete appena inaugurato. Come mai avete deciso di partire dall’Inghilterra, specialmente in un momento storico in cui la terra, l’identità e la nazione sono così problematici?
Questa mostra, che si chiama Nuovi canoni, nasce da un momento di crisi. Storicamente i momenti come questo sono un’opportunità, nonostante siano segnati da elementi di insicurezza. La ceramica inglese è storicamente, dalla rivoluzione industriale in poi, un elemento che ha caratterizzato sia l’aspetto creativo, sia quello identitario e comunitario del Paese. In Gran Bretagna le scuole di ceramica sono cresciute al pari dei musei; la tradizione del pottery è sempre stata forte ed indipendente. Dagli anni Ottanta in poi il concetto di democrazia liberale, al servizio delle collettività (e quindi anche il sostegno alle scuole) si è spostato – con due grandi passaggi che sono il periodo Thatcher e Blair – verso un principio neo-liberale (in cui l’attenzione dalla collettività si è spostata sul singolo). Questi due campioni della politica, che sono raccontati benissimo ne La famiglia Winshaw, hanno avuto anche un impatto sulla grande tradizione della ceramica, intesa come scuola. Questo perché sono venuti meno i finanziamenti pubblici e quindi, lentamente, le scuole sono state chiuse. La ceramica inglese non ha cessato di esistere, ma si è generata attraverso una dimensione collettiva dove l’individualità esiste e il concetto del pottery si è spostato verso un’idea di ceramica che è arte. La nuova generazione, di cui noi presentiamo un piccolo campione, continua a essere ceramista ma in maniera nuova. Evitando una costrittiva o rigida modalità di definizione o funzione. La ceramica ha ancora adesso una sua libertà, spesso è libera anche da vincoli di mercato.
A proposito di libertà dai vincoli e dalle definizioni: ICA ha presentato la propria programmazione dichiarando di voler porre il focus su pratiche ibride quali la ceramica e il libro d’artista. Posso chiederti qualcosa di più in merito a questo aspetto?
A settembre presenteremo Books and others dove lavorerò con un gruppo di amici e grandi professionisti, che sono Chiara Costa, Francesco Valtolina, Giovanna Silva e Gregorio Magnani.
Con questo progetto vorremmo compiere un passaggio ulteriore: non esporre il libro in quanto oggetto, ma punto di partenza per la creazione di un’opera. Sarà una piccola collettiva dalla dimensione effimera (durerà pochissimi giorni) che sarà affiancata dalla collaborazione con due grandi librerie – The Reading Room a Milano e Bruno a Venezia. Sarà quindi possibile procedere all’acquisto di pezzi rari con un piccolo investimento.
Inoltre organizzeremo un gioco, che sarà un gioco serio, cioè il premio al miglior libro. Abbiamo chiesto agli editori italiani che pubblicano libri d’arte di essere parte di questo progetto. E come al Premio Strega si vinceva inizialmente una bottiglia del liquore, allo stesso modo noi daremo un premio-simbolo che è una coppa, premio al miglior libro del 2018. L’intento di ICA è quello di fare delle cose serie, ma divertendosi molto.
E forse anche scardinando dei criteri prestabiliti: così come avete discusso il criterio di distinzione tra arte, design, pottery allo stesso modo avete deciso di coinvolgere un curatore che è anche artista, gallerista. Sembra quasi un modo per rifiutare qualsiasi definizione.
Sì, noi siamo una fondazione non profit e cerchiamo di essere un veicolo di diffusione. Siamo liberi nel cercare di costruire dei progetti che sono congeniali al nostro modo di essere. In questo caso il curatore è anche un artista e dirige una galleria. E questo per noi non è un problema in alcun modo. Nel nostro spazio viene accolto come una persona che fa e che si occupa di arte. La libertà che rivendichiamo è quella di interpretare di volta in volta la qualità della ricerca e del progetto, senza porci limiti o definizioni.
Abbiamo fatto un bilancio di cosa è già accaduto in questi mesi, posso chiederti cosa accadrà nel futuro invece?
A settembre presenteremo il nome del filosofo che darà vita alla scuola di filosofia presentata all’apertura e annunceremo collaborazioni con altre istituzioni cittadine. Il nostro programma espositivo è strutturato fino al 2021, adesso inizierà un processo altrettanto importante che è la costruzione della collettività che circolerà in questo luogo e che lo abiterà quotidianamente, dandogli vita.
VERSO NUOVI CANONI (TOWARDS NEW CANONS) CERAMICS AND CONTEMPORARY ART IN GREAT BRITAIN
a cura di Tommaso Corvi-Mora
21 giugno – 15 settembre 2019
ICA Milano – Istituto Contemporaneo per le Arti
Via Orobia 26, Milano
Orari: Giovedì – domenica: 12.00 – 20.00. Chiuso: lunedì, martedì, mercoledì
LUGLIO: venerdì a martedì al venerdì dalle 11.00 alle 19.00
Visite su appuntamento: +39 375 5324806
Info: office@icamilano.it
www.icamilano.it