FAVARA (AG) | Cortile Bentivegna – Sette Cortili
Intervista a FLORINDA SAIEVA di Valeria Barbera
Torniamo a parlare ancora delle “nuove forme” della cultura oggi. Dopo il portale Italian Stories, luogo “virtuale” di incontro tra viaggiatori e artigiani, è la volta di un luogo fisico: Favara Farm Cultural Park. Valeria Barbera ha intervistato per noi Florinda Saieva, fondatrice del progetto.
Quali sono le parole chiave con cui descriveresti FAVARA FARM CULTURAL PARK?
Condivisione, sperimentazione, crescita e conoscenza.
Come è nato questo progetto?
Il progetto in realtà nasce come un progetto familiare. Io e mio marito Andrea avevamo fatto numerose esperienze all’estero e avevamo una casa a Parigi dove andavamo almeno per quindici giorni ogni mese. Siamo appassionati d’arte contemporanea e architettura e Parigi stava vivendo un momento storico molto importante e di grande fermento e per questo motivo avevamo scelto quella città. Poi quando nostra figlia, Carla, la più grande, doveva iniziare a frequentare la scuola ci siamo chiesti dove avremmo voluto mettere le nostre radici. Inizialmente mio marito aveva pensato di rimanere in Francia, anche se per il suo lavoro sarebbe dovuto tornare sempre in Italia. Io, invece, non avrei voluto far crescere mia figlia lontana dal padre, per cui abbiamo scelto infine di tornare in Sicilia, esattamente a Favara dove vive la mia famiglia. Io, infatti, sono originaria di Favara, un paese piccolo in cui però non c’era molto e noi non volevamo togliere alle nostre figlie la possibilità di fare tutte quelle esperienze che noi reputiamo importanti. Abbiamo così deciso di continuare a mantenere i contatti con tutto quello che avevamo sperimentato fino a quel momento per poter offrire alle nostre figlie, ma anche alla comunità, la possibilità di conoscere persone, incontrare artisti, architetti… insomma tutte quelle esperienze che aiutano a crescere. Quindi, per certi versi, abbiamo provato a portare a Favara quello che fino a quel momento noi avevamo cercato fuori dalla Sicilia. E in parte ci siamo riusciti.
Come si è sviluppato Favara Farm Cultural Park in questi anni?
Abbiamo iniziato a fare le prime acquisizioni nel 2008 ed era nostra intenzione, come avevamo pianificato da manuale, aprire nel 2012. Purtroppo però nel 2010 nel crollo di una palazzina nel centro storico di Favara sono morte due bambine; sono così arrivati avvisi di garanzia a quasi la totalità dell’amministrazione pubblica e non solo. Gli amministratori hanno così iniziato a radere al suolo il centro storico; là dove c’era un minimo dubbio sulla stabilità, abbattevano case. Abbiamo quindi deciso di anticipare i tempi: nel marzo 2010 hanno avuto inizio i lavori di ristrutturazione dei due immobili più piccoli, anche per dare un segnale alla città che qualcosa stava accadendo e che il cambiamento era possibile. Quindi abbiamo aperto nel giugno 2010 con un piccolo spazio galleria, un piccolo shop. Poi da quel primo nucleo gli spazi poi pian piano si sono ampliati e il processo è stato affiancato da una programmazione culturale costante. Che è stata la nostra più grande forza.
Attualmente chi lavora a Favara Farm Cultural Park?
All’inizio eravamo solo io, mio marito Andrea e un collaboratore. Ora, anche se continuiamo a seguire noi la maggior parte delle iniziative, il progetto conta un gran numero di volontari: si è formata attorno a noi una comunità di persone che ci danno una grande mano anche nella progettazione.
Poiché il sostegno economico del progetto è fondamentalmente il nostro, di fatto le decisioni finali vengono prese da noi, ma sono tante le persone che ci aiutano in modo prezioso anche nell’ideazione. E poi siamo anche riusciti ad intrecciare delle relazioni con le Università e le Accademie e con vari istituti che si occupano di cultura, arricchendo la nostra proposta culturale.
Quali sono state – e quali sono ancora oggi – le principali criticità incontrate durante questo processo? Immagino si tratti di un impegno importante anche economicamente…
L’impegno economico è importante, ma a dispetto di quanto si possa pensare l’investimento non è stato poi così enorme, soprattutto considerandone i risultati. Nel nostro caso, abbiamo fatto un investimento molto grande – si aggira intorno ai 500.000 euro – ma non si tratta di una cifra impossibile per un’amministrazione pubblica o anche per dei professionisti. Equivale, ad esempio, all’investimento per una seconda casa al mare, investimento che noi, ad esempio, non abbiamo fatto. Si tratta di una questione di prospettive: noi abbiamo deciso di investire nella crescita e nel futuro delle nostre figlie in un modo diverso.
Per me però la difficoltà maggiore rimane il rapporto ambiguo con la cittadinanza: gli abitanti di Favara, infatti, pur riconoscendo il valore di quello che è stato fatto ed essendone anche orgogliosi, al tempo stesso però vivono con distacco questo posto; forse perché lo vedono ancora come una novità o forse perché lo sentono troppo diverso da loro. C’è ancora questa difficoltà, manca in loro un senso di appartenenza verso questo luogo, pur riconoscendone l’importanza e avendoci investito: ad esempio la piazza di Favara, che prima era deserta, ora brulica di locali e molti spazi in centro storico ora sono in affitto o in ristrutturazione. Questa estraneità per me però continua ad essere una criticità e un dispiacere, un aspetto che necessita ancora di tanto lavoro.
Favara Farm Cultural Park ha conferito al territorio una notevole visibilità, anche a livello internazionale: questo interesse si è tradotto in un fenomeno anche dal punto di vista turistico? Come il processo di innovazione culturale ha coinvolto e modificato la vita della comunità?
Fino a 5 anni fa a Favara c’erano circa 9 posti letto in un albergo, ora si sono moltiplicati, tanti i nuovi affittacamere, tante le nuove attività commerciali: ristoranti, pub, bar si sono quadruplicati. Ora arrivano tantissimi turisti. Considera che siamo stati inseriti sulla guida Lonely Planet, dove abbiamo una recensione meravigliosa, quasi immeritata…
Significativo, al di là dei turisti che visitano la città, è il fatto che ora per l’hinterland Favara è diventata un luogo di ritrovo, un luogo dove accade qualcosa. La cosa più importante per me è infatti questa inversione di tendenza nella mentalità del cittadino che prima doveva sempre andare altrove e non credeva nella possibilità che qualcosa potesse muoversi anche nella sua città. Ci capita spesso infatti che i genitori di Favara ci ringrazino perché i propri figli non sono più costretti ad andare altrove il sabato sera, ma possono uscire a piedi. Ancora oggi a Favara non c’è un cinema, ma fino a quattro anni fa non c’era nemmeno un bar dove poter prendere, non so, un aperitivo la sera…
Quali sono i vostri progetti per il futuro? Si allargherà la rete di Favara Farm Cultural Park? Attualmente stiamo lavorando, grazie alla disponibilità del gruppo dei deputati siciliani del Movimento 5 Stelle, al progetto Boom Polmoni Urbani che abbiamo scritto con loro e al quale essi destineranno le somme che risparmiano dalla riduzione dei loro stipendi. Si tratta di un’iniziativa, un concorso di idee incentrato sulla rigenerazione urbana in cui il luogo diventa un elemento fondamentale per il cambiamento. [La call di Boom Polmoni Urbani si è chiusa il 26 maggio, riscuotendo molto interesse e registrando oltre 170 adesioni su territorio regionale. n.d.r.]
Io non credo molto nei modelli preconfezionati da “esportare” in altri luoghi; però certamente questa esperienza ci ha insegnato che il luogo ha un ruolo fondamentale nel processo. Negli anni precedenti, abbiamo organizzato eventi culturali e mostre, però è sempre il luogo che diventa un vero e proprio punto di riferimento per le attività intorno a te, per chi ti segue e ha voglia di interagire con te. Abbiamo aperto Favara Farm Cultural Park a tutti quelli che avevano voglia di sperimentare, di confrontare, di crescere… Fondamentali sono anche i servizi per la sostenibilità degli stessi spazi perché gli eventi culturali difficilmente riescono a sostenersi da soli. Secondo me quindi è importante avere un luogo, ma una programmazione costante e fornire dei buoni servizi lo sono altrettanto.
Servizi come ad esempio?
Dal punto di vista degli introiti, il bar sicuramente. Poi stiamo iniziando a lavorare con le scuole organizzando dei piccoli laboratori per bambini. Si tratta sempre di piccole cifre ma è pur sempre qualcosa. Ci piacerebbe inoltre iniziare a fornire delle consulenze, anche perché in molti ce lo stanno chiedendo. Probabilmente faremo un’esperienza su Catania l’anno prossimo e se andrà come previsto, ufficializzeremo il tutto prima dell’estate: un nuovo progetto dove porteremo la nostra esperienza: più che un modello, una buona pratica, insomma.
Florinda Saieva è fondatrice, assieme al marito Andrea Bartoli, di Favara Farm Cultural Park in Sicilia. Florinda si definisce “l’anima pratica” del progetto, si occupa della sua gestione quotidiana, delle attività e dei conseguenti problemi. Col sorriso assicura però che ogni tanto riesce a “scaricarne” alcuni anche al marito che del progetto è “l’anima artistica”.
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