BERLINO | Galerie Mazzoli | 19 novembre 2016 – 14 gennaio 2017
di LUCIA LONGHI
Carlo Benvenuto, con le sue fotografie, ha tentato di riordinare il caos della realtà, ricercando conforto negli oggetti della quotidianità che, disposti con disciplina ed eleganza su un tavolo da cucina, da anni rappresentano per lui e per chi li osserva il tentativo di restituire un’immagine di purezza, essenzialità e bellezza.
La sue composizioni, rigide e semplici, hanno un peso: il peso degli oggetti apparentemente innocui dell’ambiente domestico, immersi in un’atmosfera rarefatta che suggerisce una sensazione di attesa e talvolta insidia. [1]
Negli ultimi lavori del 2016 i caratteri di sospensione, passione e minaccia sembrano essersi ancora di più accentuati, virando verso tinte accese, grandi formati e soggetti sensuali.
Esposti alla GAMeC di Bergamo fino al 13 novembre nella personale Carlo Benvenuto – Scala 1:1 curata da Giacinto di Pietrantonio, ora sono in mostra alla Galerie Mazzoli di Berlino fino al 14 gennaio 2017 nella personale dal titolo Hunky Dory.
Carlo Benvenuto imita la pittura, o dipinge con la fotografia? Si può mettere da parte l’atavico dibattito intorno a pittura e fotografia e quale sia il mezzo più degno a rappresentare la realtà: la pratica di Benvenuto andrebbe descritta per il suo valore intrinseco, al di fuori di questa diatriba, senza dover ricorrere ad una etichetta. Certo, è stato l’artista stesso a porsi sulla soglia di questa definizione, nel momento in cui ha fatto di un soggetto pittorico classico (e in particolar modo metafisico) il suo segno distintivo: la natura morta, di cui, con la fotografia analogica, un particolare tipo di composizione essenziale e la scelta di colori piatti, ha introdotto uno stile unico e oggi inconfondibile.
Di fronte alle opere di Benvenuto, tuttavia, non è il dubbio che si tratti di pittura o di fotografia la prima domanda che emerge, quanto la bontà degli oggetti rappresentati: non tanto intesa come virtuosismo artistico di fedeltà alla realtà, bensì come assenza di un potenziale pericolo da parte di quell’oggetto rappresentato. I soggetti sono infatti sempre oggetti ordinari: bicchieri d’acqua, tazzine da caffè, tappi di penne Bic, vasetti di vetro, pasticcini, frutta e fiori decorativi.
Sono oggetti appartenenti al rassicurante ambiente della casa, e infatti sempre lì vengono fotografati: sul tavolo della cucina dei suoi genitori. Palcoscenico fedele e immutato negli anni, si tratta di un semplice tavolo, talmente spoglio, da apparire quasi spettrale nelle sue tonalità pastello ghiacciate.
Gli oggetti posati su di esso, solitari, in attesa di essere vivisezionati dalla macchina fotografica che ne restituirà l’identità e la forma, lo trasformano in un tavolo chirurgico, o un ripiano di laboratorio su cui l’artista incessantemente sperimenta.
La tecnica fotografica rispecchia il carattere minimale ed elegante, talvolta algido, delle nature morte: una fotografia analogica piatta, dalla resa pittorica morandiana, seppure i colori carichi degli oggetti si staglino sul fondo pastello con una certa violenza lontana dalle tinte metafisiche.
I lavori della produzione del 2016 si caricano di una ulteriore forza espressiva grazie a due cambiamenti che il fotografo ha introdotto nei colori e nel formato.
Grazie a sovrapposizioni di scatti con diversi filtri infatti, Benvenuto tinge di rosso carminio parti delle composizioni: a volte lo sfondo, lasciando da parte il soggetto, a volte viceversa è la frutta ad assumere il colore rosso sangue, come i cesti di mele e banane rosse.
Anche il nero adesso è entrato con prepotenza nella tavolozza del fotografo-pittore: una sovrapposizione di ombre si intensifica fino a coprire totalmente il colore originale di bottiglie, coppe, ananas.
Delicatezza e formalità sembrano dunque lasciare il posto al calore e a una certa sensualità, di cui i protagonisti sono frutti dai colori forti: ananas, banane, mele, ciliegie e rose dal color rosso lacca o nero troneggiano sul bianco della tovaglia.
Si legge in queste nuove opere una sfrontatezza e una ironia nascosta, un’invito forse a una leggerezza seducente, accattivante.
È anche tramite il grande formato che Benvenuto conferisce una carica nuova alle sue foto.
Bisogna ricordare che il fotografo ritrae sempre l’oggetto nella sua misura reale, cioè in scala 1:1, perché, dichiara: «Mi crea l’illusione di lasciarlo intatto e di non forzarlo in una dimensione che potrebbe essere espressione significante». [2]
Il tavolo delle nature morte, stavolta, è stato fotografato per intero: ecco che quindi le opere hanno una dimensione molto grande.
Si crea così un paradosso nel riprodurre gli oggetti esattamente nella loro dimensione reale: nell’intento di essere fedele alla realtà, si crea un’immagine spaesante e apparentemente irreale. Anche se in scala uno a uno, queste immagini sembrano osservate attraverso una lente di ingrandimento che ne distorce le dimensioni.
Gli oggetti di Benvenuto escono in questo modo simbolicamente dallo spazio privato della casa, per rivolgersi verso lo spazio intimo dello spettatore, che vi si riconosce e allo stesso tempo smarrisce.
La semplicità dei lavori di Benvenuto va sempre smentita: la vastità del linguaggio estetico dell’artista è tale perché combacia con un bagaglio visivo comune, fatto di oggetti personali ma al contempo universali perché appartenenti all’universo privato di chiunque.
Sono quindi, anche, oggetti narrativi, che hanno una vita loro, contenitori di storie.
Anche nella scelta della penna Bic per i disegni su carta (anch’essi produzione del 2016) Benvenuto sceglie un oggetto familiare.
Il progetto allestito nella Galerie Mazzoli a Berlino contribuisce a creare intimità tra le immagini e lo spettatore e vira verso una dimensione ancora più domestica, grazie alla struttura stessa della galleria, quella di un appartamento privato: nulla di più adatto a queste fotografie, che sono state create in una casa, la ritraggono, e infine ora in essa vengono ospitate.
Le fotografie di Benvenuto non vogliono infatti creare distanza, scatenare domande, appesantire gli interlocutori. Vogliono semplicemente essere osservate per la loro bellezza.
Da qui il titolo della mostra alla Gallerie Mazzoli, Hunky Dory (dal titolo di un album di David Bowie, significa “rose e fiori”, ma anche “va tutto alla grande, tutto bene”): un titolo che ispira un senso di rassicurazione nel visitatore, che egli invita a cercare conforto in queste immagini, piuttosto che stuzzicarlo a cercarvi riferimenti e significati.
Benvenuto infatti vuole comunicare il meno possibile: qui sta, anche, il senso delle sue costruzioni minimali, per concentrarsi sulla forma degli oggetti più che sulla loro funzione.
Non per niente, il catalogo della mostra è accompagnato da testi poetici e visionari del cantautore americano Devendra Banhart, che vuole sottolineare l’aspirazione alla leggerezza e alla giocosità di quel mondo raffigurato da Benvenuto.
L’attraversamento della parabola evolutiva della pratica di Benvenuto si conclude, nella mostra a Berlino, con una scultura tridimensionale: tre bicchieri in vetro di Murano pieni, come se contenessero acqua vera fino all’orlo. Anche questa, un’emulazione della realtà molto fedele, scanzonata e apparentemente facile, come bere un bicchier d’acqua, sembra suggerirci l’autore.
1: Come ha dichiarato l’artista stesso: “amo amplificare le potenzialità degli oggetti che cataloghiamo come inoffensivi e che invece sono bombe cariche di sentimenti pronte a esplodere”. in Massimiliano Gioni, Carlo Benvenuto, le cose del mondo, TRAX n.11, marzo 1999.
2: ibid.
Carlo Benvenuto. Hunky Dory
Galerie Mazzoli
Potsdamer Straße 132
D-10783 Berlino
Info: +49 (0)30 75459560
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