MILANO | mc2gallery | Fino al 10 aprile 2016
di MATTEO GALBIATI
La grande forza del mezzo fotografico è quella, fin dalle sue origini, di aver saputo recepire repentini processi di sperimentazione e innovazione che, oltre alle inevitabili migliorie tecniche, hanno riguardato il contenuto stesso del suo linguaggio e le possibilità espressive legate al suo codice.
Il fotografo si è ritrovato immediatamente nella condizione di manipolare le immagini agendo sull’intimo senso della lettura “certa” che lo strumento “fotografia” gli ha sempre permesso e garantito, spesso operando in modo non fotografico. Questo ha comportato la messa in discussione stessa della correttezza della visione e della condizione offerta dall’immagine che si ammira. Gli esempi che la storia ha consegnato alla nostra memoria sono, in questo senso, innumerevoli.
Fatta questa breve premessa – e non certo esaustiva rispetto al tema – ritroviamo, con rinnovato piacere, nelle affascinanti opere della nuova personale di Lamberto Teotino, tutta questa tensione ad una ricerca sperimentale.
L’esposizione, elegantemente presentata negli spazi di mc2gallery che, grazie alla presenza di queste opere, pare trasformarsi in una sezione appositamente dedicata di un grande museo, rafforza la piena convinzione dell’indiscutibile qualità del lavoro di Teotino. Qualità che si esprime sia attraverso la logica coerente del suo pensiero e delle sue riflessioni, che portano a una stratificazione di contenuti da sfogliare come le pagine di un saggio, sia la maniacale – e si vede anche osservando solo superficialmente queste grandi immagini – qualità intrinseca dei materiali, dalla carta alle cornici.
L’assoluta perfezione nel fare, la correttezza e il rispetto dell’opera finale, vedono Teotino agire come un artista-alchimista (rinascimentale nell’impostazione) e, lui che usa la fotografia senza essere fotografo, ad ottenere immagini dalla squisitezza pittorica, un manierismo intelligente il suo che oltrepassa la spontaneità, spesso superficiale, di chi davvero fa – o crede di fare – il fotografo.
Qui troviamo ritratti di “entità umane” che, sottratte al loro tempo passato e consegnate al nostro – o viceversa – provano a svelarci il contenuto dei ragionamenti sullo spostamento percettivo che avviene, intrinsecamente, nell’intimo della sua visione.
L’artista agisce su di esse come un ricercatore di immagini che punta al cuore e all’anima dei meccanismi che innescano: da una parte recupera vecchie fotografie la cui memoria è perduta e, rielaborandole, fa loro superare l’oblio cui il tempo le ha condannate; dall’altra, rese durevoli infondendo loro una monumentalità insperata – che prescinde naturalmente la dimensione effettiva del lavoro –, accentua la precarietà di questi personaggi che non si capisce bene se siano interpreti di se stessi o attori che recitano un copione prestabilito.
Affascina di Teotino proprio questo mettere in crisi lo sguardo dell’osservatore che, prima ammaliato e indotto nella tentazione del compiacimento per la grandiosità estetica, ora viene tradito dai dubbi che superano le evocate certezze che si desumono in un primo momento.
Non si possono interpellare nemmeno i volti dei soggetti, non se ne legge, infatti, l’animo guardandoli negli occhi, perché questi sono nascosti e compressi da strutture geometrizzanti che seguono uno sviluppo frattale (che secondo studi recenti sta anche nelle sequenze del genoma umano, il che ci renderebbe corpi frattali autorigeneranti): un ulteriore elemento, questo, un ingrediente in più, atto ad allontanare l’immagine da se stessa e a generare quelle interferenze semantiche che rendono complessa la traduzione del contenuto narrativo effettivo.
Parlando di riproducibilità, di sequenzialità, di mistero, di insistenza sulla intensità emotiva, di rigenerazione nelle opposte vedute, Teotino dichiara la forza di volontà e il desiderio di im-permanenza nel decifrare lo strumento fotografico. Gli infonde un presupposto di conoscenza ulteriore rispetto la mera immagine che riporta sulla superficie dei supporti.
Evidenzia il trucco e l’inganno, ma non lo svela fino in fondo, e attestando la sua perfetta conoscenza della fotografia come strumento linguistico, la manipola distraendo e distorcendo l’immagine a suo piacimento. Cosa guida i processi di coscienza e conoscenza rispetto alla realtà micro-macroscopica che circonda lo sguardo, resta un interrogativo da risolversi con le facoltà indagative dell’uomo, ma questo resta, di fatto, un principio secondario, rispetto all’ennesimo, arguto e astuto, depistaggio che Teotino mette in primo piano: la fotografia o, meglio, l’immagine fotografica è una soglia, un luogo che permette un accesso, più’ accessi, a livelli altri della sua stessa comprensione. Come certa nobile pittura, i suoi lavori continuano a sedimentare supposizioni e dubbi, incertezze che attivano e rigenerano il nostro pensiero, senza che questo si renda superficialmente mansueto e succube della fotografia che ha davanti. Sono immagini scambievolmente attive e propositive.
Ma del resto non sono sempre stati il dubbio e l’interrogazione a muovere l’uomo verso i traguardi delle sue conoscenze? Poi pennello o fotografia il senso, oggi più che mai, non cambia davvero. La forza sta nell’esperienza recepita dai nostri occhi e nella sensibilità del nostro animo che, davanti a immagini di questo tipo, sa andare oltre l’apparenza.
L’ultimo Dio. Solo show. Lamberto Teotino
a cura di Claudio Composti
Fino al 10 aprile 2016
mc2gallery
via Malaga 4 Interno 72, Milano
Orari: da martedì a venerdì 14.00-20.00; sabato su appuntamento
Info: +39 02 87280910
mc2gallery@gmail.com
www.mc2gallery.it