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LOCARNO (SVIZZERA) | PalaCinema Locarno SA | 28 ottobre – 14 novembre 2021

Intervista a GIULIANA CUNÉAZ di Matteo Galbiati

Finalmente dopo una lunga fase di produzione, fortemente condizionata dal Covid e dalle interruzioni che ha imposto, possiamo ammirare I Cercatori di Luce, coinvolgente opera filmica che, con una durata di trenta minuti, ci introduce al racconto ideato dall’artista Giuliana Cunéaz. Proiettato al PalaCinema di Locarno (Svizzera) e accompagnato da una mostra che ne narra i contenuti e la costruzione, questo film assume un valore speciale e un significato intenso e profondo; i temi trattati, i contenuti della “storia”, tracciano, rispetto il tempo in cui è stato concepito, i contorni di una profezia verificatasi. Magnetico e potente, immersivo ed emozionale, ne approfondiamo la lettura con la ricca intervista che ci ha rilasciato l’artista:

Perché I Cercatori di Luce viene considerata come un’opera premonitrice?
È stata progettata e in parte creata prima del grande buio causato dal Covid. Le riprese erano state realizzate nel 2019 e la mostra doveva inaugurare a marzo del 2020. Erano già pronti gli inviti, il comunicato stampa, le locandine, poi tutto è stato congelato per un anno e mezzo. Successivamente, grazie all’impegno e alla determinazione di Roberto Pomari, direttore del Palacinema di Locarno, tutto si è rimesso in moto ottenendo un risultato che forse non sarebbe stato possibile in precedenza. Negli ultimi quindici mesi infatti credo di aver perfezionato l’opera intervenendo su ogni fotogramma. 

I Cercatori di Luce di Giuliana Cunéaz, veduta dell’installazione su tre schermi

Come si compone cosa ci racconta?
È un racconto nel racconto, un’opera ricca di significati e direzioni che ha tuttavia un filo conduttore preciso, ovvero la determinazione a non rassegnarsi di fronte alle difficoltà, ad avere il coraggio di guardare dritto nelle tenebre del presente per scorgere la possibilità di una nuova visione. È insomma la spinta verso nuovi orizzonti, nuove idee e una rinnovata percezione del mondo. Il lavoro inizia nell’oscurità con una figura di donna quasi primitiva che parla una lingua incomprensibile. Fregando le mani su una pietra, fa scaturire la scintilla che sta cercando. L’opera filmica, di circa 30 minuti, è un grande affresco sul potere rigenerativo della natura, ma anche sulle responsabilità di ogni individuo che con il proprio fare può incidere sul contesto. I Cercatori di Luce presenta tante identità, tanti personaggi, ciascuno differente che insieme collaborano con lo scopo di migliorare e di migliorarsi. Le tematiche che riguardano ecologia ed ecosostenibilità sono molto presenti in tutto il film, così come l’integrazione del diverso, la difesa delle minoranze e l’importanza del lavoro in tutte le sue forme attraverso condivisione e collaborazione.

Temi quale il ritorno alla luce, la natura, la scienza, gli orizzonti di nuovi mondi immaginifici o solo invisibili ai nostri occhi sono il nervo scoperto che stimola l’indagine di chi osserva… Come può “diventare esperienza”?
I Cercatori di Luce è essa stessa un’esperienza in quanto si presenta come opera immersiva su tre grandi schermi al led che si srotolano per 15 metri con un’altezza di tre metri. I due schermi laterali sono inclinati a trapezio in modo da accogliere lo spettatore consentendo una maggior visione del totale. Grandi cuscini in terra invitano alla rilassatezza. È un’opera con paesaggi in 3D interamente creati con la computer grafica e, come sempre accade nella mia ricerca, evocano mondi nanotecnologici che svelano le forme segrete contenute nella materia e ci portano a riflettere sulla precarietà della visione, così come sulla bellezza e l’invisibile. Lo spettatore insomma si trova a vivere una forte esperienza sensoriale ed emozionale tanto da potersi immaginare un suo ruolo all’interno del film.

Giuliana Cunéaz all’inaugurazione di Locarno

Come è stata costruita l’opera? Quali scelte hai attuato e come hai selezionato i “personaggi”? Che ruolo hanno?
L’opera ha richiesto tre anni di lavoro. È nata da un mio progetto che in una prima fase ho elaborato attraverso uno storyboard. A quel punto dovevo trovare i personaggi giusti per interpretare i vari ruoli e una serie di partner tecnici, altrimenti non avrei mai potuto realizzare un opera così ambiziosa e complessa. Devo dire però che quando ho deciso con tutta me stessa che l’avrei realizzato, come in un puzzle gli incastri hanno funzionato alla perfezione. Intanto CISA, Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive, la scuola di cinema di Locarno diretta da Domenico Lucchini ha accettato di entrare come coproduttore, poi NABA di Milano con il dipartimento diretto da Margherita Palli ha collaborato alla realizzazione dei costumi. C’è poi l’Accademia Kataklò fondata e diretta da Giulia Staccioli che ha accettato di partecipare con una quindicina di danzatori tra cui la stessa Giulia che si è prestata ad una performance in scena. Tra i protagonisti c’è la grande Angela Molina (ha lavorato con registi quali Luis Buñuel e Pedro Almodóvar) tra le mie attrici preferite, che volevo fortemente in quanto la considero perfetta per il ruolo che le ho attribuito. Angela ha apprezzato il progetto ed è volata a Locarno non solo per interpretare la parte, ma anche per cantare. Insieme a Bruno Corà, ho poi coinvolto molti attori amici che stimo moltissimo e si sono resi disponibili con straordinarie interpretazioni. Particolarmente fortunata la collaborazione con la grande ex prima ballerina della Scala Aida Accolla che è tornata a danzare per me dopo oltre trent’anni dagli ultimi spettacoli in palcoscenico. Non si può poi dimenticare il coinvolgimento di Aurora Talarico, la modella che proprio nel 2019 aveva aperto la sfilata di Valentino e che nell’opera assume un ruolo importante. Fondamentali sono anche le musiche di Paolo Tofani, celebre protagonista degli Area, coadiuvato dal Sound Designer Sanatana Stefano Fiorio.

Un aspetto che trovo molto importante è che si parla di opera filmica e non di semplice videoarte: che valore ha questo per te? Anche se poi il tuo lavoro somma sempre esperienze, tecniche e linguaggi molto diversi tra loro (danza, teatro, performance, digital art e altro).
Non mi sono mai sentita di appartenere alla videoarte come genere a sé stante. Dopo una serie di esperimenti con il video, già agli inizi degli anni Novanta ho cercato una mia strada dove le riprese sono parte integrante di un’indagine estetica molto più complessa che comprende anche la scultura e l’installazione. Dal 2003 è stata decisiva la scoperta del 3D che mi ha consentito di modellare le immagini creando un mio universo dove la scienza e la nanotecnologia hanno avuto un ruolo determinante. Sino a cinque anni fa venivo guardata con molta diffidenza. Oggi sono felice di constatare che ero sulla strada giusta e che sono in molti ad aver scoperto le potenzialità della computer grafica. I Cercatori di Luce è sicuramente la summa di tutta la mia esperienza artistica e delle mie passioni. Scherzosamente, la chiamo la mia “Cappella Sistina”. Già nel 2004-2005 avevo coniugato il video con immagini in 3D in tre lavori, I Mangiatori di Patate, Zona Franca e Quantum Vacuum quest’ultimo esposto in gennaio al Pushkin di Mosca in un progetto online. I Cercatori di Luce però è stata un’opera molto più elaborata, una grande sfida con risultati che non avevo mai raggiunto in precedenza attraverso l’ibridazione tra riprese filmiche e immagini da me create e modellate. Come hai giustamente sottolineato, in questo lavoro è poi fondamentale la componente performativa.

I Cercatori di Luce, costumi realizzati da Giuliana Cunéaz in collaborazione con Naba

La scultura ha sempre avuto un ruolo importante nell’ambito della tua ricerca ed è proprio un lavoro plastico ad essere entrato di recente nella collezione Quirinale Contemporaneo.
È stato per me un onore entrare in una raccolta che comprende i grandi maestri del secondo Novecento, da Marino Marini a Alberto Burri; da Lucio Fontana a Emilio Vedova. In questo caso è stata scelta dalla curatrice Cristina Mazzantini Lo spirito della rosa, una scultura in resina che applica alla dimensione plastica gli elementi caratteristici delle nanotecnologie creando un insieme imprevedibile dove, come scrive Marco Bazzini nel catalogo edito da Treccani, “la rosa, simbolo per antonomasia della realtà in divenire, integra la sua dimensione vegetale con la struttura architettonica tipica dei cristalli”. Secondo quanto avviene in tutti i miei lavori, m’interessa l’inseguirsi delle forme dal macro alle nano e il loro risvolto misterioso che alimenta il nostro immaginario.

Tornando a I Cercatori di Luce, accanto alla proiezione c’è anche un’omonima mostra, di cosa si compone? Cosa restituisce al visitatore del tuo immaginario e della tua ricerca?
In un progetto curato da Valentino Catricalà, vengono presentati anche i costumi indossati dagli interpreti del film che, come ti dicevo, sono stati da me disegnati e realizzati con la collaborazione di docenti e allieve di NABA. Sono abiti-scultura nati con lo scopo di connotare i diversi personaggi. Angela Molina, per esempio, interpreta il ruolo di una creatura femminile che contempla la dimensione terrestre e quella celeste. Tutto ciò è evocato dall’abito che parte da elementi ispirati ai minerali visti al microscopio per poi assumere un aspetto sempre più impalpabile ed etereo. Aurora Talarico ha il ruolo di una bellissima ninfa intenta a raccogliere nell’acqua fili lucenti e il suo abito è composto da una matassa caotica di fili dorati che si modifica verso l’alto dando vita ad un ordine nanomolecolare. La scena dell’opera filmica è ispirata al bisso marino, la preziosa e rara fibra tessile di origine animale prodotta dalla più grande conchiglia del Mediterraneo. O, ancora, il costume della danzatrice Alice Tagliaferri rappresenta la trasformazione tecnologica e il suo impatto sulla natura; il suo cappello è fatto di rete e di minuscoli punti sferici di connessione. L’abito, molto elaborato, ricorda un fiore di serra o anche un prezioso corallo ma è ispirato ad un’immagine al microscopio elettronico di un seme. In ultimo, Il critico e curatore Bruno Corà interpreta il ruolo del ricercatore. È una figura solitaria che si aggira perlustrando il luogo e raccogliendo da terra oggetti dalle strane forme per studiarli attentamente ed essere ricollocati nello stesso punto nel quale sono stati trovati. Corà indossa un poderoso mantello nero con rilievi in silicone di colore rosa. Le decorazioni sono ispirate da immagini di microrganismi dotati di un interessante polimorfismo, visti al microscopio elettronico. La loro capacità di assumere diverse sembianze testimonia quanto sia straordinaria l’intelligenza e la creatività della natura.

Dalla videoinstallazione I Cercatori di Luce di Giuliana Cunéaz, 2019-2021 (Aurora Talarico con i danzatori di Kataklò)

Che significato ha per te presentare questo lavoro in un contesto come quello di Locarno?
Un significato molto importante. Le riprese erano state realizzate con CISA, mentre la mostra è stata fortemente voluta dal Palacinema, una sede che collabora con il Festival di Locarno ed è all’avanguardia nell’uso delle tecnologie. Credo poi di essere stata un’apripista per avere presentato la mia opera in un luogo ideale che potrebbe diventare un punto di riferimento per lavori d’arte contemporanea particolarmente innovativi e sofisticati. 

Come si lega quest’ultima esperienza alla tua ricerca in generale e quali nuovi o diversi orientamenti di riflessione ti ha aperto?
Questo è un lavoro di svolta. Un lavoro coraggioso in cui ho potuto constatare che l’interazione di tanti linguaggi e collaborazioni funziona molto bene. Continuerò a fare ricerca in questa direzione introducendo anche nuove soluzioni. Nello stesso tempo, proseguirò nella creazione di sculture, videosculture, screen painting (opere che coniugano la pittura su schermo TV alle immagini digitali in 3D con un effetto di immediato impatto visivo), fotografie e dipinti su carta cotone. Desidero poi elaborare installazioni di proporzioni più ridotte che non saranno solo dei modelli, ma vere e proprie micro architetture.

Prossimi progetti? Idee nuove su cui vuoi lavorare o su cui già stai lavorando?
Sto lavorando ad un progetto installativo e interattivo dal titolo Terrae Incognitae. L’installazione prende in esame nove luoghi presenti su antiche mappe ma che risultano oggi inesistenti o chissà, esistiti un tempo e poi scomparsi. In comune hanno il fatto che sono situati ai margini del mondo abitato, oltre le colonne d’Ercole o in quell’Altrove dove continuano ad esistere regni avvolti da un’aura misteriosa. Sono isole o terre leggendarie che hanno spinto grandi viaggiatori dell’antichità ad imbarcarsi in avventurose esplorazioni geografiche nelle quali, talvolta, hanno potuto scoprire altre terre e, al contempo, hanno ispirato storici, poeti e letterati ad intraprendere viaggi fantastici per dar corpo a quei luoghi illusori e incantevoli indicati su antichi cartigli. Sto lavorando inoltre ad una serie di screen painting che coniugano immagini nanotecnologiche rielaborate con antichi affreschi e in ultimo sto iniziando una collaborazione a cui tengo molto con un celebre scienziato specializzato in nanofisica.

I Cercatori di Luce di Giuliana Cunéaz
a cura di Valentino Catricalà
con Angela Molina
protagonisti Aida Accolla, Bruno Corà, Giulia Staccioli, Aurora Talarico
in collaborazione con NABA, Nuova Accademia di Belle Arti, Triennio in Scenografia diretto da Margherita Palli
partnership tecnologica di EMME SA
catalogo italiano-inglese Armando Dadò editore con testi di Valentino Catricalà, Lorenzo Bruni, Chiara Canali, Sabrina Zannier e un’intervista all’artista di Ilaria Bernardi

28 ottobre – 14 novembre 2021

PalaCinema Locarno SA
Piazza Remo Rossi 1, Locarno (Svizzera)

Orari: da lunedì a venerdì 11.00-19.00; sabato e domenica 11.00-22.00
Ingresso libero 

Info: +41 917520767
info@palacinemalocarno.ch
www.palacinemalocarno.ch
www.giulianacuneaz.com

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