TORRE DI MOSTO, LOCALITA BOCCAFOSSA (VE) | Museo del Paesaggio di Torre di Mosto | 28 gennaio – 17 marzo 2018
intervista a CARLO SALA di Lucia Longhi
Come un terreno arato, in cui la terra viene smossa per diventare adatta ad accogliere nuova vita, il progetto Humus Interdisciplinary Residence agisce sul territorio rurale attivando nuovi strumenti per comprendere il presente. Questa piattaforma, nata in Veneto due anni fa, intende far incontrare il sistema dell’arte con le comunità del territorio. Le residenze artistiche si svolgono al Museo del Paesaggio di Torre di Mosto, piccolo borgo nella Provincia di Venezia. Non a caso è stata scelta questa località, remota e immersa nel cuore di quel Veneto ancora legato al rapporto con l’agricoltura e le tradizioni del mondo contadino. Proprio in questo contesto è stata individuata la potenzialità di utilizzare l’arte contemporanea come mezzo per dialogare con le comunità rurali e, soprattutto, con la memoria e il patrimonio culturale del luogo.
Ne abbiamo parlato con il curatore Carlo Sala, in vista dell’inaugurazione della mostra di fine residenza Il tesoro è sempre più grande di quello che hai stretto tra le mani, con lavori di Federica Landi, Victor Leguy, Pedro Vaz e Marco Maria Zanin, fondatore di Humus.
Com’è nata l’idea della residenza Humus Interdisciplinary Residence e quali sono i punti di forza che sono riusciti ad attirare l’attenzione del VeGAL (Agenzia di sviluppo del Veneto Orientale), che ha scelto di finanziare il progetto?
Il progetto Humus è partito nel 2015 su iniziativa dell’artista Marco Maria Zanin che ha coinvolto alcuni operatori, tra cui me e lo psicologo e mediatore di conflitto Michele Romanelli: i vari ambiti da cui provenivamo testimoniavano la volontà di creare un dialogo profondo tra il sistema dell’arte contemporanea e le comunità del territorio in cui viviamo. In particolare, le prime residenze hanno visto gli artisti brasiliani Ivan Grilo e Victor Leguy confrontarsi con una realtà totalmente diversa da San Paolo, la megalopoli in cui operano. Le loro ricerche sono state “messe al servizio” delle comunità rurali della Bassa padovana, per rileggere e problematizzare le identità locali, in una prospettiva che vede nella storia e nella memoria degli strumenti per comprendere il presente.
Tra i vari progetti attivati con Humus c’è il DeMuseo, ideato dall’artista brasiliano Victor Leguy. L’idea è trasformare il museo da ente statico a ente attivo, coinvolgendo gli abitanti dei territori protagonisti della rielaborazione della memoria locale, intento principale della residenza. Potresti illustrarci più approfonditamente di cosa si tratta?
Victor Leguy durante la residenza per Humus ha sviluppato il “DeMuseo” che è un dispositivo, secondo l’accezione di Foucault e Agamben. In Italia siamo ancora molto legati ad una visione tradizionale del museo, inteso come una entità statica votata quasi esclusivamente alla conservazione del suo patrimonio. Il modello che stiamo sviluppando con Leguy (e grazie ai contributi teorici di altri artisti, curatori e intellettuali) vede invece il museo come un “organismo” vivente capace di colmare il gap che generalmente sussiste tra il sistema culturale e la comunità. Inizialmente chiediamo alle persone di donare all’archivio del DeMuseo un oggetto che non presenta peculiarità artistiche, ma solo un’importanza di natura soggettiva: ciò che ha rappresentato per la vita del donante. In questo modo non viene classificato secondo i criteri storici o filologici della museologia ufficiale, ma secondo un valore affettivo. I singoli oggetti entrano poi in relazione tra di loro e con gli interventi degli artisti coinvolti nelle residenze, creando un dispositivo capace di generare una memoria collettiva del territorio proiettata nel presente. È un dialogo polifonico che non conosce gerarchie, mettendo sullo stesso piano oggetti vernacolari e creazioni autoriali. Se dovessi sintetizzare la funzione del DeMuseo potrei fare mie le parole della studiosa inglese Claire Bishop quando auspicava un museo che fosse un «agente attivo, calato nella storia» che «pone domande e articola un dissenso creativo».
A proposito degli artisti, abbiamo nominato Victor Leguy, che è brasiliano. A ben guardare, anche gli altri artisti invitati non provengono dal territorio in cui si è svolta la residenza. Una scelta voluta? Puoi parlarci degli autori e dei lavori che vedremo alla mostra di fine residenza?
Nella società odierna sovraffollata di stimoli e informazioni, capita spesso che lo sguardo e la percezione su un paesaggio vissuto quotidianamente sia assuefatta e incapace di coglierne i segni peculiari e le contraddizioni. Per questo gli artisti che abbiamo invitato sono estranei al territorio indagato, anche se poi la fase di ricerca e studio in loco è stata fondamentale, anche grazie alla cultura orale ricevuta dagli abitanti. Victor Leguy ha proseguito la pratica de DeMuseo, mentre il portoghese Pedro Vaz – usualmente abituato a operare in contesti incontaminati – ha lavorato sul corso del fiume Livenza che si muove dentro un territorio “artificiale” derivante dalle bonifiche. Federica Landi e Marco Maria Zanin sono invece partiti dal patrimonio del locale Museo della Civiltà Contadina: la Landi ha immerso nell’acqua del fiume, poi congelata, alcuni oggetti del museo, “cristallizzandone” a livello simbolico la memoria, ma ponendo un monito: se non è adeguatamente riattivata questa diviene immobile e nascosta. Per questo, con un gesto performativo, ha scolpito il ghiaccio facendo emergere varie forme, poi fotografate. Zanin ha voluto, invece, sottolineare le analogie tra gli strumenti del lavoro rurale ed i manufatti dell’arte primitiva dell’Africa e Oceania rintracciando una sorta di matrice comune inconscia legata alla terra. Per farlo ha creato e documentato della fittizie mostre di arte primitiva di gusto modernista realizzate con gli oggetti del museo.
Questo progetto porta, con coraggio, dei linguaggi contemporanei in un contesto non preposto e non particolarmente attento alle pratiche artistiche contemporanee, attivando alcune dinamiche proprie del sistema dell’arte, incluse quelle economiche. È un progetto che, grazie al tema che indaga, sembra avvicinarsi all’orizzonte culturale dei protagonisti del territorio veneto: quegli imprenditori che spesso mirano alla commistione tra impresa e cultura, ma rimanendo talvolta legati solo alle tradizioni di quest’ultima. Ci si domanda quindi: questo progetto riuscirà a portare un riscontro positivo in termini economici, non soltanto legati al turismo, ma anche al collezionismo (privato, ma anche imprenditoriale)? Potrebbe richiamare l’attenzione di un collezionismo diverso e nuovo?
Come avrai capito per noi pratica artistica e comunità hanno lo stesso valore, non esistono gerarchie. Detto questo, i linguaggi odierni sono uno strumento straordinario per far emergere i caratteri di una determinata area geografica, aggiornandone anche il repertorio visivo. Nella nostra attività ci auspichiamo di coinvolgere il tessuto imprenditoriale perché il progetto ha tra gli obbiettivi primari: quello di creare coesione sociale e mettere a fuoco le potenzialità insite nelle specificità culturali del territorio. In questo è fondamentale anche avvicinare un collezionismo, attento e aggiornato, che possa sostenere gli autori presentati. Più in generale, penso che l’arte contemporanea abbia il grande pregio di abituare chi la fruisce a pensare in modo critico, libero e quindi capace di affrontare i cambiamenti strutturali in atto nella nostra società.
In questa prospettiva allora, quali sono i progetti futuri pensati per Humus? Ci sarà un’altra residenza? Resterete nella stessa zona o vi sposterete in un altro territorio?
Siamo contrari ai progetti culturali “blockbuster” a pacchetto estranei ai luoghi che li hanno ospitati e di carattere episodico, per questo è probabile che le prossime residenze continueranno ad indagare i territori del Veneto Orientale e della Bassa padovana. Più in generale vogliamo applicare i criteri di ricognizione di Humus e del DeMuseo a varie comunità che vogliano aprirsi a nuove forme di rilettura identitaria.
Il tesoro è sempre più grande di quello che hai stretto tra le mani
Federica Landi, Victor Leguy, Pedro Vaz, Marco Maria Zanin
Humus Interdisciplinary Residence
Finanziato da VeGAL (Agenzia di sviluppo del Veneto Orientale)
a cura di Carlo Sala
28 gennaio – 17 marzo 2018
opening 27 gennaio 2018, ore 18.00
Museo del Paesaggio di Torre di Mosto
Torre di Mosto, Località Boccafossa