Collezione Iannaccone
Intervista a GIUSEPPE IANNACCONE di Matteo Galbiati*
In uno dei tanti eleganti palazzi del centro milanese, dove spesso sono più gli uffici che le abitazioni a riempirne le stanze, lo studio legale Avv. Giuseppe Iannaccone e Associati offre una visione differente e imprevedibile. Dietro la porta non vediamo solo il consueto ambiente da studio legale, c’è molto di più: a farla da padrona è la bellezza e la ricchezza (nel senso di varietà) di una collezione d’arte contemporanea davvero sorprendente. Tra grandi nomi e nuove scoperte, si legge tutta la forza e il senso di una ricercata consapevolezza che ha guidato le scelte dell’avvocato Giuseppe Iannaccone il cui animo incarna lo spirito dell’antico mecenatismo e adombra la leggerezza e inconsapevolezza di molto del collezionismo contemporaneo. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’apertura della mostra in studio del giovane Davide Monaldi. Sabato 9 aprile, in occasione di miart – Fiera Internazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Milano – l’avvocato Giuseppe Iannaccone apre per la seconda volta le porte del suo studio per un evento speciale: il giovane artista Luca De Leva interagisce con lo spazio/studio e con la collezione di grande maestri.
Cavalli e madonne. Sentimentalmente ispirato a Arnaldo Badodi è il nome del progetto di De Leva, che fa parte di In pratica, un ciclo di mostre private all’interno della Collezione Iannaccone a cura di Rischa Paterlini…
Davanti ad una collezione così grande e ricca di numerosi capolavori la prima cosa che voglio chiederle è quando tutto ha avuto inizio.
Verso la fine degli anni ’80, quando ormai la mia professione di avvocato mi aveva dato una certa sicurezza e stabilità e, sistemata la famiglia e assolti i doveri di padre (lo dice sorridendo n.d.r.), ho potuto coltivare l’interesse per l’arte. Il mio lavoro mi ha concesso la fortuna di potermi dedicare, con libertà e serenità, a questa mia grande passione.
Credo lei non sia il solito collezionista di oggi… Se posso, la definirei più che altro un mecenate. Cos’è il collezionista per lei?
È un complimento che accolgo con favore. Credo che un vero collezionista debba avere l’ambizione di seguire, intuire e persino precorrere la storia. Ho sempre creduto di cercare quello che sarebbe poi stato il futuro dell’arte e non per il suo valore intrinseco ma per la sua importanza nel tempo e nella storia. Oggi è stravolta la figura di chi colleziona, si fa molta speculazione, inseguendo le cifre e i valori, senza badare alla sostanza dell’arte. Si comprano opere come fossero titoli di borsa, una posizione che non condivido assolutamente. I miei principi si muovono in altre direzioni.
Cosa insegue il suo sguardo di “sognatore”?
Insegue il grande capolavoro, lo cerco di ogni artista, anche se non sempre è possibile conquistarlo. Avrei potuto negli anni “fare degli investimenti” ma non l’ho fatto perché non è questo l’obiettivo che ho rispetto all’arte. Un collezionista deve cercare quello che soddisfa i suoi bisogni che, nel mio caso, si traduce in un’esigenza di “umanità”; deve soddisfare le necessità dell’anima, guardando alle diverse poetiche artistiche, deve essere guidato verso quello che sente dentro e che, con un istinto incontrollabile, coglie in un’arte che sa che resta per sempre. Per esempio ho acquisito la Wangechi Mutu prima che fosse celebrata da critica e mercato, sentivo che rappresentava l’espressione di qualcosa di nuovo nel preciso ambito della sua ricerca. Son contento di essere arrivato prima.
La collezione ha due anime una moderna e una contemporanea. Come coesistono?
La parte dedicata agli anni ’20 e ’30 rappresenta una mia indiscussa passione per quel periodo, la vivo quotidianamente a casa mia, ho scelto per affinità gli “espressionisti” italiani. Mi ha molto impegnato cercare il meglio tra quanto già avvenuto. Devi sempre inseguire, cercare. Con il contemporaneo, che tengo in studio, osservi le cose ancora nel loro divenire, scopri le nuove opere, lavori sul presente pensando al futuro. Serve intuizione, passione e conoscenza della storia dell’arte: solo grazie allo studio del passato puoi apprezzare e riconoscere veramente il nuovo.
Si commettono errori?
Moltissimi, e il tempo ti rende consapevole delle scelte. Oggi non comprerei certe opere e, al contempo, sono felicissimo di averne prese altre; ad esempio mi sono accostato alla YAB (Young British Art n.d.r.) quando Tracey Emin, Marc Quinn o Chantal Joffe erano solo giovani emergenti.
Gli anni ti concedono comunque soddisfazioni, soprattutto quando vedi che i giovani, nei quali hai tenacemente creduto, ricevono il meritato riconoscimento, non per la rivalutazione economica dell’opera ma per la felicità di aver raggiunto un traguardo nel quale si era molto sperato.
Come legge il dato di “umanità” in artisti che spesso sono tanto differenti?
Ho artisti in collezione da tutto il mondo e tutti hanno il comune tratto di interessarsi alla fragilità dell’esistenza, all’aspetto positivo e negativo dell’uomo e del suo vivere. Credo di avere un radar istintivo verso questo desiderio di misurarsi con l’umanità, lo comprendo sempre subito e, a posteriori, scopro le analogie tra ricerche diverse. È questo che guida le mie scelte.
In questo senso so che ha un motto preciso?
Mi piace dire che è molto meglio inseguire la grande opera di un artista minore, che un’opera minore di un grande artista. Ribadisco di volere il grande capolavoro di ogni artista; cerco di farlo, non sempre è possibile. A volte il solo “nome” non esaurisce il senso di una ricerca.
Però la collezione, per come la intende, diventa anche un gravoso impegno e non solo una semplice passione…
Esattamente. Tocchi un punto fondamentale per me, non basta comprare quadri e accumularli: bisogna schedarli, studiarli, ricostruire la loro storia, avere le autentiche. Il collezionista ha il dovere di mettere ordine, di dare senso e coerenza alle cose, soprattutto se quello che raccoglie rientra nell’alveo di scelte precise, determinate e fuori dalle frivolezze delle mode.
Ho il sentore di un rammarico…
Il tempo. Purtroppo – o per fortuna – la mia professione di avvocato m’impegna moltissimo, quindi ho dovuto rendere concentrato e intenso il tempo per la collezione. Spesso ho studiato, letto libri, raccolto documentazione passando intere notti sveglio ma la soddisfazione e il piacere superano di certo le fatiche.
La sua collezione ha conquistato lo spazio del suo studio, un luogo insolito per una raccolta che si preferirebbe, magari, tenere in casa o nei magazzini.
Io voglio viverla quotidianamente, a casa ne ho una parte, qui un’altra. Data l’impossibilità di vederla tutta assieme facciamo “ruotare” i pezzi, così non si vede mai un allestimento unico e la sua identità muta. Lo studio ha iniziato ad accogliere un quadro dopo l’altro ed ora è completamente contaminato!
Come hanno reagito i suoi collaboratori?
Son sincero, all’inizio sono stati passivi, hanno subito la mia scelta. Erano scettici, dubbiosi, circospetti, ma hanno accettato. Ora sono conquistati, si interessano, chiedono e lo stesso vale per i clienti. L’arte alimenta un clima diverso.
Nello studio – penso alla mostra di Monaldi – presenta anche i giovani artisti…
Aiutare e sostenere un giovane, per me, resta fondamentale. Ci sono molti talenti che hanno bisogno di un aiuto, di essere sostenuti e indirizzati. Il collezionista deve aprirsi anche a questo, deve guardare al nuovo e prevederlo, conservando sempre – come dicevo prima – la sua identità di vedute.
Qui siamo avvocati, questo resta un luogo di lavoro, ma penso che, una realtà come la nostra, debba aprirsi ad eventi pubblici, è un sacrificio e un impegno che va fatto. La scorsa primavera, per MiArt, abbiamo aperto la collezione al pubblico: mi sento fortunatissimo nel potermi permettere questa splendida raccolta ma voglio che sia “restituita” anche agli altri. Lo dovevo anche alla mia città, a Milano!
Ha realizzato molti dei suoi sogni, so che proprio in merito alla sua città ne ha uno da realizzare…
Sì, ne ho uno. Terrei molto che ci fosse un riconoscimento pubblico per la raccolta degli Anni ’20 e ’30. Ora che ha un corpus così consistente sarebbe bello se si potesse presentarla ufficialmente e una realtà pubblica la volesse esporre. Ho pubblicato anche il catalogo della collezione (edizioni Skira). È una raccolta che racconta molto della storia del nostro Paese tra le due guerre, con visioni particolari: ci sono solo espressionisti – una scelta mirata – che parlano di quegli anni difficili; ci sono le donne artiste che raccontano della loro emancipazione, dopo essere state soffocate e represse per secoli. Ci credo molto, vorrei che potessero capirne i contenuti e le eccezionalità anche gli altri, non chiedo nulla, non deve essere un’autocelebrazione ma una condivisione sui contenuti che, se sarà, deve partire da una proposta delle Autorità Pubbliche.
Cosa lascia agli altri il collezionista oltre l’insieme delle sue opere?
Per me il vero collezionista deve sempre lasciare una visione.
*Intervista tratta da Espoarte #91
Collezione Iannaccone
Corso Matteotti 11, Milano
Visite su appuntamento
Info: +39 027642031
www.collezionegiuseppeiannaccone.it
Evento in corso:
In pratica: Davide Monaldi
Fino al 30 aprile 2016
Appuntamento:
Luca De Leva. Cavalli e madonne. Sentimentalmente ispirato a Arnaldo Badodi
In occasione di miart
Sabato 9 aprile 2016 ore 10.00 – 18.00 (con invito e prenotazione)
Orario: solo su appuntamento (piccolo gruppo di persone)
Prenotazione obbligatoria: info@collezionegiuseppeiannaccone.it