MILANO | Francesca Minini | 17 settembre – 14 novembre 2015
Giulio Frigo, classe 1984, (nato ad Arzignano in provincia di Vicenza), torna con una mostra personale da Francesca Minini, sua galleria di riferimento in Italia. È l’artista stesso a parlare del suo ultimo progetto, 360 780 nm:
«Affiorano sempre sulla soglia di una superficie. Le immagini sono una cosa superficiale. Di quale superficie sto parlando? Di quella fluida del colore, ineffabile, effimera e meravigliosa. Gli scienziati dicono stia pressapoco tra due cifre, impassibili e imperturbabili come le colonne d’Ercole del visibile. Dove si collocano allora le immagini pensate? E quelle dei sogni o dei ricordi? Il discorso comincia a farsi oscuro e se non si fosse ancora capito, sto facendo due o tre riflessioni sulla pittura e sul colore che poi, se uno ci pensa, è solo un altro modo per parlare di luce e presenza.
Sul finire degli anni 60, Robert Irwin trascorse sei ore in una camera anecoica, completamente isolato dalla percezione esterna, disse che il mondo appariva uguale eppure completamente diverso. Il colore sembrava irradiarsi degli oggetti, investendo tutto come un flusso di energia. Come a dire, l’immagine accade, il colore è un evento. La pittura è performance. Ecco che la mostra indaga la pittura in quanto performance. Dipinti figurativi, attenti alla tecnica, ai materiali e ad altre problematiche tradizionali, vengono attivati da una luce astratta, modulata. O più semplicemente pensata. Una luce capace di stimolare ulteriori livelli di senso. Le immagini non se ne stanno semplicemente su una parete né soltanto nella nostra testa. Esse non esistono di per se stesse, ma accadono. Sia che si tratti di una forma in movimento che di un dipinto, questa trasmissione avviene sempre nel tempo, attraverso la percezione. Se le immagini che la pittura ci consegna non sono statiche ma eventi dinamici, colorati appunto, per comprendere a fondo la questione bisogna esplorare il modo in cui avviene questa trasmissione, estendere il gesto pittorico fino a questo spazio, indagare quel luogo tra occhio e sole, tra soggetto e oggetto, tra fisico e mentale. Questa terra di mezzo è compresa in una parentesi di frequenze luminose, nell’arco di una parentesi temporale, come in una liturgia. Un evento più che una cosa, trasmesso dalle e nella luce. Un filosofo definì in passato il campo del pittorico in modo magistrale nella sua essenzialità. Pressappoco diceva che l’elemento sensibile entro cui la pittura si muove è la superficie, mentre il modo in cui essa prende forma è la particolarizzazione dei colori. La parvenza, il suo regno. Questa definizione però dà per assodato che il colore della pasta pittorica, una volta stesa su di un supporto, sia stabile, immobile, impassibile alle condizioni di luce in cui accade. Ma questo non è quasi mai il caso, perché quando si parla di colori non si può che finire a parlare di luce, intesa come principio di ogni colore possibile. E qui la questione si fa più problematica e sottile.
Il colore non è un soggetto facile di cui parlare. Il colore oggettivo non esiste, è sempre un pensato, mai un visto. Il linguaggio ha da sempre abdicato nel tentativo di nominarlo. O meglio, ci ha provato in mille modi, almeno tanti quanti i nomi con cui ha tentato di etichettarlo e, così facendo, ha finito per romperlo in mille pezzi, imprigionandolo. I colori non esistono. Il colore è meglio guardarlo direttamente. Prestarci attenzione implica prestare attenzione ai limiti del linguaggio sconfinando nella contemplazione. Plotino ha detto bene, il colore è privo di parti, un continuum fluido che si irradia, si riflette, si espande, cangia, affiora, si mescola ma non si frammenta. È impossibile dire dove finisce un blu e dove comincia un viola. Per cercare di acchiapparlo hanno pure tentato di assoggettarlo alla disciplina geometrica, di farcelo stare dentro a un cerchio, a un cubo, a una curva. Il colore è diventato colori. E come se non bastasse, è stato pensato come una proprietà secondaria delle cose, a loro volta composte di elementi più piccoli (magari di altri colori) e così all’infinito. Ma qui ci si perde in sfumature. In realtà il colore non cela il mondo oggettivo, bensì lo dischiude, lo trasforma in fenomeno. Come disse Merleau Ponty, esso è l’introduzione alla cosa. Ma forse questa consapevolezza l’ha espressa meglio proprio un pittore, Paul Cézanne, quando lo definì come quel luogo in cui l’universo e l’uomo si incontrano. Ho parlato abbastanza. BUONA VISIONE».
Giulio Frigo. 360 780 nm
17 settembre – 14 novembre 2015
Francesca Minini
Via Massimiano 25, Milano
Info: +39 02 269 246 71
info@francescaminini.it
contact@francescaminini.it
anna@francescaminini.it
www.francescaminini.it