EDITORIA | Giù i monumenti? Una questione aperta | Einaudi
Intervista a LISA PAROLA di Elena Inchingolo
«L’arte non è uno specchio (in) cui riflettere il mondo, ma un martello con cui scolpirlo».
Vladimir Majakovskij
Giù i monumenti? Una questione aperta è il titolo della riflessione critica, puntuale e appassionata, che la storica dell’arte Lisa Parola ha formalizzato in un saggio, recentemente pubblicato da Einaudi. Si tratta di un’analisi stimolante sul ruolo che i monumenti ricoprono nella narrazione pubblica della storia: l’autrice invita, così, ciascun lettore ad esercitare uno sguardo interpretativo sul passato e sul presente, in prospettiva futura.
Tradizionalmente le statue realizzate per la monumentalistica pubblica sono il simbolo visibile del processo di ricostruzione del passato, dei suoi eroi e miti, operato dal potere politico per affermarsi. Si può sostenere che la statua dedicata a un individuo o ad un evento sia sempre stata considerata il punto più alto della glorificazione civile, con un valore esemplare, anche e soprattutto grazie al basamento che la pone in posizione di rilievo rispetto al contesto spaziale e all’osservatore.
Come afferma Lisa Parola, tuttavia, «il piedistallo riesce a elevare solo un fatto o un accadimento, è sempre troppo stretto per accogliere la pluralità e le posizioni che attraversano la scena urbana. […] Ma se intendiamo la storia come un processo in continuo divenire quell’unico fatto può ampliarsi, modificarsi, rovesciarsi. […] Il monumento viene posato a memoria (dal latino monumentum, “ricordo”, da monère, “ricordare”, ndr) di un evento passato anche se il suo tempo è sempre un presente che deve parlare al futuro. […] Potremmo pensare il monumento, e lo spazio che lo circonda, come una macchina visiva complessa nella quale si condensano ambiti e tempi differenti».
Tali considerazioni inducono a guardare ai monumenti con visioni inedite che non prevedano necessariamente di scegliere su come intervenire sui simboli della storia passata – «mantenimento», «rimozione» o «riposizionamento» degli stessi – quanto piuttosto sollecitino ad interessarsi «al processo, che porta alla capacità di interrogare quei simboli per tornare a ragionare collettivamente, che si parli delle narrazioni egemoniche occidentali o del ruolo della memoria pubblica».
L’arte nel tempo ha svelato più interpretazioni del monumento in contesti storico-politici e socio-culturali decisamente diversi; Lisa Parola ne ha scelti alcuni, nella sua indagine, come gli anni della Rivoluzione francese, la decomunistizzazione dell’Europa dell’Est, con particolare riferimento all’Ucraina, gli Stati Uniti del Sud di oggi, le espressioni dell’arte moderna e contemporanea, evidenziando una dimensione complessa e confusa da analizzare. Si tratta di una cornice fluida che esalta la fragilità delle statue perché la storia che esse rappresentano non corrisponde più al nostro presente.
L’arte contemporanea, tuttavia, ha decodificato e restituito alla collettività monumenti e basamenti. Un esempio che potrebbe diventare un modello di riflessione interdisciplinare e continua è il Fourth Plinth Project di Trafalgar Square a Londra. Dal 1841, anno della sua costruzione, per 150 anni il basamento collocato nella piazza è rimasto vuoto, in attesa di ospitare una statua equestre del re Guglielmo IV. Dal 1998 a oggi il plinto orfano di monumento è stato completato con sculture di artisti contemporanei che hanno investito lo spazio circostante di nuovi significati, ponendo inediti interrogativi sulla storia.
«Rovesciando l’idea di eternità insita nel monumento, la temporaneità del quarto plinto è forse uno degli aspetti più interessanti con il quale si devono misurare gli artisti invitati. Un altro aspetto non secondario è l’intervento diretto dei cittadini che possono partecipare al dibattito che ogni opera solleva. […] Leggere e interpretare i monumenti oggi significa soprattutto attivare pratiche di ri-significazione», sostiene Lisa Parola.
A tal proposito, nel testo, l’autrice menziona l’opera che l’artista Cosimo Veneziano iniziò nel 2010, Questo è dunque un monumento? nell’ambito del progetto d’arte pubblica SITUA.TO curato dal collettivo a.titolo, di cui la stessa Parola è socia e fondatrice. Nel 2012 Veneziano ha collocato, in una zona periferica di Torino, quattro lastre di acciaio cor-ten su una fontana preesistente, realizzata nel 2000 a sostituire uno dei padiglioni della fabbrica torinese Superga. L’artista ha indagato i documenti d’archivio dell’azienda e ha dedicato il monumento alle operaie che costituivano la maggioranza della forza lavoro dello stabilimento, rappresentando con la sua opera i quattro gesti che ciascuna operaia ripeteva durante la giornata lavorativa. «Cosimo Veneziano riunisce tracce di storia e spunti di riflessione in merito alla difficile relazione tra i generi e le generazioni, tra la memoria e la sua rappresentazione nello spazio pubblico» – scrive Lisa Parola, che sottolinea anche la necessità di indagare il significato del monumento a partire dal basamento, che tradizionalmente ne conferisce autorità.
Eliminando il piedistallo o modificandone il senso, i monumenti diventano oggetti, «dispositivi per ripensare collettivamente la storia, lo spazio pubblico e l’agire collettivo».
Tra gli artisti contemporanei che l’autrice cita nel suo saggio c’è anche Irene Pittatore, che con l’opera Basamento pubblico, nel 2013, elabora una performance dedicata proprio al piedistallo del monumento. L’azione dell’artista consiste nel lasciarsi calare dall’alto su un basamento vuoto per restare immobile per qualche minuto in attesa. Si tratta di un invito a reinterpretare l’idea del basamento riflettendo sull’assenza della figura della donna nella storia pubblica italiana. L’intento è di sollecitare al dibattito per far emergere storie e biografie di genere escluse.
Lisa Parola si riferisce, anche, ad un altro lavoro esemplare di rilettura dell’idea di monumento, l’opera Fragmentos, realizzata dall’artista colombiana Doris Salcedo nel 2017. In seguito alla richiesta dell’ex presidente colombiano Juan Manuel Santos di progettare un monumento a Bogotà che commemorasse la pace, nell’ambito delle politiche nazionali di post-conflitto, Salcedo raccoglie parte delle armi deposte dalle Farc – le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia– le fa fondere e poi forgiare da donne che avevano subito violenza durante la guerra. L’esito è un insieme di grandi piastrelle, installate a formare il pavimento del nuovo spazio per esposizioni temporanee annesso al Museo Nacional de Colombia. L’opera è concepita come un luogo di incontro non gerarchico per ricordare l’eredità della guerra attraverso una polifonia di voci, un monumento con basamento a grado zero (cfr. https://www.youtube.com/watch?v=d7rAb2O0JV8).
Oggi, quindi, il senso del monumento è una questione aperta, come Lisa Parola esplicita chiaramente nel sottotitolo del suo scritto. Proprio all’autrice rivolgiamo alcune domande per meglio comprendere le sue indagini sul tema e le possibilità di sviluppo future.
Qual è stata la scintilla che ha dato origine alla tua ricerca dedicata alla riflessione sul monumento?
Sicuramente, dopo aver lavorato sul significato dell’arte nello spazio pubblico ho sentito la necessità di voltare lo sguardo a ciò che era l’arte pubblica di un passato più o meno recente, interrogandomi sul senso di monumenti conosciuti che abitavano il contesto urbano attorno a me. Seguendo questo interesse ho avuto modo di apprezzare l’incipit del film di Charlie Chaplin, Le luci della città (City Lights) del 1931, che suggerisce molti spunti interpretativi sullo svelamento del monumento e sull’idea di “inciampo visivo”: la storia inizia con l’inaugurazione di un monumento dedicato alla pace e alla prosperità su cui dorme un vagabondo. Fin da subito si comprende il tono di una favola moderna, divertente e sarcastica che sfida le rigidità delle istituzioni e della società in generale. Così ho preso coscienza del fatto che le ricerche di alcuni artisti, con cui mi confrontavo, avevano in nuce risposte interessanti al mio studio sul monumento perché riflettevano su forme della storia che erano lineari e apparentemente eterne, decostruendole o re-immaginandole.
Sicuramente il primo evento che mi ha aiutato anche nella metodologia di presentazione di questo volume di ricerca è stata una giornata di dibattito, organizzata con l’artista Cosimo Veneziano circa dieci anni fa. In quest’occasione Cosimo presentava l’opera dedicata alle operaie della fabbrica Superga di Torino, Questo è dunque un monumento? e io mi cimentavo con la prima bozza d’indagine, piuttosto approfondita, sul tema del monumento, come viene definito e interpretato e cosa significa patrimonio oggi.
Successivamente quando sono stata a Kiev, in Ucraina, nel 2017 e in seguito, c’è stata una svolta nella ricerca, perché là effettivamente ho visto dal vero l’istituzionalizzazione della rimozione del monumento, durante il processo di decomunistizzazione. Ho, inoltre, avuto modo di ascoltare gli artisti ucraini (magari di madre ucraina e padre russo o viceversa) su quanto biograficamente tale rimozione potesse incidere sulle proprie identità.
Qualche tempo dopo ho ulteriormente sviluppato la mia indagine grazie al viaggio a New Orleans, dove, in una geografia diversissima, ho sentito artiste donne raccontare una complessità di pensieri, emozioni e relazioni molto simile. Nello specifico mi hanno raccontato che le statue dei Confederati dovevano essere rimosse perché erano il simbolo di una cultura machista, razzista e retrograda in cui le loro nonne avrebbero potuto subire violenza da un uomo bianco senza alcuna remora.
Ecco, queste sono state le tre scintille che, negli ultimi dieci anni, hanno acceso il mio interesse per una riflessione sul senso del monumento oggi.
Quali sono le tre parole chiave che potrebbero invitare alla lettura di Giù i monumenti?
Direi “rovescio”. Perché l’atto di guardare il rovescio dei monumenti è per me diventato un’ossessione che continua ad accompagnarmi quotidianamente, sia in senso immateriale e culturale, facendomi interrogare su cosa quel determinato monumento non ha detto o non riesce a dire, sia in senso materiale e visivo, per cui sono stimolata a notare dettagli che altrimenti non avrei saputo cogliere. Seguendo la parola “rovescio” spesso mi diverto a capovolgere il monumento e a dargli, a livello immaginativo, un’altra posizione; si tratta di un vero e proprio turn the monument, per conferirgli meno autorevolezza.
Altro termine significativo è per me “complessità”, in quanto viviamo in un momento difficile e piuttosto stratificato, in cui l’idea di storia lineare è diventata obsoleta ed è necessario acquisirne consapevolezza.
Terza parola chiave è “formazione”. Ho pensato a questo scritto proprio come ad uno strumento di formazione dialettica, ideologica, critica, non solo per gli addetti ai lavori, che spero possano fruirne, ma soprattutto per gli studenti che, nel leggerlo, possano attivare un processo civico di senso.
Ritieni che il monumento sia non solo un’opera d’arte ma soprattutto un «dispositivo comunicativo». Qual è quindi, secondo te, il “futuro” del monumento?
Premettendo di aver volutamente tralasciato la funzione architettonica del monumento, ho ragionato, invece, sulla statuaria urbana su piedistallo, che nella maggior parte dei casi prevede la rappresentazione di un uomo bianco, con o senza cavallo, con lo sguardo fiero rivolto verso l’orizzonte e che, se inginocchiato, trasmette comunque un’autorevolezza paterna. Quindi, questo tipo di monumento potrebbe in futuro riprendere decisamente il suo spazio pubblico oppure potrebbe scomparire, in base alle forze politiche che si avvicenderanno e alle aree geografiche di riferimento. Il fatto inequivocabile, però, è che abitare la complessità dei nostri tempi comporta l’affermarsi di pluralità di generi e generazioni che non hanno più i valori culturali del passato; pertanto, ritengo che la forma estetica e visuale del monumento sia superata.
Stai già pensando ad una ipotetica continuazione di Giù i monumenti?
Assolutamente sì. Un desiderio che vorrei esaudire, prima o poi, è l’idea di organizzare una Biennale dedicata ai monumenti in modo che ognuno di essi possa trovare un proprio interlocutore contemporaneo, magari in ambito scientifico, politico o estetico-filosofico.
In concreto, a Torino, tra ottobre e novembre attiverò una serie di workshop nelle scuole per promuovere una formazione attiva sul concetto di monumento.
Direi, poi, che, anziché un secondo volume del libro, vorrei produrre un documentario che possa ripercorrere la geografia che ho seguito nel testo, dando, questa volta, piena voce agli artisti che, per il libro, sono stata costretta a selezionare. Rispetto a questo progetto sono in attesa di risposte!
In conclusione, richiamiamo le parole del filosofo e critico letterario Walter Benjamin quando sostiene che sia il critico della cultura a volgere lo sguardo sconvolto – rappresentato nel dipinto Angelus Novus (1921) di Paul Klee – sui frammenti del quotidiano per farne “immagini dialettiche”, volte a rivelare i processi costitutivi ad essi sottesi, i valori allegorici e le opportunità nascoste. Allo stesso modo Lisa Parola guarda alla storia passata e presente e apre la strada a un dibattito critico, d’“immagini dialettiche”, che si interrogano non solo sul senso del monumento, ma sulla monumentalità che viene rappresentata, non tanto «‘per portare giù’ il monumento, ma la monumentocrazia, la statua sul piedistallo come esercizio della forza e del potere» di pochi.
«C’è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera».
Walter Benjamin, 1940
Giù i monumenti? Una questione aperta
Lisa Parola
Einaudi
Collana: Vele
pp. 144
€ 12,00