MILANO | Galleria Il Milione | 6 febbraio – 27 marzo 2020
Intervista a CLAUDIO CERRITELLI di Matteo Galbiati
Segni come archetipi della rappresentazione e delle forme, impronte cromatiche disperse nel non finito della tela, memorie e persistenza di una logica e appassionata riflessione che, nella coerenza analitica, contraddistinguono il percorso e la ricerca di Giorgio Griffa (1936) che, con tenacia, ha sempre rivendicato il suo ruolo di pittore e la sua volontà concentrata nel dipingere e non nel raffigurare. La Galleria Il Milione di Milano presenta Pittura indeterminabile, un’antologica dedicata all’artista piemontese che riunisce una selezione attenta di opere dagli anni ’70 a oggi.
Dopo averla visitata in occasione dell’inaugurazione, per questo tour a distanza della mostra, abbiamo conversato con Claudio Cerritelli autore del saggio critico scritto per questa esposizione (nel numero 202 della famosa collana di bollettini che accompagnato dalla sua apertura le mostre della storica galleria milanese), scopriamo con lui le caratteristiche della pittura di Griffa:
Questa mostra vuole riassumere il percorso di ricerca di Griffa dagli anni ’70: come si legge la sua visione nel corso del tempo? Come evolve? Quali opere avete scelte?
Sì, per quanto limitata questa mostra ripercorre le fasi salienti della ricerca di Griffa dagli anni Settanta in poi. Certo, tutto è concentrato in un gruppo di opere che non può competere con le grandi ambientazioni che Griffa ha realizzato in spazi prevalentemente pubblici, là dove ha potuto dialogare con realtà ambientali di grande suggestione. Tuttavia le caratteristiche della sua ricerca sono documentate in modo che il pubblico possa verificare i diversi passaggi: la prima fase cosiddetta analitica, in seguito l’accentuazione del colore con dinamiche scritturali che amplificano la dimensione narrativa anche in senso ritmico musicale, con rilettura dei termini di decorazione e arabesco come specifiche forme di organizzazione spaziale. Infine, il rapporto tra gesto pittorico e infinita possibilità di comunicare lo stesso processo con un numero ripetibile di segni che estendono l’identità dell’immagine attraverso il divenire della conoscenza possibile, sempre sospesa sul filo dell’ignoto.
Quali sono i suoi cambiamenti significativi in una ricerca coerente e, solo apparentemente, sempre uguale a se stessa?
All’interno dell’oscillazione tra componente analitica e tensione immaginativa Griffa ha operato con minimi spostamenti di senso, ha fissato alcune regole preliminari e si è dato la libertà di occupare lo spazio organizzando differenti avventure del segno, con andamenti paralleli, obliqui, slittanti, dislocati e disseminati secondo rapporti mai riducibili a uno schema fisso. Dunque si può parlare di una coerenza diversificata, in quanto l’immagine non riproduce qualcosa di esterno ma rende visibile l’indeterminato generarsi di un fenomeno interno al proprio modo di esplorare l’invisibile, la parte ignota, lasciando aperte molteplici vie di accesso alla comprensione di un significato che non è e non può essere codificabile.
Inscritto all’ambito della “Pittura Analitica”, in cosa è analitico il pensiero e il rapporto di Griffa con la pittura?
Nel caso di Griffa il peso analitico non è un punto di arrivo ma un dato costitutivo del suo modo di organizzare il rapporto tra lo spazio della tela e la sequenza dei segni che ne occupa progressivamente la superficie. Analitico è il tempo di esecuzione ma immaginativo è lo spazio che si viene a determinare attraverso il rapporto tra la scrittura segnica e il vuoto. Analitico è all’origine l’uso della tela senza telaio, la dimensione elementare degli strumenti pittorici ma direi che tutto è poi spostato verso l’aspetto poetico delle tracce che creano una specie di vertigine spaziale. Direi che il carattere analitico non è mai stato per Griffa il problema centrale della sua ricerca, quanto il tramite iniziale per immaginare quando che va oltre la sequenza dei segni.
Griffa pensa all’artista come ad un “operaio della pittura”, come si può spiegare questa sua interpretazione?
Porsi al servizio della pittura è sempre stata una posizione che Griffa ha considerato necessaria al suo modo di intendere l’arte. Se ci pensi bene, già in un testo del 1973 il nostro artista dichiara che la sua operazione non riguarda l’indagine sulla pittura in quanto questo concetto indica un atteggiamento attivo e critico, questione del tutto estranea alle sue intenzioni che sono mirate alla semplice esperienza dell’esecutore. Il che vuol dire che Griffa esige da se stesso la massima concentrazione su ogni singolo segno che si ripeterà fino a quando sarà possibile tener fede a questo stato di profonda immersione nell’atto del dipingere. Nel corso del tempo mi sembra che Griffa sia riuscito a vivificare questa regola, e anche oggi che parla di mettersi al servizio dell’intelligenza della materia intende sottrarsi alla mitologia dell’artista come demiurgo, per disporsi nei confronti dello spettatore come tramite di un’operazione collettiva.
Rispetto al suo codice espressivo si parla spesso di “energia” e di “libertà”, come si identificano in lui, nei modi del suo fare e nelle sue opere queste significative definizioni?
Energia e libertà sono per l’appunto condizioni di trasformazione conoscitiva ed emotiva della materia non riconducibile alla presunzione di volerla sottomettere. Griffa lo dice con chiarezza nel dialogo pubblicato nel catalogo della mostra quando sottolinea la sua necessità di “essere uno strumento il più consapevole possibile che deve affidarsi alla maggiore capacità di essere lucido, che significa anche lasciare aperte le porte del caso, dell’evento, della fantasia.
Nel tuo saggio critico scrivi, in un passo già ripreso ed evidenziato anche nella comunicazione della mostra, che “Griffa ha compreso fin dall’inizio l’impossibilità di rappresentare un mondo ideale compiuto, mentre era possibile “la pittura di un mondo che si realizza man mano che si fa”: come può la pittura documentare questo continuo divenire?
Dell’impossibilità di rappresentare un mondo compiuto tutta l’arte contemporanea, a partire dalle avanguardie, se ne è fatta carico. Anche l’idea di pittura come evento che si rivela nel suo farsi è questione che le esperienze astratto-informali hanno a lungo frequentato, e anche le energie dell’espressionismo-astratto e dell’action-painting ne sono testimonianza evidente. Il fatto che Griffa, proprio perché “analitico anomalo”, abbia saputo servirsi di questa metafora operativa per garantire al suo linguaggio quella scioltezza che lo ha spinto sempre avanti, mi sembra significativo.
In cosa rimane “indeterminabile” la sua pittura? In ultima analisi, cosa identifica la poesia pittorica di Giorgio Griffa?
La nozione di “indeterminabile” è stato da me scelta per indicare un clima di ricerca che emerge costantemente nella poetica di Griffa, vale a dire: indeterminatezza, indeterminazione, indeterminabilità, indefinibile processo conoscitivo del fare pittura come esperienza di libertà mentale commisurata volta per volta alle diverse avventure del segno e del colore sulla tela, a sua volta libera dal telaio e dal vincolo di dover essere “quadro”.
Giorgio Griffa. Pittura indeterminabile
con testo di Claudio Cerritelli
catalogo Bollettino n°202 de Il Milione
6 febbraio – 27 marzo 2020
Galleria Il Milione
Via Maroncelli 7, Milano
Nel rispetto del decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020 in merito all’emergenza Coronavirus (Covid-19) la galleria rimarrà chiusa fino a diversa comunicazione.
Info: +39 02 29063272
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