NAPOLI | Galleria Lia Rumma | Fino al 16 gennaio 2016
di BEATRICE SALVATORE
I lavori di Gilberto Zorio – da Lia Rumma a Napoli – sono presentati come una sorta di unico flusso installativo e appaiono quasi come un “cosmo tecnologico”, dominato dalla materia in continua trasformazione. Zorio è uno dei maggiori protagonisti dell’Arte Povera, corrente esplosa negli anni ’70, che ha indagato il legame sospeso su un filo sottile, tra elementi della Natura e interventi provenienti dal mondo del Lògos e in questa ultima esposizione presenta una sorta di excursus che riassume tutti gli elementi e la complessità legati al suo lavoro. Opere recentissime (del 2015) convivono accanto a quelle da Zorio stesso definite “antiche” (lavori del 1968 o degli anni ’70) come se avessero attraversato stanze e tempo raccogliendo su di sé energia e memoria per arrivare, cariche fino a noi e domandarci qualcosa. La domanda sembra essere proprio il punto centrale di raccordo di questo progetto composito: un interrogarsi, appunto, sul Tempo e sulla sua evoluzione e, se non si sia perso in esso forse un senso univoco che ci resta tutto da riscrivere, ri-conoscere, riassemblando, con pazienza gli elementi.
Lo spazio della galleria così, diventa uno spazio di riflessione che Zorio, come uno sciamano che si è caricato sulle spalle, simbolicamente e metaforicamente il peso di un mondo che non vuol più reggere, ci invita a percorrere, avvertendoci che non sarà, non è mai, un viaggio facile, ma possibile, se ne ricombiniamo gli elementi, di volta in volta, secondo anche la nostra responsabilità.
Riconosciamo subito gli elementi da sempre cari alla poetica dell’artista, la stella, il giavellotto, gli alambicchi e le soluzioni fosforescenti o i piccoli oggetti che racchiudono forze dell’energia enormi, come i magneti o le resistenze incandescenti, ma si avverte subito che per Zorio tutto è cambiato e il suo discorso appare come la domanda di un oracolo, rivolta a noi e al mondo dell’arte stessa, forse privato del suo tesoro più grande, il Tempo nel suo scorrere.
Siamo accolti all’ingresso da un lavoro su parete, del 1979, il cui titolo, Per purificare le Parole, appare come un invito a spogliarsi del superfluo per intraprendere questo strano viaggio al limite tra gli elementi, in cui le energie che appartengono al cosmo sono come citate appena, riportate a noi in forme rarefatte e persino provocatorie, “raffreddate” in una forma astratta.
Un totem, una sorta di macchina impossibile sorprende con il suo improvviso e cadenzato (ogni 30 minuti la macchina si “anima”) movimento di respiro artificiale: è il Brindisi del marrano, quasi un animale mito-tecnologico, formato da una pelle che si gonfia sospinta da un movimento meccanico, emettendo uno stridio legato alla struttura metallica e fredda che contrasta con la cruenta organicità della pelle (pelle che è anche la nostra. La pelle è l’organo che ci avvicina e divide dal mondo, la protezione, il confine sottile).
La sala improvvisamente, grazie alla regolazione di un timer, si spegne, per accendersi di luce fluorescente, immergendoci in un’esperienza di impatto sensoriale che sembra rammentarci il senso sottile che si nasconde, in bilico, tra il mondo visibile e quello non meno reale, dell’invisibile.
In due stanze accanto il viaggio continua, sono opere storiche, che attraversando il mondo hanno esse stesse subito una continua trasformazione di significato. Qui le domande sembrano sospese ed aperte come gli elementi di forza presentati: un magnete in una grande ciotola di eternit (Senza Titolo, opera esposta agli Arsenali di Amalfi nel 1968), permette al fruitore di ridisegnare la superficie formata da polveri di zolfo e di ferro. O ancora in Compasso, lavoro del 1980, due giavellotti (segno anche di una possibile direzione o del “lancio” di un’intenzione) sono sospesi, incrociati e fusi tra loro con il bronzo che ha catturato l’impronta della mano dell’artista (la fusione è rappresentata dal crogiolo, sorta di mestolo che raccoglie la materia liquida e caldissima) e creano un equilibrio “fragile” ma preciso al tempo stesso, alludendo al potere del fare e della memoria impressa nelle nostre azioni. Ideale punto centrale di “incandescenza” è il lavoro del 1968, Pelli con resistenza (ad angolo), che sembra ricordarci una sorta di punto della crisi o di tensioni..
Così, come in un’ideale conclusione, in Stella di compassi (2015), l’alambicco sempre presente nelle opere di Zorio alchimista, ora è sospeso in alto, irraggiungibile, come una conoscenza e una speranza accessibile solo guardando più in alto.
Gilberto Zorio. 2015, Napoli
20 settembre 2015 – 16 gennaio 2016
Galleria Lia Rumma
Via Vannella Gaetani 12, Napoli
Orari: martedì-sabato 11.00-13.30 / 14.30-19.00
Info: +39 081 19812354
info@liarumma.it
www.liarumma.it