La riflessione sullo spazio e sulla possibilità di stabilire un dialogo inedito tra pittura e scultura è stata negli ultimi anni al centro di alcuni interventi monumentali di Gianni Dessì. Ed è all’insegna della monumentalità la mostra allestita alla Galleria dello Scudo a Verona dal 12 dicembre 2009 al 28 febbraio 2010.
Divisa in due nuclei principali di opere, realizzati espressamente per l’occasione: le grandi sculture dislocate in varie sale come parti di un unico intervento, cui si affiancano lavori di minori dimensioni funzionali alla completezza dell’intero progetto espositivo. Un vero e proprio invito al viaggio come viene definito dal curatore Lóránd Hegyi, di cui riportiamo alcuni stralci tratti dal testo critico pubblicato in catalogo…
Da sinistra: “Confini 1”, 2009, ferro, fibra di agave, legno e resina, cm 230x120x75.
“In opera”, 2009, bronzo e celluloide, cm 154x30x30
[…] Lo sconcertante autoritratto dell’artista, al contempo drammatico e ironico, a cui il visitatore si trova di fronte all’inizio dell’esposizione, è il primo atto di questo avvenimento congegnato come una drammaturgia, è il potente ed efficace ingresso al confronto emotivo e intellettuale con l’essenza del lavoro artistico e con il destino, la vocazione dell’artista. La scultura nera in bronzo mostra la sua testa in una posa inusuale, che è al contempo dolente e ironica, con l’elemento sconcertante della pallina da ping pong infilata in bocca. L’impossibilità di parlare, la ridicolezza della situazione e la bocca tappata in un’autorappresentazione di sé che risulta poco dignitosa attivano numerose connotazioni che contestualizzano la personalità dell’artista, il suo status sociale, il suo lavoro, la sua competenza, la sua libertà e responsabilità, ovvero la riflessione intellettuale su se stesso e sulla propria posizione. Il volto rimane legato alla sua persona, ma acquista una contestuale valenza metaforica di ordine culturale.
L’atteggiamento che emerge da questo sconcertante autoritratto è fondamentale per la comprensione dell’intera mostra, perché dimostra la radicale autoanalisi, il confronto coraggioso, severo e senza compromessi con la propria opera, con la propria vita e il proprio impegno professionale che l’artista intrattiene. Altrettanto fondamentale è la presentazione della gigantesca mano bianca esposta nella terza sala. La conformazione plastica è tale da far pensare che questo frammento del corpo umano – la mano, lo strumento di lavoro più importante, più abile e intelligente dell’uomo – sia una cosa naturale, come la terra, le pietre e le rocce, che non mostrano traccia di una conformazione plastica. Sotto questa gigantesca formazione di una mano semiaperta si trova un cerchio bianco dipinto, che si presenta come una superficie chiara e luminosa ma in modo piuttosto irrazionale, non essendovi evidenti fonti di illuminazione. Le dita indicano questa superficie, e così si istituisce un legame immaginario tra la materia pesante e la forma astratta, immateriale e incorporea. È un accenno alle facoltà spirituali e intuitive dell’artista, alla creatività, o al legame tra materia e spirito, tra intelligenza umana e natura? O ancora, è una celata forma di paragone che mette a confronto la drammatica potenza della presenza materica della scultura e l’essenza concettuale, intellettuale e virtuale della pittura? Gianni Dessì non fornisce una risposta univoca, ma ci conduce ancora più a fondo nel labirinto delle domande e delle connessioni.
Proseguendo la nostra visita, ci troviamo in un corridoio dal quale si può guardare, e si può andare, a destra e a sinistra. Per volontà dell’artista arriviamo alla prima grande sala dove ci attende una gigantesca scultura che rappresenta due gambe umane. I due piedi sovrapposti l’uno all’altro e le gambe che in alto si unificano costituiscono una formazione quasi brutale, in qualche modo aggressiva, o primitiva, arcaica, barbarica, che esprime visivamente l’energia primigenia della vita materiale, vegetativa. In alto, sul soffitto dell’ampia sala, appare un cerchio nero dipinto, quasi un alter ego cerchio bianco che si trova sotto la scultura della mano nella terza sala. Mano e gambe, bianco e nero, sopra e sotto, materiale e virtuale sono elementi oppositivi di un sistema dualistico che rimanda alle fondamentali riflessioni di Gianni Dessì sul lavoro artistico. […]
La camera picta seconda grande sala rappresenta da un lato uno sguardo retrospettivo sulla sua storia professionale, in cui l’artista ha affrontato le problematiche pittoriche dell’antica questione della camera picta elaborando diverse variazioni di questo topos. D’altro lato questa sala svolge un ruolo importante per ciò che concerne il celato paragone, poiché la camera picta all’interno della raccolta di sculture manifesta le possibilità meramente pittoriche di una conformazione fittizia e immaginaria dello spazio. La porta semichiusa offre uno sguardo sullo spazio virtuale collocato nello spazio reale della galleria, in particolare offre una connessione visiva tra le diverse unità spaziali, che generano anche diversi modi di muoversi e orientarsi.
Nella quarta sala, che in effetti è uno spazio senza uscita in cui il visitatore è indotto a voltarsi e a tornare indietro, incontriamo la poetica ed emozionante scultura di un bambino che volta le spalle all’entrata, come se si stesse allontanando senza che ci sia concesso di vederne il volto. Il titolo della scultura, Piccolo piccolo, mette in risalto le dimensioni minute e la fragilità del piccolo essere umano, la nudità e la vulnerabilità di un timido e solitario bambino che si nasconde. La sala si trova alla fine di una percorso circolare, ma non alla fine della visita. Questo ambiente costituisce una tappa intermedia, un luogo riservato a sensazioni intime e personali, l’asilo in cui l’artista può ritirarsi e trovare rifugio; il luogo in cui trova la sua patria emotiva.
Tornando indietro dopo questa sala, siamo costretti a rivisitare alcune stanze. Così rivediamo sculture e attraversiamo spazi che già conosciamo ma che ora possiamo osservare da un altro punto di vista. Dopo questa ripetizione dell’incontro con certe opere il visitatore giunge all’ultimo ambiente, che potremmo definire la galleria di sculture. La quinta sala della mostra, infatti, ospita quattro sculture che – in questa costellazione – rappresentano un compendio della sua concezione globale. Le sculture sono in parte colorate, e la loro forte cromia rimanda all’essenza pittorica del lavoro di Dessì. La testa rossa posta su un basamento alto e sottile ricorda i monocromi rossi che tematizzano il corpo umano, e soprattutto la testa, sotto forma di autoritratto. La figura bianca e acefala che si china in avanti, grottesca ma al contempo triste e desolata, con un disorientante buco al posto della testa, è un antimonumento, un tragicomico pseudomonumento in un’epoca priva di pathos e dignità, in cui persino le sofferenze umane perdono solennità e imponenza. Rimane solo la solidarietà, l’empatia, la partecipazione personale, dunque la nostra capacità di sentire come nostri i dolori privati e riposti dell’altro.
Le ultime due sculture approfondiscono il pacato, silenzioso e meraviglioso effetto emotivo di tutta la mostra. La piccola e solitaria scultura bianca rappresenta una figura umana che si copre il volto con un braccio, proteggendo la testa e non lasciandone vedere i lineamenti. Con questo gesto autoprotettivo si copre gli occhi, tanto da non poter vedere nemmeno il mondo che la circonda, dunque si chiude volontariamente in uno stato di isolamento. Paura, autodifesa, occultamento, cecità, solitudine, fragilità: la dolente ed esile figura incarna tutto questo. Accanto a essa sta una meravigliosa e poetica rappresentazione dell’amore e della fratellanza, che prende forma in due figure delle quali l’una sorregge l’altra, e i due corpi si compenetrano indissolubilmente. […]
(tratto da Luoghi della malinconia, o la rivelazione del sublime. Osservazioni sulla ricerca della metafora in Gianni Dessì di Lóránd Hegyi)
La mostra in breve:
Gianni Dessì. Tutto in un fiato
a cura di Lóránd Hegyi
Galleria dello Scudo Arte Moderna e Contemporanea
Via Scudo di Francia 2 (angolo Via Mazzini), Verona
Info: +39 045 590144
www.galleriadelloscudo.com
13 dicembre 2009 – 27 marzo 2010
Inaugurazione sabato 12 dicembre 2009 ore 19.00