ROMA | The Gallery Apart | 30 settembre – 16 novembre 2013
Intervista a GEA CASOLARO di Daniela Trincia
La fotografia nella fotografia. Rivestita di sfumature diverse, e sempre ricondotta alla memoria, può apparire come una sigla stilistica di Gea Casolaro (Roma, 1965) è, invece, il metodo che l’artista, da quattro anni “volontariamente in esilio” a Parigi, utilizza per esprimere la sua ricerca portata avanti in Still here. Giunta per la residenza nell’atelier degli Incontri Internazionali d’Arte ne La Cité Internationale des Arts, Casolaro ha scelto di rimanere nella capitale francese, ormai insofferente alla situazione politico-culturale del nostro Paese, volendo mettere tra sé e l’Italia quella distanza utile a raggiungere, e mantenere, quella freddezza e obiettività necessarie per analizzare gli accadimenti italiani e continuare a lottare, al fine di smuovere le sensibilità delle persone e raggiungere un più alto grado di benessere sociale, politico, culturale. Le oltre venti fotografie allestite su entrambi i piani di The Gallery Apart, sono il risultato di una sovrapposizione: a un fotogramma isolato da un film Casolaro inserisce un suo scatto realizzato nello stesso luogo dove è stata girata la pellicola. L’artista racconta così la Ville Lumière, consapevole di raccontarla con gli occhi di una turista che sente il forte bisogno di ancorarsi a una città nuova con un importante passato storico. Fotografie che sono infine un omaggio a Parigi e a quello che ha rappresentato e rappresenta tuttora nell’arte. Un omaggio realizzato con immagini lievi, apparentemente facili, risultanti da una vasta ricerca, che sono soprattutto importanti inviti e richiami. Fotografie che, seppur rasentano un’idea fissa, sono state per l’artista un solido, utile e essenziale “ancoraggio” alla realtà personale e collettiva. Realizzate con una prassi mostrata dall’artista stessa nella ricostruzione, nell’ambiente del piano inferiore, del suo studio. Ed è Gea Casolaro a raccontarci il suo ultimo progetto…
Come nasce Still here?
Il progetto è cominciato nel giugno 2009, ovvero da quando ho iniziato la residenza. Arrivata a Parigi, da subito ho sentito la necessità di assorbire la città. Così i primi tempi ogni giorno camminavo per le sue strade e andavo al cinema. E da subito ti accorgi della distanza che c’è tra la capitale francese e il nostro paese. A Parigi, ovunque e in qualsiasi momento, puoi vedere dei film, da quelli più recenti, a quelli che hanno scritto la storia del cinema. Soprattutto perché Parigi, che è la città dove nasce la fotografia e, per l’appunto, il cinema, rappresenta per me la modernità. Perché la modernità inizia con la fotografia stessa, perché cambia il rapporto con la realtà. Perché il cosiddetto “secolo breve” inizia, appunto, con la fotografia e si conclude con l’11 settembre 2001, quando la realtà supera l’immagine.
…e come si sviluppa la mostra?
Aprono il percorso espositivo le foto allestite nella parete di sinistra, quella che possiamo dire “geografica”, con immagini che genericamente identificano la città, con fotogrammi ripresi da French Kiss, Le quatre cents coupes e Les jours ou je n’existe pas. Segue quella di Montmartre con L’auberge espagnole e Fanny Face, che continua nella parete di destra, tutta al “femminile”, e si conclude con Angel-A.
Come hai scelto i film?
Molti appartengono al mio bagaglio culturale, altri sono quelli che ho visto nella città, altri ancora sono quelli suggeriti da persone che venivano a conoscenza del mio progetto. Ho così scoperto anche dei film bellissimi che non conoscevo, come Les jours ou ne n’existe pas, un uomo che viveva un giorno sì e un giorno no. E quando ho iniziato a visionare i film, ho constatato che nella città erano stati girati i più svariati generi, dal western al thriller; così ho iniziato a visionare tutti i generi e a ricercare le scene nella città reale. Non solo, ma quasi tutti i registi hanno realizzato almeno un loro film a Parigi. Dagli stessi Godard, Besson, Truffaut, a Bertolucci, a Malle, ad Allen.
Affermi che attraverso le fotografie hai realizzato una sorta di mappa di ancoraggio…
Sì, perché con la fotografia, che è un media artistico, ho ritrovato quei luoghi che hanno fatto da scenografia a dei film, altro media artistico, perciò la città stessa è un luogo familiare attraverso l’arte. Quindi l’arte lega ed è fondante di una collettività e di una identità. Per questo la cultura è strettamente necessaria per la formazione di un individuo e quindi della società. Concetto che nel nostro paese è stato accantonato, mentre la cultura è fondamentale per la creazione di uno stato e io lo dico.
Ma guardando quello che accade nel nostro paese e vedendo la distanza culturale tra l’Italia e la Francia, come riesci ancora a trovare le energie per continuare a lanciare simili appelli?
Proprio perché la creazione di un individuo è fondante, io voglio fare la mia parte e continuare a dirlo. Loro possono continuare a essere sordi, ma intanto io continuo a dirlo.
Sovrapponendo still di film con le foto da te realizzate, oltre alla complessità dell’operazione, attui una sorta di riattualizzazione…
È con la memoria personale e attraverso la memoria comune che si nutre la collettività. In questo caso è quella vissuta dai registi ma non per questo meno reale perché l’arte è reale. Con i miei scatti che si fondono con gli still c’è la creazione di una contemporaneità: siamo tutti qui; il passato, il presente e quindi il futuro, fusi insieme; è un esempio di vedere e tirare fuori. Per questo Still here. E quindi manifesto la permanenza.
Quali progetti hai in cantiere?
Oltre a concludere questo lavoro, voglio portare in Italia il progetto ShARiNG GaSEs, Capitolo I e II, realizzato in ad Addis Abeba, in Etiopia.
Gea Casolaro. Still here
30 settembre – 16 novembre 2013
The Gallery Apart
via Francesco Negri 43, Roma
Orari: dal martedì al sabato dalle 15.00 alle 19.00
Info: +39 06 68809863
info@thegalleryapart.it
www.thegalleryapart.it