TORINO | Costantini Contemporary | 17 maggio – 16 giugno 2018
di MICHELE BRAMANTE
Francesca Romana Pinzari vincitrice del Premio Speciale Riccardo Costantini Contemporary, nell’edizione 2016 di Arteam Cup, arriva a Torino con una personale negli spazi della galleria, che ne ospita, insieme alle opere provenienti dallo studio romano dell’artista, un’installazione appositamente realizzata in sede e destinata a chiudere il ciclo di ricerca sul tempo e l’immortalità secondo le specificazioni nei diversi regni naturali.
Osservare la morte è un compito che si impone biologicamente all’uomo organico. Le reazioni verso il pensiero della fine sono state altrettanti modi per esorcizzare la visibile passività del cadavere, un’immagine di annullamento del soggetto troppo potente perché la coscienza umana potesse sopportarne la prova del senso e la vertigine emotiva ad essa legata. Davanti a questo spettacolo, lo sgomento somma un remoto istinto della vita a perpetuarsi e il blocco psichico dell’angoscia individuale per il nulla. Solo nel primo senso, quello della spinta vitale alla riproduzione, assetata di esistenza, si può dire che la trepidazione della natura abbia un fondamento primordiale. Al contrario, l’istinto alla conservazione della vita posseduta da un individuo – che i greci chiamavano bìos distinguendola dall’essenza della vita in generale comune a tutti i viventi, la zoé – perde ogni significato quando si supera la prospettiva antropocentrica.
La vita del singolo organismo, dicono le opere di Pinzari, è una funzione subordinata alla zoé, che ha bisogno di incarnarsi nelle sue creature per continuare a manifestarsi nel mondo. Questa è l’unica dimensione dove l’immortalità può avverarsi. La permanenza dell’uomo particolare, come pure di un cavallo o di una pianta, è in contraddizione con la mutevolezza attraverso la quale, più in generale, la vita afferma la propria esistenza. L’immortalità necessita della morte dell’individuo, del suo tornare a inabissarsi nella ragione universale del movimento infinito di generazione e morte.
Pinzari rappresenta la continuità dell’Essere diluendo le forme umane in quelle animali, avvicinando le categorie fino a confonderle, come quando riprende il rapporto simbiotico tra l’uomo e il cavallo, fusi nella figura mitologica del centauro. Nell’opera in mostra (Chimera, 2013), la figura viene lasciata incompleta perché resti aperta alla potenza di ulteriori innesti e alla fecondità di imprevedibili mutazioni. Le stesse che governano, nell’installazione studiata per gli spazi della Galleria (Cordis, 2018), la crescita spontanea dei cristalli, che l’artista attiva componendo le sostanze chimiche di partenza prima di abbandonare al caos naturale la produzione dell’ordine formale. In questo caso, vengono preparate le condizioni iniziali per avviare un processo di cristallizzazione solo parzialmente controllabile dalla volontà dell’autrice, che descrive, così, il trasferimento del soggetto creativo dai limiti dell’individuo alle dinamiche universali della natura.
I capelli, come i crini di cavallo, resistono alla decomposizione dell’organismo, servendo da materia per iscrivere in un segno l’idea di permanenza riferita al passaggio di sostanza e spirito attraverso il tempo. Ogni istante ripete lo stesso cerchio tra il suo venire alla luce nel presente e il suo dileguarsi nell’avvenire con l’inizio dell’istante successivo. In modo analogo, l’artista intreccia gli anelli di crini con cui modella il volume del centauro concatenando l’uno nell’altro i piccoli mandala circolari.
Altri mandala, più elaborati e sofisticati, ma pregni della stessa allusione all’eterno divenire, sono realizzati con capelli umani in un’azione che l’artista trasforma in un rituale collettivo. Chiedendo a degli sconosciuti di cedere delle ciocche di capelli per essere utilizzate nella creazione dei simboli, Pinzari risveglia il sacro che la quotidianità contemporanea ha reso insensibile. Chi aderisce all’invito dimostra di voler tramandare qualcosa di sé attraverso l’opera d’arte e di saper ricreare il proprio rapporto col tempo, riprendendolo dal luogo dove scorreva separato e inerte per ricongiungerlo ai molteplici sensi della vita.
Anche le figure del tempo sono diversi modi di invocarne la durata eterna. Il serpente Ouroboros che si curva su se stesso per mordersi la coda (come gli anelli che formano il centauro) è il simbolo universalmente noto dall’Oriente all’Occidente medievale per raffigurarne allegoricamente la circolarità. L’idea dell’immortalità unisce il tempo ciclico a quello lineare, come se il primo scivolasse lungo una linea infinita, con il presente nel punto di tangenza tramandato istante per istante verso il futuro. Le opere di Pinzari suggeriscono una visione del tempo cosmico grazie alla quale ognuno può trarre il senso della propria scomparsa nella continuità dell’esistente. In ogni essere vivente si riassume, infatti, la perfetta coincidenza del particolare e dell’infinito, del nulla e dell’eternità, che custodiscono, nel punto in cui ritornano l’uno sull’altro, il valore della vita e della morte.
Francesca Romana Pinzari. Ouroboros
mostra premio assegnato nell’ambito di Arteam Cup 2016
17 maggio – 16 giugno 2018
Riccardo Costantini Contemporary
Via Giovanni Giolitti 51, Torino
Info: +39 011 814 1099
info@rccontemporary.com