Intervista a ILARIA BIGNOTTI di MATTEO GALBIATI
Il mondo della cultura e dell’arte piange la scomparsa di Franca Scheggi Dall’Acqua (1941-2020), donna di grande temperamento, intelligente sensibilità e acuta visionarietà, la cui profonda e sincera passione per l’arte l’hanno portata a sostenere e affermare non solo la memoria del marito, l’artista Paolo Scheggi (1940-1971), la cui ricerca si era bruscamente interrotta con la prematura scomparsa, ma anche di essere custode peculiare di capitoli importanti della nostra storia recente. Il suo impegno e la sua militanza, sempre condotti con un’eleganza quasi austera e severa, distaccata e mai prona a qualsiasi tipo di speculazione, hanno segnato il valore autentico della sua esperienza umana e artistica, culturale e affettiva: la conoscenza diretta di vicende osservate e vissute da vicino l’hanno resa importante testimone non solo del pensiero e della vita del marito, ma proprio di un’intera stagione ormai diventata, appunto, storia.
Sembra il canonico saluto a chi ci lascia, ma chi scrive ha avuto l’onore e il privilegio di essere accolto, diversi anni or sono, con entusiasmo nel salotto della sua casa milanese, un luogo dove accoglieva con lo stesso garbo e la stessa attenzione tanto giovani studenti e quanto le grandi personalità (artisti, critici, giornalisti, letterati, ecc…), e parlammo a lungo del lavoro del suo amato Paolo. Furono ore indimenticabili. Come intenso fu lo scambio che avevamo avuto, per questa testata, quando abbiamo riassunto l’intervista (vedi) con cui, raccogliendo con orgoglio le fatiche e di un duro lavoro che aveva, però, chiari gli obbiettivi e il traguardo finale, presentò l’uscita, nel 2016, del Catalogo Ragionato, atto finale del riordino dell’opera di Scheggi.
Fu Ilaria Bignotti, allora, a farmela incontrare, lei che, da storica dell’arte, ha poi avuto anche un ruolo prezioso nello studio appassionato sullo stesso Scheggi grazie all’impegno attivamente decisivo nella cura e conservazione dell’archivio dell’artista, voluto e diretto da Franca con la figlia Cosima. Per questo, per l’amicizia e l’affetto che la uniscono alla compianta Franca e alla figlia, segno di quei legami davvero speciali difficili da replicare, chiediamo una riflessione e un pensiero sulla sua figura.
Vogliamo, quindi, salutare Franca ricordando il suo coraggio e la sua caparbietà nel rimanere se stessa, riuscendo con sicurezza a superare le difficoltà che la vita le ha imposto e portare a termine il suo compito di donna, di madre, di moglie, di professionista e di intellettuale. Abbracciamo con il ricordo negli occhi la sua bellezza e la sua nobiltà d’animo, la sua passione e la sua determinazione che hanno contribuito a renderla una delle più importanti figure che hanno sostenuto e diffuso le ricerche contemporanee dagli anni Sessanta in poi. Addio Franca!
Quando e come hai conosciuto Franca Scheggi Dall’Acqua? Come è nata e si è sviluppata la vostra collaborazione basata su una forte fiducia, ma anche su un confronto schietto e diretto?
Ho conosciuto Franca nel 2006, in occasione di una mostra personale su Paolo Scheggi che avrei curato dal gennaio dell’anno successivo in una galleria privata.
Scheggi lo avevo incrociato un po’ prima, nel 2003, durante la tesi di laurea che avevo voluto rivolgere all’architettura radicale fiorentina, in primo luogo al Superstudio di Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia. Allora, non potevo non trattare Lara-Vinca Masini e il suo Centro Proposte, e così “incappare” in Paolo, che di Lara-Vinca era amico e lei lo seguì fino alle performance di fine decennio.
Il progetto della mostra personale del 2007 era ambizioso: una retrospettiva sull’indagine di Scheggi che provasse a leggerne, e intrecciarne, le direzioni della ricerca: dalla superficie della tela pittorica, che Scheggi sapientemente oltrepassava, guidato dal padre spirituale Lucio Fontana, all’estensione dell’opera nello spazio, culminata nella magistrale Intercamera plastica; ma anche la ricerca sul teatro come rito e sulla parola come elemento mitico-politico che per Scheggi, artista colto, fiorentino di origine, rappresentava la forma e il modo per liberare il pensiero e dimostrare le interconnessioni tra scienza e mito, spiritualità ed etica: la parola come luogo nel tempo dove si forgia l’identità collettiva.
Ecco, Di fronte a una ragazza che non conosceva né aveva mai sentito nominare, e che si presentò nel suo salotto armata di penna e quaderno, Franca non rifiutò un primo dialogo.
Come tu ricordi, Matteo, era una donna generosa.
Ma intransigente: non aveva avuto bisogno di specificare che mi stava mettendo alla prova. Se avessi tradito la sua fiducia, non la avrei più vista. Temevo moltissimo il suo giudizio e studiai come una matta. Non volevo deluderla e volevo continuare a frequentarla!
Mi ero, in un certo senso, già sentita parte di quella storia: lei e Paolo, giovanissimi, si incontrano a Milano, si innamorano, vogliono gridare con le opere, con le parole, con la poesia, con la passione. Impossibile non lasciarsi coinvolgere, da giovane studiosa che voleva solo assorbire, come una spugna, la storia di quei mitici anni in cui tutto sembrava possibile e vitale.
Franca fece di più: non solo mi concesse opere da esporre, ma mi diede carte blanche sui materiali d’archivio: nei mesi, costruimmo assieme un bellissimo catalogo, intervistai Ugo La Pietra e Franca Sacchi per ripercorrere gli ultimi anni dell’artista, scovai fotografie inedite, ci divertimmo un mondo. Io, sempre un po’ guardinga e attenta a non far scivoloni…lei precisissima, affettuosamente severa.
Cosa ci racconti del suo rapporto con il marito, l’artista Paolo Scheggi, che ha sposato nel 1964 e ha perduto nel 1971, ma di cui ha sempre sostenuto con orgoglio e oculata protezione la memoria storico-artistica?
Credo che il loro legame fosse, al di là di ogni racconto, un legame spirituale. Si sono incontrati nella mente: era destino.
Franca completava Paolo, ne capiva la visionarietà, la complessità, la trasversalità. Non era per lei un dovere, né un sacrificio, seguirlo nei viaggi, da Venezia a Parigi, fino alla misteriosa Zagabria; attraversavano la Svizzera, avevano amici del calibro di Germano Celant, Palma Bucarelli, Lucio Fontana, Ivan Picelj, Piero Manzoni, Alessandro Mendini… Frequentavano Germana Marucelli, la regina dell’alta moda italiana, e il suo salotto di poeti e artisti.
Franca non era mai una presenza mite e silenziosa: ascoltava, interveniva, interpretava anche.
È lei tra i quattro attori che nel 1969 fecero la performance Oplà-stick, passione secondo Paolo Scheggi, tenutasi il 15 aprile alla Galleria del Naviglio e poi il 6 maggio alla Galleria del Centro Studentesco di Zagabria, in occasione della quarta edizione di Nuove tendenze.
Prima ancora, è lei la modella che attraversa le pareti curvilinee e solcate da innumerevoli fori circolari dell’Intercamera plastica, nel 1967.
Ed è lei la protagonista e musa del Romanzo di Poesia Visiva del 1962-1965: una raccolta di poemi dattilografici dove Scheggi fa esplodere, per la prima volta, il fonema sul campo bianco della pagina.
Franca era anche una paziente raccoglitrice: è stata lei a sfogliare ogni giorno, dal 1964 sino a poco tempo fa, i giornali, le riviste e i cataloghi, selezionando tutte le parole dedicate a Scheggi, conservandole con cura assieme al carteggio dell’artista: un lavoro di incommensurabile importanza per chi, come me, dal 2006 ha iniziato a lavorarci, e lo sta tuttora facendo.
Come ci riassumi la sua personalità, il suo temperamento, la sua elegante fermezza?
Franca era una guerriera: una donna capace di donare il suo tempo, anche la sua vita, per una causa in cui si riconosceva.
Ma anche di combattere fino in fondo per una battaglia da lei ritenuta fondamentale. Sapeva appassionarsi a un progetto indipendentemente da chi glielo avesse proposto. Non guardava le apparenze, sapeva leggere oltre ad esse.
Era una donna di profondissima fede, di grandissima intelligenza, di raffinato senso estetico, e possedeva un vero e proprio sesto senso: i suoi occhi sapevano cogliere scenari lontani a venire.
Quali aneddoti hai da ricordare su di lei? Professionali e non…
Franca aveva una eleganza impeccabile.
Quando le raccontai che avevo vinto una borsa di ricerca per approfondire in vari centri di studio e musei la vita di Scheggi e le sue relazioni con il contesto internazionale, lei ovviamente era felicissima: mi riempì di una miriade di nomi di persone da incontrare in ogni città e di mille luoghi da visitare; poi si fece serissima e mi disse: “ma un ferretto da stiro da viaggio lo hai? Perché dovrai avere sempre la gonna e il cappotto perfetti”.
Ecco, questo fa capire, credo, la donna completa, la signora di classe e cultura che era. Sorrido ancora a pensarci.
Cosa ha rappresentato la sua attività nel panorama artistico italiano (e non solo) degli ultimi sessant’anni?
Franca è stata un pioniere, innanzitutto, dell’archivio d’artista. In tempi non sospetti, lei ha sempre molto insistito sull’importanza non solo della corretta catalogazione e della conservazione dei documenti, ma soprattutto sul valore cruciale dell’archivio quale attivo centro di scambio e di messa in rete delle persone e della conoscenza.
Credeva nell’archivio come in un laboratorio di idee: diceva spesso che tirando fuori le cose dai cassetti si potevano scoprire parole dimenticate e nuovi dialoghi tra le immagini.
Capisci l’importanza? Era una warburghiana convinta e non temeva nessun tipo di accostamento e di scambio tra Scheggi e l’arte: non le interessava la dimensione puramente storica, ma sapeva che un artista come Scheggi poteva trarre linfa vitale e donarla anche dal confronto con generazioni giovani e altre geografie culturali. Franca aveva studiato architettura, design, conosceva la moda e ne sapeva di semiotica, di antropologia, di mitologia. Leggeva di tutto. Guardava tutto. Poi pensava liberamente.
Cosa ti mancherà più di lei?
La sua visione del mondo. Sapeva sempre indicarti la strada giusta.
Mi mancheranno i caffè e i cioccolatini in cucina con lei. Mi mancheranno i suoi capelli rossi e impeccabili e le sue risate a sorpresa, con gli occhi che viaggiano per l’ambiente.
In generale, quale eredità più importante ci lascia?
Ci lascia l’eredità di una grande vicenda storica italiana, in cui le donne vere hanno saputo dimostrare di essere libere pensatrici e attive costruttrici di una cultura italiana piena, viva, altissima.
Franca ha cresciuto una figlia meravigliosa, Cosima: una donna forte, tenace, piena di energia. Non l’ho mai vista tirarsi indietro davanti a nulla. Cosima riassume in sé l’esuberanza del padre e la volitività della madre. Lei saprà dirigere e seguire il pensiero di entrambi, anche attraverso l’Archivio.
Sai, a Franca piaceva molto una frase che Scheggi ha citato in uno scritto autografo del 1969, tratta da Leibniz: gros de l’avenir et chargé du passé. Credo che Franca per chi vorrà conoscerla, anche dopo la sua scomparsa, sarà questo. Per me ci sarà sempre. Anche perché non mi permetterebbe mai di deluderla.
Franca Scheggi Dall’Acqua nasce a Milano nel 1941. Studia architettura e design.
Nel 1964, incontra Paolo Scheggi Merlini e si sposano nello stesso anno. Insieme a Scheggi fino al 1971, anno della sua prematura scomparsa, Franca gli dà una figlia, Cosima Ondosa Scheggi Serenissima, nel 1970.
Alla morte dell’artista, Franca ne assume la piena eredità culturale e artistica. Cura la prima mostra antologica dedicatagli nel 1976, alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna. Dagli anni Ottanta al 2013, anno della costituzione dell’Associazione Archivio Paolo Scheggi, prosegue l’attività di promozione e tutela dell’opera del marito, coordinando mostre di carattere antologico e sostenendo importanti progetti tra i quali la ricostruzione dell’Intercamera plastica nel 2007, donata al Centro per le arti contemporanee “Luigi Pecci” di Prato nel 2013. Parallelamente, Franca presta la sua voce per alcune, selezionate interviste e segue pazientemente tesi di lauree magistrali e di dottorato che hanno ottenuto la lode e sono confluite in pubblicazioni importanti.
Nello stesso anno, fonda con la figlia Cosima l’Associazione Archivio Paolo Scheggi, la cui più importante attività scientifica è la pubblicazione, nel 2016, del Catalogue raisonné dell’opera dell’artista, a cura di Luca Massimo Barbero e con il coordinamento di Ilaria Bignotti.
Tra le mostre attentamente seguite da Franca, l’omaggio a Paolo Scheggi nel contesto della mostra POSTWAR. Protagonisti italiani, a cura di Luca Massimo Barbero presso la Guggenheim Collection di Venezia, dal 23 febbraio al 15 aprile 2013; poco dopo, dal 24 marzo al 30 giugno, la mostra dedicata all’estensione dell’opera nell’ambiente, Paolo Scheggi. Intercamera plastica e altre storie, tenutasi al Centro Pecci di Prato e curata da Stefano Pezzato.
Seguono la ricostruzione della partecipazione di Paolo Scheggi con quattro grandi Intersuperfici alla Biennale veneziana del 1966, in occasione di Art Basel nel giugno 2015, per Tornabuoni Art, Galleria che rappresenta internazionalmente l’artista; nell’ottobre dello stesso anno, la mostra dedicata a Scheggi e alla parola, dalla poesia alla performance, nella sede parigina di Tornabuoni Art.
Nel 2018, dal 30 gennaio al 31 marzo, la mostra a tre voci dove l’Interfiore di Scheggi è stato messo in dialogo con la ricerca di artisti della new generation, Joanie Lemercier e *fuse, a Spazio Arte CUBO condividere cultura, Museo d’impresa del Gruppo Unipol, a Bologna. Questa scelta sperimentale di verificare la persistenza del linguaggio di Scheggi negli artisti attuali era stata fatta anche in occasione della mostra bi-personale Paolo Scheggi-Lucy Skaer, da Cortesi Gallery a Lugano, nell’aprile-maggio 2014.
Recentemente, Franca aveva seguito la progettazione della prima mostra antologica di Scheggi alla Estorick Collection of Modern Italian Art a Londra, dal titolo Paolo Scheggi: In Depth, tenutasi dal 3 luglio al 15 settembre 2019, e dal 5 settembre all’11 ottobre dello stesso anno la ricostruzione della mitica performance Oplà-stick, passione secondo Paolo Scheggi del 1969, tenutasi al Museo d’Arte Contemporanea di Zagabria e interpretata dal collettivo teatrale BADco., performance poi itinerante a Rijeka (Fiume), Capitale della Cultura 2020, dalla fine di ottobre dello stesso anno.