San Lazzaro di Savena (BO) | Fondazione Massimo e Sonia Cirulli | Fino al 18 novembre 2018
Intervista a MASSIMO CIRULLI di Chiara Serri
A San Lazzaro di Savena, nello storico showroom progettato dai Fratelli Castiglioni per Dino Gavina, Massimo e Sonia Cirulli hanno inaugurato, lo scorso aprile, la sede della Fondazione che porta il loro nome. Una storia di collezionismo trentennale avviata nella New York dei primi anni Ottanta e confluita prima nel Massimo and Sonia Cirulli Archive (1984) e poi nella Fondazione Massimo e Sonia Cirulli (2015). Il desiderio di rendere accessibile il loro Archivio – che non raccoglie solo dipinti e sculture, ma anche disegni progettuali, grafiche, fotografie e molto altro ancora, ripercorrendo la storia italiana del XX secolo, dalla nascita della modernità al boom economico – li ha portati all’apertura di una sede fisica, con spazi riservati anche alle esposizioni temporanee (prima mostra, Universo Futurista, a cura di Jeffrey T. Schnapp e Silvia Evangelisti). Ne parliamo con Massimo Cirulli che, insieme alla moglie Sonia, partecipa attivamente alla vita della Fondazione, tutelando e valorizzando una realtà che, di fatto, costituisce un unicum nel panorama nazionale.
Perché una collezione dedicata a tutto lo scibile delle arti italiane del XX secolo nasce in America? Quali sono state le mostre di quegli anni che hanno segnato il vostro percorso?
Nei primi anni Ottanta mi sono trasferito negli Stati Uniti per motivi di lavoro. Ero consulente finanziario a New York, dove sono entrato in contatto con professionisti del settore che erano al contempo anche grandi conoscitori e amanti dell’arte italiana del XX secolo. Era il momento in cui le gallerie di downtown village esponevano i grandi manifesti pubblicitari italiani, con le bellissime e modernissime grafiche di artisti come Xanti Schawinsky, Bruno Munari, Nicolay Diulgheroff. In Italia non c’era ancora interesse collezionistico per questo tipo di materiale che, anzi, non veniva nemmeno considerato una vera e propria forma d’arte. Addirittura sono venuto a sapere che molte industrie avevano mandato al macero quintali di materiale pubblicitario… Fortunatamente sono riuscito a salvare una parte di questi archivi che oggi compongono la nostra collezione. Negli anni americani ho potuto vedere e apprezzare quelle mostre che considero come pilastri della mia formazione artistica: High and Low. Modern Art and Popular Culture, presentata al MoMa di New York nel 1990 e The Italian Metamorphosis, 1943-1968, curata da Germano Celant al Guggenheim Museum nel 1994.
Qual è la peculiarità della vostra collezione? Che tipo di attività ha svolto l’Archivio dagli anni ’80 ad oggi?
Frutto di un lavoro trentennale, la nostra collezione ha la peculiarità di essere multidisciplinare, cioè racconta il ventesimo secolo in maniera trasversale che, secondo me, è l’unica maniera possibile per raccontare un secolo così eterogeneo e prolifico dal punto di vista storico, sociale e quindi culturale e artistico. Sono convinto che non abbia senso distinguere tra arti “maggiori” e arti “minori”: nella nostra collezione trovano posto dipinti e sculture, ma anche disegni progettuali di architettura e di design, grafica pubblicitaria, fotografie e foto-collage, libri e riviste, forme d’arte che testimoniano il dialogo serratissimo tra gli artisti e il mondo dell’industria, che ha prodotto straordinari capolavori di grafica e di comunicazione. Le basi del Made in Italy sono qui. Ieri come Archivio e oggi come Fondazione ci siamo sempre impegnati a raccontare questa ricchezza, attraverso mostre da noi realizzate e il prestito di opere della collezione a istituzioni museali con le quali, negli anni, abbiamo avviato una fervida collaborazione.
Nel 2018, contestualmente all’apertura della prima mostra – Universo Futurista –, avete inaugurato anche una sede di particolare interesse architettonico. Qual è la sua storia? Il tipo di restauro che avete posto in essere?
Nel 2015 è stata costituita la Fondazione e fin da subito abbiamo avvertito la necessità di avere un luogo che potesse ospitarne la sede e anche l’archivio. Quando ho inteso che era in vendita lo storico showroom di Dino Gavina, vero gioiello di architettura e della storia del design degli anni Sessanta, ho subito pensato che l’edificio fosse il luogo ideale per accogliere la nostra collezione. Un “contenitore” perfetto per il nostro lavoro: progettato e realizzato nel 1960 dagli architetti Achille e Pier Giacomo Castiglioni, è stato un crocevia di incontri che ha segnato la storia del design italiano. Qui hanno camminato, pensato e respirato artisti come Carlo Scarpa, Man Ray, Marcel Duchamp, Lucio Fontana, Marcel Breuer, Luigi Caccia Dominioni, lo stesso Dino Gavina… è bello che un posto del genere, pieno di energia creativa, continui a essere un polo culturale. Il restauro dell’immobile è stato effettuato in maniera filologica e nel pieno rispetto del progetto originale. La ristrutturazione è stata curata da Andrea Bassi (Eroica Architettura, Bologna), mentre Elisabetta Terragni (Studio Terragni Architetti, Como-New York) ha lavorato sugli interni, riuscendo a far dialogare la storicità del posto con le nuove esigenze di messa a norma dell’edificio, individuandone gli elementi costitutivi: il ferro, il vetro e la grafica e facendoli divenire un punto di forza dell’allestimento museografico. In questo modo si è riusciti a mantenere e a trasmettere lo spirito del luogo senza snaturarlo. Questo grazie anche a Daniele Ledda dello studio xycomm, Milano.
Perché ad un certo punto del vostro percorso avete deciso di dare una sede fisica alla vostra collezione? Che tipo di attività svolgerete presso la vostra sede?
L’esigenza di dare una sede fisica alla nostra collezione nasce dalla volontà di aprire al pubblico il nostro archivio, di rendere accessibile e visibile un patrimonio culturale sempre più vasto, frutto del nostro impegno e della continua ricerca. Il desiderio è che chiunque possa “vivere” la nostra collezione, e ciò sarà possibile tramite l’organizzazione di mostre sempre diverse, allestite a partire dal ricco archivio. L’edificio progettato dai fratelli Castiglioni si presta in maniera perfetta a essere uno spazio espositivo. È stato salvato dalla demolizione e torna ad accogliere l’arte al suo interno.
La mostra Universo Futurista raccoglie oltre 200 opere di svariate tipologie. Tra queste, alcune presentano vicende collezionistiche molto particolari…
Alcune opere esposte in mostra hanno una storia collezionistica curiosa. Come Disgregazione x velocità. Penetrazioni dinamiche di automobile di Giacomo Balla, che ha partecipato nel 1915 alla Panama-Pacific International Exposition, organizzata a San Francisco per celebrare l’apertura del Canale di Panama, del quale in seguito si perse ogni traccia e che ho ritrovato diversi anni fa negli Stati Uniti. Oppure una veduta di città di Osvaldo Licini, esposta alla prima mostra futurista bolognese del 1914 nei sotterranei dell’Hotel Baglioni. In fase di restauro, nascosto all’interno della cornice, è stato rinvenuto un ritaglio di giornale dell’epoca con la recensione della mostra e alcuni appunti e sottolineature dello stesso Licini. C’è poi un quadro di Ambrosi appartenuto alla collezione Marinetti e altre storie ancora…
Come sta andando la mostra? Siete soddisfatti dei dati di affluenza?
La mostra ha inaugurato a fine aprile ed ha subito riscontrato la curiosità e l’entusiasmo del pubblico. Le visite e i commenti entusiasti da parte di molti professionisti del settore, amici e collaboratori di lunga data che ci sono venuti a trovare, anche da oltreoceano, ci danno conferma che stiamo percorrendo la strada giusta.
La vostra collezione vanta alcune migliaia di pezzi. Qual è il ruolo del curatore che di volta in volta si rapporterà ad esse?
In fase di progettazione di una nuova mostra, il curatore si trova davanti a una vastissima collezione, con una quantità di materiale eterogeneo archiviato e digitalizzato per la stragrande maggioranza. Saprà sicuramente mettere in risalto questa ricchezza e valorizzarne la diversità, adottando un punto di vista dinamico, fresco, trasversale. È quello che ha fatto Jeffrey Schnapp curando la mostra Universo Futurista assieme a Silvia Evangelisti.
Quali saranno i tratti che accomuneranno le mostre allestite presso la vostra sede?
Le mostre che proporremo saranno realizzate a partire dal materiale dell’archivio, dunque incentrate sull’arte italiana, da inizio secolo scorso fino al boom economico (anni ’60). Tanti spunti e tante storie da raccontare, molta ricerca. Vietate le mostre “blockbuster”.
Universo Futurista
A cura di Jeffrey T. Schnapp e Silvia Evangelisti
21 aprile – 18 novembre 2018
Fondazione Massimo e Sonia Cirulli
Via Emilia 275, San Lazzaro di Savena (BO)
Con il patrocinio di Comune di San Lazzaro di Savena, Città Metropolitana di Bologna, Regione Emilia Romagna
Orari: da martedì a venerdì 10-17; sabato e domenica 11-20
Info: +39 051 628 8300
info@fondazionecirulli.org
http://fondazionecirulli.org