ROMA | CIRCOLO DEGLI ESTERI | 28 APRILE – 15 MAGGIO 2022
di MARIA VITTORIA PINOTTI
Nel 1968 l’artista americano Robert Smithson, noto creatore di opere ambientali caratterizzate da smottamenti di terra e materiali mineralogici, scrive una breve ed intensa riflessione in cui ragiona, con calcolata chiarezza, circa l’uso della terra come medium ideale proprio per il suo carattere filosofico ed antropologico. A tal proposito, Smithson, afferma come «la mente e la Terra sono in costante stato di erosione, fiumi mentali logorano sponde astratte, onde celebrali minano rocce di pensiero le idee si decompongono in pietre di inconsapevolezza, e cristallizzazioni concettuali si spezzano in depositi di ragione sabbiosa». [1] Da tali parole emerge con nitore la forte relazione tra la terra e l’artista, più specificatamente il suo corpo e l’ambiente naturale in quanto strumento sperimentale. In pratica, ciò che per il land artist Smithson era lo sviluppo primario del processo artistico, lo è parimenti per Flavia Bigi (Siena, 1965) alla quale viene dedicata la mostra VARIABILI METRÌE, a cura di Nicoletta Provenzano ed in programmazione dal 28 aprile al 15 maggio 2022, presso il Circolo degli Esteri di Roma.
Sulla produzione di quest’artista ha rivolto tanto cuore pari all’attenzione la curatrice Provenzano, la quale, nel testo critico di accompagnamento all’esposizione, chiarisce un particolare aspetto che altresì emerge dalla mostra, ovverosia in quanto realizza la Bigi v’è sempre «un collegamento ed una confluenza cosciente rispecchiante il sé e la natura». Così, allo sguardo del visitatore si schiude una mostra vigorosamente condensata in una stanza espositiva dal carattere scenografico, che, nonostante le ridotte dimensioni visive, presenta una selezione di opere fortemente diverse tutte vincolate l’una all’altra, in un processo che rispecchia, allo stesso tempo, i caratteri di relatività e continuità. Qualità queste ultime di particolare interesse, poiché la selezione in mostra, quale particolare raccolta della produzione della Bigi dal 2018 ad oggi, è esemplare di una ideazione artistica concepita come un continuo flusso in divenire. In particolar modo si rende evidente come la fantasia creativa non consenta rimpianti, permettendo invece di apprezzare le metamorfosi speculative che l’opera, assieme a tutte le variabili estetiche, acquisisce nel tempo. Da tale percorso si ha modo di osservare la straordinaria profondità mentale che si cela nella produzione artistica della Bigi, da cui affiora uno spirito concettuale sempre affiancato ad un’anima spirituale, con cui si confronta sia con le tematiche legate all’uomo, in quanto creatura antropocentrica, sia con le specifiche di un territorio geografico, pronta com’è a recepire ogni sua vibrazione energetica.
Nella serie di fotografie intitolate Variabili Metrìe la Bigi fa affiorare, con poderosa forza iconica, la reazione all’isolamento personale – quasi eremitico – durato cinque giorni in vetta al vulcano Etna, il cui l’ambiente, unico nel suo genere, culla ed inebria con una dolcezza vitale il flusso creativo dell’artista. Tutto ciò trova adito e spazio nelle motivazioni che l’hanno spinta ad intraprendere tale viaggio: una ricerca verso risposte in cui è accompagnata dal sol “senso della misura”, simbolicamente rappresentato da un metro in legno. Così l’artista vaga liberamente nella terra brulla dell’Etna, sotto il sole cuocente del mese di giugno, a contatto con le energie del luogo ed in cerca affannosa di un riparo fisico, spirituale ed emotivo; lasciandosi conquistare, al medesimo tempo, dalle estensioni delle radure ed abbandonando la smania di vivere lo spazio naturale come è consuetudine dell’uomo, in altri termini, la Bigi pare una sacerdotessa e laddove posa come protagonista degli scatti si lascia fissare fotograficamente dalla collega Sissa Micheli.
Cioè che incuriose nelle opere della Bigi è che i dati toponomastici ed individuali vengono stranamente misurati con l’ausilio di un metro personalmente costruito – strumento già utilizzato in alcuni progetti a partire dal 2015 – che pur disponendosi liberamente nello spazio naturale, assume la forma iconica di una appuntita freccia. Ne emerge una fotografia estremamente corporale, volta a lavorare intorno all’astrazione di un paesaggio, dove invero ciò che conta è l’esperienza dell’artista secondo una propria conoscenza e coscienza. Inoltre, gli scatti si potrebbero considerare minuti frammenti di un patrimonio paesaggistico caratterizzato da inganni visivi, prova ne sia l’opera eseguita con la tecnica della sovrapposizione fotografica. Ad ogni modo, le opere finali si pongono come dei fervidi cristalli visivi, quali intensi momenti di una meditazione lenta ed assuefatta dall’energia emanata dalla specificità del luogo: ubicazione cara all’artista, capace com’è di interpretare tale territorio come lo spazio ove si raccolgono e comprimono pensieri fino a renderli con sublimità infrangibili, una sorta di protezione per l’anima, per intendersi!
Diversamente, contraddistinte da una sottigliezza fortemente concettuale sono le opere derivate dalle sculture You & I, composte da due dadi in granito nero ed alabastro. Da queste sequenze espositive emerge, in maniera pregnante, la sensazione di consequenzialità di tutta la produzione della Bigi, in cui tutto è collegato e corrisposto secondo una formidabile coerenza ed integrità, che in questo caso si declina in levità scultorea. Con tali opere si intende affrontare una questione alquanto fervida, considerato l’interesse che risiede proprio nel rapporto tra l’io e l’altro, beninteso, da intendere quest’ultimo come qualsiasi individuo con cui si entra in relazione o altrimenti una nostra dimensione mentale con la quale vogliamo confrontarci. Opere che potrebbero considerarsi delle pietre di inconsapevolezza, come probabilmente le avrebbe denominate Robert Smithson, simboli, in altre parole, di una ambivalenza dei rapporti interpersonali e delle loro relazioni causali. Ne scaturisce una disamina sulle cause ed i loro effetti, da cui, verosimilmente, nasce una narrativa in cui conta lo splendore e mai la forma, giacché i dadi da cubici si assottigliano sempre di più sino a diventare delle candide e splendenti sfere.
La rassegna si caratterizza per una singolare difformità creatività, pur sempre va da sé coerente, siccome la Bigi dimostra di voler reinventare il proprio rapporto con gli strumenti delle tecniche pittoriche e disegnative, nello specifico con la tela e la grafite. Ed ecco che l’artista, nell’anno 2021, idea le tele intitolate Antica me che trovano continuo sviluppo negli anni successivi, e di cui una interessante selezione, sia pur parziale, sono in mostra. Nello specifico, viene proposta una ricerca giocata sulla medesima gradazione nera, segnata da una leggera scansione in grafite eseguita di scatto, da cui emergono forme che il visitatore è lasciato libero di interpretare. A tal proposito è utile volgere l’attenzione al termine latino color, la cui radice del verbo significa celare, proprio secondo tale accezione il colore è qualcosa che copre, avvolge, riveste e indica un aspetto esteriore. La Bigi, lavorando sull’assenza del colore stesso, esegue il processo inverso svelando un qualcosa che intende coinvolgerci verso il silenzio e l’ascolto. Una chiosa irrinunciabile: dal progetto espositivo si rivela un approccio quasi rapsodico, cifrato da un nesso di continuità, che intende guardare all’uomo ed alla formazione dei processi mentali, di documentazione e misura. Una mostra, dunque, contraddistinta da opere solide, potenti, concrete come tante pietre di inconsapevolezza, sempre pronte a svelare il loro poderoso carattere cristallino e fortemente pragmatico.
Flavia Bigi, VARIABILI METRÌE
A cura di Nicoletta Provenzano
28 aprile – 15 maggio 2022
Circolo degli Esteri
Lungotevere dell’Acqua Acetosa 42, Roma
Orari: su appuntamento per prenotazioni circmae@tiscali.it | 068079656 / 068086130
[1] Robert Smithson, Una sedimentazione mentale: progetti di terra, in Germano Celant, Precronistoria 1966-69, Quaderni Quodlibet, 2017, p. 92