di SARA TONGIANI
Stanley Tucci torna alla regia, dopo dieci anni, con Final Portrait, un film apparentemente semplice, che racconta Alberto Giacometti (G. Rush) all’opera, o meglio, alle prese con una sua opera, un ritratto, appunto, e con un modello sui generis, lo scrittore James Lord (A. Hammer). Ispirato e in parte basato sulle memorie dello stesso Lord (A Giacometti Portrait), il film, presentato fuori concorso al Festival di Berlino e poi nella sezione Festa Mobile del Torino Film Festival, arriva nelle sale italiane (l’8 febbraio 2018, ndr), svelando i luoghi, le abitudini e la ferrea disciplina di un artista fondamentale per il panorama artistico contemporaneo. Sono i quartieri bohemien di Parigi, i bistrot, le donne e le voci della strada a incorniciare l’officina d’artista, lo studio di Giacometti: luogo emblematico e vitale, in cui si consumano allo stesso tempo passione, tormento, ardore e insoddisfazione.
L’occasione, l’incipit narrativo, l’incontro a Parigi nel 1964 fra Giacometti e Lord e la richiesta di un ritratto dello scrittore, permette a Tucci di concentrarsi sulla creazione artistica, momento quasi archetipico attorno a cui si dispiega e si cristallizza il film. Nello studio, posti uno di fronte all’altro, divisi, quasi come in uno split screen, dalla tela bianca, Giacometti e Lord si guardano, si studiano, cercando un rispecchiamento.
Il ritratto diviene subito un’opera aperta, infinita: “Prima era come una foto, ma ora?”, si domanda Giacometti durante una delle sedute con Lord. Il ritratto non può fermare e registrare il tempo, come accadeva in passato, racchiudendo il gesto mitopoietico dell’artista; da questa consapevolezza nasce allora la ribellione di Giacometti, che trasforma quel gesto in uno diverso che dipinge e cancella, che crea e distrugge allo stesso tempo. I giorni passano, Lord comincia a spazientirsi, mentre l’artista impone, decide, detta il tempo per posare, mangiare, bere, discutere e poi stratifica, cancellando l’opera, imponendo i grigi e i neri sul volto appena ritratto. La maniacale routine, quasi un loop di situazioni che si ripetono invariabilmente, svela l’ossessione perfezionista, i dubbi e l’insicurezza di Giacometti.
Dopo aver condiviso lunghe passeggiate al cimitero, aver assistito ad alcuni incontri con la musa prediletta, la prostituta Caroline (C. Poésy), e alle discussioni con la moglie Annette (S. Testud), Lord indica un termine per le sedute, decretando la fine del ritratto. Nonostante i giorni condivisi con Giacometti e l’immersione nella sua arte, Lord non comprende fino in fondo la visione dell’artista; i ricordi fissati nelle memorie di Lord e poi nel film di Tucci sono in realtà il racconto di una breve e intensa amicizia.
FINAL PORTRAIT
L’arte di essere amici
un film scritto e diretto da STANLEY TUCCI
Tratto dall’autobiografia di James Lord Un ritratto di Giacometti
con
GEOFFREY RUSH
ARMIE HAMMER
TONY SHALHOUB
SYLVIE TESTUD
CLÉMENCE POÉSY
REGIA Stanley Tucci
SCENEGGIATURA Stanley Tucci
SCENOGRAFIA James Merifield
FOTOGRAFIA Danny Cohen
COSTUMI Liza Bracey
TRUCCO E CAPELLI Catherine Scoble
MONTAGGIO Camilla Toniolo
MUSICA Evan Lurie
CASTING Nina Gold
Uscita: 8 febbraio 2018
durata: 90 minuti
BiM Distribuzione
Via Lorenzo Magalotti 15, 00197 ROMA
Tel. 06 3231057
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